Il Nüshu è la misteriosa scrittura segreta delle donne cinesi, che richiama la Lingua Ignota di Hildegard von Bingen e i rotondi pittogrammi neolitici delle civiltà matrifocali. Il territorio in cui prese vita, il Jiangyong, circondato com’era da alte montagne, ha contribuito a mantenere la scrittura segreta femminile nascosta al mondo per moltissimo tempo. Si sviluppò, come segreto atto di disobbedienza femminile, nelle comunità agricole fortemente patriarcali ispirate al sistema androcentrico confuciano, nel quale la donna era destinata a servire tre padroni: il padre, il marito e i figli maschi, in una vita fatta di lavoro e obbedienza incessante. Una sopportazione inculcata sin da bambine anche mediante la dolorosa pratica dei “piedi fasciati”, ipocritamente chiamati loti d’oro, che ne limitavano fortemente la mobilità, relegando le donne ancora di più entro le mura domestiche, dove non di rado subivano maltrattamenti, abusi e violenze.
Perché per parlare di matriarcato, nonostante la quantità di validi testi scritti da donne, parto da Bachofen? Perché è a questo storico ottocentesco che si rifanno quelli contemporanei – maschi e femmine che gradiscono di più la o finale – per negare l’esistenza di un’epoca matriarcale sostenendo che l’ha inventata lui nel suo libro “Il Matriarcato” del 1861 e che le femministe han dato corpo a tale teoria perché legittimava le loro rivendicazioni. Intanto chiariamo bene che non solo le femministe si appassionarono al lavoro di Bachofen, bensì anche esponenti della sociologia e psicologia, del socialismo, del nazismo e dell’antifascismo del femminismo e antifemminismo, della letteratura e dell’arte in genere.
Inoltre chi sostiene che non ci sono prove storiche dell’esistenza di società matriarcali, ignora volutamente l’enorme quantità di prove archeologiche antropologiche etnologiche e sociologiche fornite a partire dagli anni ’70 riguardo all’esistenza reale e innegabile di società matrifocali passate e presenti. Negare questa eredità concreta e tangibile solo perché non esistono prove scritte, ma solo incisioni, petroglifi, pittogrammi, decorazioni delle ceramiche e soprattutto le statuette, ben sapendo che la scrittura è un’invenzione recente della storia umana risalente al 3.000 a.C. circa, è negazionismo puro di tutto ciò che è esistito prima, ossia dal paleolitico in poi.
Il sistema mediatico si serve di studiosi divenuti noti personaggi televisivi al fine di mantenere in vita, attraverso la sottile tecnica dell’irrisione, il concetto dell’inferiorità biologica intellettuale e artistica delle donne, la medievale querelle des femmes di cui la nostra civiltà androcentrica è tutt’ora impregnata. Il main stream, poi, recluta accademiche e politiche femministe che in maniera indiretta e occulta il regime androcratico e androcentrico lo sostengono. Note femministe presenti e passate hanno negato l’esistenza del matriarcato proprio adducendo a motivazione il lavoro di Bachofen e sostenendo che fu una sua invenzione: una per tutte Simone de Beauvoir che in “Il secondo sesso” sostiene che è stato il potere delle figure mitologiche di Niobe, Medea, Andromaca o Ecuba a farci <supporre –scrive – che esistesse nei tempi primitivi un vero regno delle donne; è l’ipotesi proposta da Bachofen… ma in realtà questa età d’oro della donna non è che un mito>. Simone de Bauvoir afferma senza mezzi termini che la società è sempre stata maschile e così pure il potere politico. Il che sarebbe in netto contrasto con il ritrovamento di migliaia di statuette raffiguranti la Grande Dea Madre neolitica da parte dell’archeologa Marija Gimbutas negli anni ’80. Vero è che i libri sulle civiltà matrifocali di Marija Gimbutas sono una produzione successiva a IL SECONDO SESSO di Simone de Beauvoir che è del 1949. Ma Momolina Marconi, docente di storia delle religioni e studiosa delle civiltà matrilineari, pubblicava articoli specialistici sia in italiano che in francese proprio contemporaneamente a Simone de Beauvoir. Possibile che Simone non conoscesse gli studi di Momolina? Nella enorme quantità di materiale documentale che ha consultato per Il secondo sesso, tra cui l’opera Il matriarcato di Bachofen che aveva già 100 anni, non ha preso in considerazione né Momolina né Marija che nello stesso periodo pubblicava i suoi primi libri sul folklore lituano? Vero anche che Simone si dichiarava atea, ma questo le proibiva forse di prendere in considerazione materiale archeologico riferito a una cultura all’epoca definita pagana?
Quando gli storici sostengono che sono state le femministe a dare corpo e volume alla cosiddetta invenzione del matriarcato ad opera di Bachofen, a quali “femministe” si riferiscono? Una versione sostiene che la parola fu utilizzata per la prima volta nel’700 dal filosofo francese Charles Fourier ispiratore delle prime comunità del socialismo utopico; un’altra versione che la parola femminismo fu usata per la prima volta nell’800 in forma dispregiativa da un giornalista (come la parola suffragette affibbiata con lo stesso intento dispregiativo alle donne che combattevano per il voto). Un’altra versione ancora afferma che il termine femminismo già si usava in ambito scientifico per indicare uomini con problemi di virilità. Cè chi sostiene che la nascita ufficiale del movimento femminista sia avvenuta in America nel 1848 allo storico Congresso di Seneca Falls sui diritti delle donne, nel quale fu chiesta la cittadinanza politica per “neri” e “donne”. E chi dice che nacque sì nell’800, ma in Inghilterra per dare un nome al movimento delle suffragiste.
Si crearono poi nel ‘900 due correnti in contrasto tra loro. Da una parte quella politica atea e razionalista con cui si identificavano Virginia Woolf e Simone de Beavoir, che considerava le mestruazioni e la maternità come una maledizione che condannava la donna al suo ruolo di schiava della riproduzione. Questa corrente si legò poi alla sinistra politica più o meno reale. Dall’altra parte la corrente antropologica – legata alle scoperte archeologiche di Marija Gimbutas e delle antropologhe Heide Göttner Abendroth e Riane Eisler – che invece da alla maternità un valore sacro collegato alla Dea, più in risonanza con la trattazione di Bachofen.
Insomma non si può dire con certezza quando nacque ufficialmente il movimento codificato che identifichiamo con la parola femminismo. Ma se per femministe intendiamo le donne che hanno combattuto per i più elementari diritti negati loro dal patriarcato allora possiamo risalire al 5° secolo quando la scienziata Ipazia di Alessandria fu assassinata per non aver accettato di rinunciare all’insegnamento obbedendo alla nuova legge misogina e repressiva di paolo di tarso abbracciata dalla chiesa delle origini. Oppure a Cristine de Pizan che nella seconda metà del 1300 scrisse la città delle dame e osò far causa ai debitori del marito morto perché si rifiutavano di saldare a lei in quanto donna. E così via pensiamo a Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft autrici delle prime dichiarazioni dei diritti delle donne nel 1700, ad anna wheeler che a loro ispirata riprese l’argomento all’inizio dell’800.
Pensiamo all’opera di donne che pur non definendosi femministe hanno lottato per la nostra libertà e parità, come Millicent Fawcett, Emmeline Pankhurst e la WSPU che con una battaglia durata decenni riuscirono a far avere alle donne non solo il diritto di voto, ma la possibilità di possedere una casa e un patrimonio, di avere giurisdizione sui figli e di poter contare su una pensione: tutte cose che all’universo maschile appaiono ovvie e scontate. Eppure al tempo in cui Emmeline e le sue figlie andavano in prigione per i diritti delle donne, non c’è neppure sicurezza che la parola femminismo fosse già stata creata. E poi l’italiana Cristina Trivulzio di Belgioioso che senza definirsi femminista partecipò e finanziò di sua tasca i movimenti risorgimentali. Dunque a chi ci si riferisce quando si tira in ballo il femminismo? E perché le donne sono state costrette a lottare da millenni per poter semplicemente essere considerate delle persone con pari diritti agli uomini? Se non perché avevano memoria di un tempo in cui quei diritti li avevano avuti?
Il regime androcratico mondiale ha tutto l’interesse a continuare a irridere l’esistenza, ancorché straprovata, della civiltà matrifocale e matrilineare prepatriarcale. Ho volut vederci più chiaro e ho deciso di leggere per intero l’opera del 1861Il matriarcato o il diritto materno, di Johann Jakob Bachofen. Comincio dunque analizzandola, con tutti i suoi limiti. Innanzitutto, Bachofen non usa la parola matriarcato bensì civiltà ginecocratica che significa guidata dalle donne. La parola matriarcato deriva dall’espressione diritto materno, ovvero il diritto naturale originario, che era anche il primo titolo del libro.
Bachofen comincia appunto riportando l’esempio delle genti cretesi che usavano l’espressione “terra materna” (anziché patria); <la comunanza del grembo materno – scrive – fu celebrata come il più intimo vincolo, unica base di parentela; l’assistere la madre, il difenderla, il vendicarla, appare come il dovere più sacro; mentre l’attentare alla sua vita fu considerato come una colpa inespiabile, pure se al servizio del padre oltraggiato. Servono altri particolari?>, si chiede Bachofen.
Ovviamente l’opera ha i limiti che ci si aspetta in una visione patriarcale del matriarcato. Essendo stata scritta da un uomo, pur con le migliori intenzioni non riesce a sganciarsi dall’idea che tutto ciò che è ctonio, tellurico e basso sia inferiore a ciò che è celeste e alto, che la maternità sia selvaggia e materiale, mentre la paternità civile e spirituale e che il passaggio da matriarcato a patriarcato sia da collegare a una evoluzione spirituale dell’umanità e a una maggiore purificazione degli istinti, e non come è stato provato dall’archeologia, dalle invasioni dei guerrieri mongoli e caucasici che hanno attuato tale sostituzione con la violenza.
Inoltre Bachofen collega il principio femminile alla luna e parla di primato, nelle società ginecocratiche, della notte- oscurità – grembo materno sul giorno, non tenendo conto, o non sapendo, del lungo periodo di storia in cui la dea era androgine e solare: <con la Terra – scrive – è identificata la notte: la più antica divinità, concepita come madre e potere ctonio, e connessa alla donna. Invece il Sole fa alzare lo sguardo alla contemplazione dello splendore della forza virile. L’astro diurno fa vincere l’idea della paternità>. Sostiene inoltre che nelle società ginecocratiche veniva data maggiore importanza, scrive: <al lato oscuro della morte anziché al lato chiaro della crescita naturale, al morto anziché al vivo, al lutto anziché alla gioia>. Anche questa è una errata interpretazione patriarcale: il concetto di morte associato al lutto e all’oscurità. Nella cultura ginecocratica la morte non era per nulla un fatto luttuoso né definitivo ma un semplice passaggio ad un’altra dimensione in attesa di tornare nel mondo fisico.
<L’espressione Diritto Materno (Mutterrecht) – scrive Bachofen – è nuova. Un mondo nuovo e la più originaria norma di vita, una fase di civiltà sepolta o superata. Riporta Erodoto che il popolo dei Lici non dava il nome paterno ai figli ma solo quello materno, che nelle loro genealogie menzionavano solo gli avi materni e la classe sociale dei figli veniva definita solo in base a quella della madre. Riporta ancora Erodoto che l’eredità del re Sarpedone andò di diritto a sua figlia Laodamia anziché ai figli maschi. Nicola Damasceno ricorda che solo le figlie potevano ereditare e Strabone che i Cantabri ricevevano una dote dalle sorelle. Tacito riferisce che tra i Germani il ceppo familiare continuava tramite la sorella. il diritto materno – conclude Bachofen- dunque non riguarda certi popoli, bensì una fase di civiltà che precede il diritto paterno>.
<La tradizione mitica – scrive ancora – è la fedele espressione della legge di vita di un’età ginecocratica, la base dello sviluppo storico del mondo antico, e una fonte storica autentica e attendibile>. E questo detto da uno storico; prosegue Bachofen: <Elementi antichi sono repressi dai nuovi, Denominazioni femminili divengono maschili. Insomma: frutti di concezioni materne cedono alle esigenze di una teoria generata dalla paternità. Senza conoscere le origini, la conoscenza storica non può arrivar a conclusioni. La ginecocrazia reca i segni di una compiuta fase di sviluppo dello spirito umano. La sovranità in famiglia del principio materno non è un fenomeno isolato>.
<Connaturato al principio paterno – precisa Bachofen – è il particolarismo, invece a quello materno l’universalità. Il principio paterno restringe l’appartenenza ad un solo gruppo; il principio materno non conosce esclusivismo più di quanto faccia l’ecosistema. Dal principio della maternità generatrice deriva la fratellanza universale di tutti gli esseri umani, Il grembo di ogni donna è immagine mortale della Madre Terra, Demetra; e la terra natia conoscerà solo fratelli e sorelle finché, col sistema patriarcale, l’unità della massa sarà infranta. Materno è quel principio di universale eguaglianza e libertà, che ricorre nella vita dei popoli ginecocratici, famosi per l’assenza di lotte intestine e per il ripudio di ogni disturbo della pace. Esiodo parla di antiche stirpi di donne la cui scomparsa fece sparire la pace dalla terra! le matrone galliche furono chiamate a dirimere le controversie nella lega di Annibale coi Galli; in tante tradizioni antiche, le donne amministrano la giustizia, votano nelle assemblee popolari, impongono a schiere di combattenti di arrestarsi, mediano la pace e ne fissano le condizioni. Il genere umano – scrive sempre Bachofen – ha vissuto destini più alti di quanto la nostra immaginazione possa figurarsi. Le basi religiose della ginecocrazia fanno apparire il diritto materno nella sua forma più degna, lo collegano ai lati più elevati dell’esistenza, esibendo la grandezza dei tempi primordiali>.
<Alla superiore forza fisica dell’uomo la donna oppose la sua superiore sensibilità religiosa, al principio della violenza quello della pace, allo spirito di competizione lo spirito di conciliazione, all’odio l’amore. Così la donna seppe guidare l’esistenza selvaggia, fuori legge, dei primi tempi verso quella forma di civiltà più mite e calma, nella quale essa troneggerà come incarnazione della legge divina. In ciò sta il potere magico delle figure femminili… La ginecocrazia si lega ai Misteri della religione ctonia, l’utero si presenta qual espressione del mistero della dea Demetra diviene espressione del matriarcato nella sua forma sociale. la fede, la giustizia e tutte le specifiche qualità umane hanno nomi femminili, Dalla donna dipende il primo sviluppo del genere umano, il primo progresso verso la civiltà e una esistenza regolata, e in specie la prima educazione religiosa: dalla donna dipende il godimento di ogni bene superiore. In lei, prima che nell’uomo, si destò l’anelito ad affinare l’esistenza, È opera sua l’intera civiltà che seguì alla prima barbarie; suo dono, oltre alla vita, è ogni gioia della vita; la ginecocrazia appare come testimonianza del progresso della civiltà… La ginecocrazia, nel proceder dalla maternità generante (che ne è l’immagine fisica), sentì l’unità di tutto il mondo vivente e l’armonia dell’universo e la collegò al grembo generatore, all’amor materno che tutto accoglie, preserva e nutre. il dominio politico e domestico della donna resta intatto a lungo. Ma pure tale dominio doveva ridursi via via. Dunque – sostiene Bachofen – La storicità del matriarcato è irrefutabile>.
Ma poi, contraddicendosi, egli cambia improvvisamente rotta e dopo aver esaltato la società ginecocratica conclude abbracciando entusiasticamente gli stereotipi patriarcali ossia <L’umanità deve la vittoria del patriarcato all’idea di Stato di Roma, che gli diede rigorosa forma giuridica, fondando su di esso l’intera vita, immune alla decadenza della religione, alla corruzione dei costumi e alla ricaduta (come fosse una malattia) dell’anima popolare in concezioni ginecocratiche>. Bachofen parte dalla convizione che “La storia della razza umana è determinata dalla battaglia dei sessi”. Ora sappiamo che non è così: Lo studio dei pittogrammi e dei resti archeologici dell’epoca matrifocale dimostrano che l’idea di battaglia non era concepita, come pure è errata la idea di Bachofen che il matriarcato fosse il dominio delle donne sugli uomini. pure il concetto di dominio è solo patriarcale.
Infatti anche Meret Fehlmann, dell’Istituto per la cultura popolare dell’università di Zurigo, commenta che tutti e tre i tipi di donne nel modello a fasi proposto da Bachofen – la cortigiana addetta solo al piacere, la madre addetta solo alla procreazione e l’amazzone addetta solo alla vendetta contro il maschio – corrispondono alle idee stereotipe del sesso maschile nei confronti della donna
E finalmente arriva MarijaGimbutas a darci chiarezza e prove che perfino gli storici dovrebbero accettare poiché non si tratta di teorie ma di reperti archeologici. Marija Gimbutas, nacque in Lituania nel 1921 e dopo molte vicissitudini tra cui la fuga dall’Europa, giunse a insegnare alla UCLA, l’Università di Santa Barbara in California. Marija è l’archeologa responsabile di una visione totalmente nuova riguardo la preistoria europea. Dopo un primo periodo di difficoltà dovuto alla impostazione rivoluzionaria delle sue teorie e al fatto di essere una donna, le furono accordati fondi per scavare e questo le permise di suffragare concretamente le sue teorie che furono poi fonte di ispirazione per i movimenti di emancipazione delle donne. Attualmente è considerata un punto di riferimento e non solo tra gli addetti ai lavori in campo archeologico e antropologico. Cominciò a scavare in quella che chiamò l’Antica Europa, che andava dall’Italia meridionale a tutta l’area balcanica seguendo il corso del Danubio fino alla sua foce nel Mar Nero. In quelle terre e in quell’arco di tempo trovò almeno cinquecento statuette della Grande Dea Madre che confermavano la sua teoria inerente una millenaria cultura matrilineare e matrifocale, prepatriarcale, pacifica, ricca, ugualitaria e incentrata sul ruolo sacro delle donne datrici di vita, sbrigativamente bollata dalla storia ufficiale come “preistoria”.
Marija ci dimostra che la prima divinità adorata da tutta l’umanità fu una Dea Madre partenogenetica, la Natura, la Terra ma anche il cosmo e il cielo stellato e il sole, insomma la Vita intera. Questa meravigliosa ed evoluta società matrifocale, ma potremmo dire matriarcale se dessimo alla parola il suo giusto significato etimologico, dove arché non significa dominio ma origine, quindi matriarcato diventa origine materna e si lega quindi a quel diritto materno di cui aveva parlato Bachofen, questa società fu irrimediabilmente minata dalle invasioni di popoli guerrieri armati e a cavallo provenienti dall’ est dal Caucaso e dagli altipiani della Mongolia nel terzo millennio a.c. – che Marija Gimbutas ha chiamati Kurgan – che sdoganarono la cultura della morte violenza razzia e stupro, della servitù e della schiavitù. In tre successive ondate furono assoggettate le pacifiche comunità native dell’Antica Europa che non conoscevano la violenza o la lotta e non furono in grado di difendersi, poiché non avevano armi né fortificazioni, come dimostrano ancora una volta gli scavi archeologici relativi a quell’epoca. Ed è proprio questo che la storia patriarcale, nonostante l’evidenza delle prove, preferisce ignorare, continuando a cercare altre versioni meno imbarazzanti.
Cromlech de Guadalperal – Dolmen de Làcara – Parco archeologico di Gorafe
Il terzo tour alla scoperta dei megaliti iberici, da cabo Marroquì sale in Extremadura per vedere il cromlech di Guadalperal e ridiscende verso la Sierra Nevada per immergersi nella incredibile civiltà troglodita della valle del rio Alhama e poi nel santuario megalitico di Gorafe, nella Valle del rio Gor, con più di 200 dolmen dislocati sulle due pareti del canyon.
Il viaggio nel mondo dei megaliti iberici, di cui ho iniziato a narrare nel numero 11 di questa serie, prosegue verso ovest, nella provincia di Huelva. Di strada per il dolmen di Soto, all’ingresso del condado di Niebla, attraversiamo un impeccabile ponte romano sopra il Rio Tinto: tinto in ispanico indica il vino rosso e in effetti l’acqua del fiume è di un rosso vivo a causa dell’alto contenuto di ferro. Un fenomeno visivo emozionante e un luogo magico la cui energia ancestrale dedicata alla Madre si percepisce senza ombra di dubbio.
Ho già parlato di come, ogni volta che entro in un tempio megalitico o anche solo mi trovo in presenza di un singolo menhir, io mi senta letteralmente trasportata in una dimensione magica e sacra che non trovo in nessun luogo di culto più recente. Il mio viaggio-ricerca-risveglio procede nei decenni inarrestabile. Non posso fare altro che proseguire e, via via che viaggio e conosco, mi si aprono nuovi orizzonti e mi si presentano siti sacri che non avevo mai sentito e che vengono mantenuti in uno stato di scarsa visibilità, a mio avviso per questioni legate alle varie religioni patriarcali. Il megalitismo e le pitture rupestri risalgono a quella che Marija Gimbutas ha definito l’epoca matrifocale dell’Antica Europa. Ammettere quindi che è esistita una comunità globale su tutto il territorio europeo – e in parte asiatico poiché va dall’Armenia al Portogallo – basata sull’abbondanza e prosperità, sulla pace e bellezza, sulla libera condivisione e in grado di realizzare tanto opere megalitiche gigantesche quanto pitture all’interno di grotte profonde e buie, senza l’ausilio di quella che, nella nostra visione moderna, sarebbe la tecnologia, significherebbe distruggere il primato della cultura androcentrica che il sistema capitalistico-religioso alimenta.
Particolarmente il megalitismo dei paesi del bacino mediterraneo settentrionale, sotto il controllo del dominio cattolico, fatica ad essere conosciuto. Infatti, mentre si parla molto dei megaliti irlandesi, bretoni, britannici e scozzesi, si sa poco in generale di quelli sardi, calabri e… iberici. Avevo esplorato già l’area archeologica di Almendres nella provincia lusitana di Evora, in Alentejo. Ora è venuto per me il tempo e l’opportunità di conoscere i magnifici e imponenti megaliti andalusi.
La via del centro è il cammino sacro dei tarocchi, la via rossa dei popoli nativi, la rubedo che si snoda tra il bianco e il nero alchemici all’interno dell’albero della vita. Ma si può anche percorrere una via del centro – quasi come rituale psicomagico – attraversando per il lungo da nord a sud, in modo cosciente e consapevole, la penisola italica: non la costa tirrenica che sarebbe la via nera, non l’adriatica che sarebbe la via bianca, bensì la dorsale appenninica: la via rossa che scende lungo l’Appennino, l’antica via della transumanza che percorre le valli lungo strade che passano tra le montagne e i borghi medievali e che dischiudono scrigni di tesori (come l’oratorio del s. Pellegrino di Bominaco – AQ) a chi mai avrebbe pensato che “la via del centro” peninsulare potesse essere così meravigliosa. Poiché ogni mio viaggio, lontano o vicino, è sempre stato un cammino iniziatico, questa è la storia del mio viaggio lungo la via del centro della matria italica: la dorsale appenninica
Studio della trasformazione iconografica della Grande Madre
Mi sento di affermare con una certa sicurezza che l’umanità abbia conosciuto l’unico vero monoteismo nella forma della Grande Madre neolitica, la Vita autofecondante partenogenetica e ovunque presente. Le nostre antenate e antenati del paleolitico e del neolitico non riconoscevano divinità, santi o trinità: osservavano la natura e ciò che vi succedeva. Vedevano i frutti e i semi sbocciare d’estate e seccarsi d’inverno e vedevano le creature nascere da un’apertura tra le cosce delle femmine. Questo semplice fatto le-li portava ad adorare una Grande Madre cosmica che partorisce dal suo ventre tutte le cose vive, come immagine della Vita unica e infinita,identificando con Lei lo spirito divino che alimenta ogni essere vivente. Questa immagine si trasformò poi, attraversando diverse fasi, nella sirena bicaudata, simbolo tra i più sacri dell’Antica Europa
Siamo abituatx a pensare a messia come a un essere di sesso maschile e a identificare quello che è un concetto filosofico metafisico con la figura storica di Joshua. Scrivevo in “La via degli immortali”: <Il significato di MŠA-messia è la discesa progressiva di fuoco (Š-Shin), aria (M-Mem) e acqua (A-Alef) – ovvero le tre lettere che compongono la parola messia MŠA – nella terra alchemica>. Non c’è alcuna connotazione di genere nella parola messia. Io quest’anno, dunque, attendo la venuta DELLA messia, di cui ci fu già una incarnazione nel XIII sec. in Guglielma la Boema, riconosciuta come incarnazione della Sofia-forma divina femminina. Guglielma è stata cancellata dalla chiesa di Roma e dalla storia ufficiale patriarcale e i suoi resti bruciati nel rogo con la sua vicaria Maifreda da Pirovano, la Papessa, legalmente eletta dal popolo milanese.
Offro qua uno stralcio del racconto di Guglielma la Boema, contenuto nel mio libro ANTENATE LA VISIONE DELLE DONNE (scaricabile gratuitamente da questo sito alla sezione libri o in versione audio sul mio canale youtube al link in fondo) è molto adatta a questi tempi <… La mia visione invece, che poi chiamarono con l’altisonante nome di movimento Guglielmita, sosteneva che il rinnovamento della società cristiana sarebbe venuto dal sesso femminile e che sarebbe iniziato da me, Guglielma… Io fui percepita come incarnazione di Sofia, il volto femminile divino. L’identificazione tra Sofia e Spirito Santo non era sconosciuta nemmeno in seno alla chiesa. Era il modo in cui il sistema patriarcale aveva trasformato la figura della Madre in una entità maschile socialmente accettabile… Ma quello che chiamavano Spirito Santo trasformava le creature dall’interno, senza giudizi o sacrifici. Questa era la beata potenza benefica femminile della Dea, che essi vedevano incarnata in me… Visto che la crocefissione di Joshua si era rivelata inutile, almeno stando a ciò che avevamo davanti agli occhi ovvero una chiesa corrotta e un mondo pervertito, sembrava che per forza la via della salvazione dovesse passare attraverso un corpo di donna: chissà che questa volta non andasse meglio! Ero divina come tutte le creature viventi figlie della Dea e offrivo la salvezza anche ai non cattolici in quanto non pensavo che la chiesa, poiché rinnegava la Dea, fosse depositaria di verità. I non cattolici per me erano tutti quelli che si rifiutavano di seguire il patriarcato ecclesiastico. Le mie parole volevano svelare quello che il pregiudizio umano aveva fino allora impedito di riconoscere nel piano divino; volevano dire che il mio corpo di donna avrebbe condotto alla divinità secondo un’altra strada, diversa da quella del corpo di uomo che era stato martoriato e crocefisso…>. https://www.youtube.com/watch?v=6D-6zMc4zAM
E a chi mi parla dell’estremo sacrificio iniziatico di Joshua, in amore e in pace e senza nulla togliere alla splendida figura di Joshua io rispondo con i milioni di roghi di donne medicina.
Da millenni, ovvero da quando le pacifiche comunità matrifocali della Terra sono state travolte e distrutte dalle invasioni dei guerrieri a cavallo che hanno aperto il portale della dualità e instaurato il suo guardiano – il patriarcato – le donne periodicamente hanno provato a vivere in modo libero riunendosi in comunità femminine indipendenti sia economicamente che psicologicamente. Questo articolo vuole carrellare su alcuni di questi esempi avvicendatisi in quasi 2.000 anni di storia, tutti con qualcosa in comune: la libertà di pensiero e di azione delle donne.
2° metà del 400 d.C. Le Brigidine
Brigid fotografata da me a Cill Dara
Brigid di Kildare, oggi patrona d’Irlanda, era figlia di un capoclan e ricevette inizialmente un’istruzione druidica da parte del druido Maithín. Quando fu costretta a spostarsi con la madre presso il druido Breas, fratello di Maithín, cominciò a ricevere un’ istruzione da Mongfind, sorella dei due druidi e una delle maggiori operatrici della fusione tra l’antica tradizione druidica – che aveva studiato alla scuola druidica insieme ai suoi due fratelli – e le nuove comunità che pregavano Joshua il nazireo.
Come figlia di un capoclan Brigid aveva il dovere di fare un matrimonio “conveniente”, quello che le aveva combinato il padre. Ma lei non voleva sposarsi. Voleva studiare, aiutare le persone ed essere libera. Per evitare il matrimonio si sfigurò il volto e il padre fu costretto a lasciarla libera.
La giovinetta si recò allora a Fotharta, dove una saggia donna di nome Monnena aveva radunato nove sorelle spirituali e aveva creato un luogo di pace e bellezza, un monastero dove potessero vivere insieme in preghiera, meditazione, servizio e studio. Fu da lì che partì dopo qualche tempo con alcune sorelle per fondare altre case di fanciulle come Fotharta, viaggiando attraverso l’Irlanda fino ad arrivare a Cill Dara dove creò la casa madre che tutt’oggi esiste. Per le fanciulle l’unico modo per viaggiare da sole era prendere i voti e così diventarono tutte Vergini Consacrate.
Il simbolo delle sorelle brigidine oggi
Le Solas Bridhe oggi
La vita nei monasteri creati da Brigid era libera e indipendente. Proprio come faranno le beghine 8 secoli dopo, le fanciulle di Brigid, che non avevano mai dimenticato la loro relazione con la Dea Brigid, si occupavano di malati e bisognosi, lavoravano la terra, pascolavano e mungevano le mucche, studiavano, conoscevano erbe e rimedi. I monasteri avevano terre, un proprio mulino ed erano autosufficienti quanto alle derrate alimentari e le donne che vi vivevano erano felici e appagate tanto che nel giro di poco tempo, come succederà anche a Hildegard, si dovettero creare altre case per accogliere il gran numero di fanciulle che volevano entrarvi. Oggi le Solas Bridhe, le sorelle brigidine, custodiscono il sacro fuoco di Brigid e ne continuano la ritualità e gli insegnamenti. Ne ho parlato più diffusamente nel resoconto del mio viaggio in Irlanda a questo link
In preghiera davanti all’altare di Brigid con la croce di spighe
1200 Le Beghine
Ricostruzione dell’immaginedi una beghina
Le beghine incarnano una delle esperienze di vita femminile più libere della storia. Laiche e religiose al tempo stesso, vissero in totale indipendenza dal controllo maschile – tanto familiare quanto ecclesiastico – e la libertà di cui godevano era garantita dalla rete di relazioni che stabilivano primariamente tra loro e poi con il resto della popolazione delle città in cui vivevano. Il loro rapporto col divino era “sine medio”, come insegna la più illustre tra le beghine, Margherita Porete, mistica filosofa e teologa bruciata come eretica.
Il modo di vivere e di intendere il mondo di queste donne si estese rapidamente dalle originarie Fiandre e Francia settentrionale a tutta l’Europa occidentale fino a diventare un vero e proprio movimento, per il numero di donne che vi aderirono.
Lo spazio di libertà che esse rappresentavano le situava oltre l’ordine patriarcale duale. Esse diedero vita a qualcosa di nuovo e originale, poiché non erano monache anche se sceglievano di vivere in castità.
Erano guaritrici, levatrici, copiste, insegnanti per le bambine, artigiane e commercianti, svolgevano una serie di compiti connessi alla morte e al passaggio dell’anima all’Aldilà. Pregavano per la salvezza del morente, lo vegliavano e lo avvolgevano nel lenzuolo funebre partecipavano ai funerali e accompagnavano il corpo del defunto al cimitero. Vivevano in maniera semplice e frugale dedicando la loro energia e la loro tensione spirituale alla ricerca di un modus vivendi utile sano laborioso e condiviso.
La cura del corpo degli infermi e dei moribondi prestata dalle beghine costituisce una pratica spirituale intimamente legata alla compassione e alla solidarietà.
<I beghinaggi rappresentano tutti, comunque, un’unica realtà: uno spazio che non è domestico né conventuale. È uno spazio che le donne condividono ai margini del sistema di parentela patriarcale. Uno spazio di trasgressione dei limiti, taciti o scritti, imposti alle donne, non mediato da nessun tipo di dipendenza né di subordinazione, in cui le donne agiscono da agenti generatori di forme nuove e proprie di relazione e di una autorità femminile. Uno spazio che diviene simbolico modello, in definitiva, per altre donne>. (Elena Botinas Montero)
Una beghina del secolo scorso
I beguinages esistono tutt’oggi. Alcune case sono diventate Patrimonio dell’Umanità, come quella di Bruges. Al loro interno le beghine continuano la tranquilla ed encomiabile tradizione di autonomia lavorativa e di occuparsi di chi ha bisogno, senza necessità di prendere i voti.
Margherita Porete
Tutte le comunità di donne indipendenti hanno avuto una loro “campiona”: le beghine furono sovranamente rappresentate da Margherita Porete.
Nel medioevo solo gli uomini errano scrittori di testi: mai le donne. Margherita, la più famosa beghina di cui si abbia menzione, ebbe una cultura teologica e filosofica, fu una fuori casta. Margherita venne accomunata all’Eresia del Libero Spirito il quale, contro l’idea di un dio padre padrone, predicava il sentirsi tutt’una col divino.
Scrisse “Lo specchio delle anime semplici”, il libro che la fece incriminare, in francese non in latino. Lo speculum o miroir era un genere letterario medievale dove si discuteva con finalità pedagogica intorno a un argomento tramite un dialogo che veniva recitato come in un teatro: tre i personaggi Amore (è femminile nel libro) Anima e Ragione. Il testo offre insegnamenti e consigli contrari a quelli della chiesa. Amore è intelligenza, non ha connotazione nuziale o sessuale, non c’è desiderio erotico: si diventa amore. È il grembo della Dea in cui si incarna il logos-spirito ovvero la commistione di amore e intelligenza.
Cosa significa Specchio delle anime semplici? Cos’è semplice? Qualcosa è semplice quando è sine plica, senza pieghe: lì non c’è più il due, c’è solo unità. Il divino non è qualcos’altro esterno a me: il divino sono io, amare il divino è amare me. La simplicitas significa che non c’è più il due, poiché il due è il male: male è ciò che è duplice triplice. Il male è l’io e il suo desiderio di appropriazione di qualcosa d’altro ritenendolo separato da se stessx.
La creazione per Margherita Porete è qualcosa di continuo che non ha un perché: non c’è un fine, un obiettivo. La creazione sono io che da me stessa rivelo ciò che sono già in potenza: mi dispiego, tolgo le pieghe e divento sine plica, semplice. Scompare l’io appare il tutto. Non c’è l’attesa della pienezza dei tempi: tutto avviene nell’istante. Margherita parla dell’importanza di “Sentire la vita da sveglie”, da risvegliate: la presenza. Laddove termina la volontà individuale e l’oggettivazione, là avviene la liberazione-annichilazione. Noi siamo libere dentro: abbiamo bisogno di risvegliare la coscienza di esserlo. Lo possiamo fare perché ne abbiamo il germe dentro di noi.
Copertina del libro di Margherita miracolosamente giunto a noi
Margherita fu arsa viva nella place de Grèves a Parigi insieme al suo libro (per fortuna ne scampò una copia di nascosto) e i beguinages furono chiusi nel 1317 da bolla papale per eresia. Sopravvissero per qualche decennio in segreto e poi scomparvero.
1600 Le Preziose
Si definirono “Preziose”, erano donne spirituali che praticavano l’amor cortese, gli studi nobili e i sentimenti delicati e distinti nella Francia di Luigi XIV. A dare il via intorno al 1608 fu la marchesa de Rambouillet, una donna che unì l’elevazione del cuore con la distinzione dell’intelligenza. Disturbata dalla depravazione e dalla volgarità che regnava alla corte di Luigi aprì la sua “camera blu” alle anime nobili che desideravano perseguire, nonostante il generale abbrutimento, la purezza dei costumi, la decenza, la virtù, le disquisizioni su letteratura morale e bel linguaggio. Le donne colte e indipendenti che si davano appuntamento nella Camera Blu di Madame de Rambouillet definivano se stesse “le preziose”.
Chiacchierando in quella sorta di tempio della cultura e della spiritualità, univano alle speculazioni filologiche e artistiche un elemento protofemminista: la reazione all’ignoranza e alla passività cui le donne erano condannate. Le preziose cercavano in quei circoli presieduti da donne una compensazione alla sottomissione voluta dal patriarcato, che le manteneva ignoranti e lascive. Era quella infatti un’epoca di volgarità sessuale giustificata dalla cosiddetta galanteria, ovvero chiunque faceva sesso con chiunque purché “ufficialmente” non si sapesse, attitudine questa che alimentò il mondo delle cortigiane che ruotavano attorno alla corte, appunto, del re.
Le preziose ebbero il merito anche di attirare l’attenzione sulla psicologia: Madame de La Fayette una delle dame più in vista tra le preziose parigine, visse una vita molto libera. Lontana dal marito che si occupava della sua tenuta in campagna, ella visse da sola a Parigi dove ebbe un intensa vita sociale.
Il suo romanzo più noto, “La principessa di Clèves” è considerato il primo romanzo psicologico della storia letteraria. La protagonista, divenuta vedova, sarebbe libera di coronare legalmente il suo amore sposando l’uomo che da tempo ama. Ma persuasa che il marito sia morto di dolore nello scoprire la sua inclinazione, ancorché non suffragata da nessun atto illecito, ella non può pensare di sposare colui a causa del quale morì suo marito, del quale lei aveva comunque una profonda stima. Questa donna antepone il rispetto di sé alla passione, in un modo che ricorda molto quello dell’icona della libertà Jane Eyre. La principessa è sempre stata innocente ma sottoposta a una pressione psicologica enorme da parte dello spasimante che voleva in tutti i modi possederla e del marito che la credeva colpevole. Infine, il marito non le crede quando lei si risolve a confidargli il suo turbamento e gli chiede di potersi ritirare in campagna per non essere ogni giorno costretta a sopportare, senza mai essere colpevole, gli assalti di uno, i sospetti dell’altro, le intromissioni e manipolazioni della corte frivola e impicciona, in un crescendo di violenza psicologica che oggi chiameremmo stalking.
E il marito, convinto che lei lo abbia tradito, si ammala e muore. Una donna che ha il coraggio di essere sincera con suo marito e gli confessa la sua integrità non viene creduta. In punto di morte il marito le confessa che avrebbe preferito essere ingannato come tutti gli altri mariti. Un’opera di eccezionale valore emozionale psicologico e morale, questa di Madame de La Fayette, che ci fa comprendere come per le Preziose rispetto sia uguale a rinuncia: tutto il piacere che possono provare deriva dall’esercizio dell’intelletto, dallo studio, dalla cultura, dall’arte, dalla purezza dei costumi che portano all’elevazione e dalle relazioni di onesta amicizia.
Tra gli altri meriti delle Preziose vi è quello di aver creato un linguaggio fiorito ed elegante ma usando il francese, senza grecismi o latinismi. Alcune espressioni che ancora oggi usiamo, come “lasciar morire la conversazione” o “mi manca la parola” le coniarono loro.
Le prime Preziose a riunirsi nella Camera Blu furono la principessa di Condé e sua figlia Madame de Longueville, Madame de Sablé, Mademoiselle Paulet e Madeleine de Scudéry. Quest’ultima scrisse un romanzo molto particolare – “Clelia” – una damigella che analizza l’amore e le sue cause con grande lucidità e lungimiranza psicologica. La carta del Paese di Tenerezza inventata da Madeleine de Scudéry e pubblicata nel romanzo Clelia nel 1654, offre una sorta di mappa della casistica dell’amore in cui si snodano i percorsi degli amori felici e infelici e che potrebbe essere il manifesto delle Preziose.
La mappa del Paese della tenerezza
Scrive <… ella (Clelia) ha immaginato che si potesse provare della tenerezza per tre diverse cause: o per una grande stima o per riconoscenza o per inclinazione; ciò l’ha obbligata a porre le tre città di Tenerezza su tre fiumi che portano i nomi e di tracciare tre strade diverse per arrivarvi. Così come si dice Cuma sul mar Ionio e Cuma sul Tirreno, ella le ha chiamate Tenerezza su Inclinazione, Tenerezza su Stima e Tenerezza su Riconoscenza. Tuttavia, poiché ha presupposto che la Tenerezza che nasce dall’ Inclinazione non ha bisogno di null’altro per esistere che se stessa, Clelia non ha posto alcun villaggio lungo i bordi di questo fiume che corre così rapido che basta dimorare lungo le sue rive per andare da Nuova Amicizia a Tenerezza. Il percorso è diverso per andare a Tenerezza da Stima, poiché Clelia ha ingegnosamente posto altrettanti paesi quante piccole e grandi cose possono contribuire a far nascere sulla base della stima quella tenerezza di cui intende parlare. In effetti da Nuova Amicizia si passa a un luogo che si chiama Sommo Ingegno poiché con esso che di solito inizia la Stima; noti poi quei piacevoli paesi di Versi Graziosi, Biglietto Galante e Biglietto Tenero che rappresentano le operazioni più comuni del Sommo Ingegno all’inizio di un amicizia. In seguito, per progredire ulteriormente su questa strada, troviamo Sincerità, Gran Cuore, Probità, Generosità, Rispetto, Puntualità e Bontà, che si trova proprio di fronte a Tenerezza, per far sapere che non ci può essere vera stima senza possedere questa preziosa qualità. Dopo ciò, Signora, bisogna ritornare a Nuova Amicizia per vedere per quale strada si va da quel punto a Tenerezza da Riconoscenza. Notare come sia necessario andare prima da Nuova Amicizia a Compiacenza; poi al piccolo paese Sottomissione che ne tocca un altro molto grazioso chiamato Piccole Attenzioni. Da lì si deve passare per Assiduità, per fare intendere che non è sufficiente avere per qualche giorno quelle piccole attenzioni obbliganti che producono tanta riconoscenza, se non le si ha assiduamente. Si passa al Paese di Sollecitudine e non si devono imitare certe persone placide che non si danno mai premura, quali che siano le richieste fatte loro e che sono incapaci di avere quella sollecitudine che talvolta obbliga cosi fortemente. … E’ poi necessario passare per Sensibilità per far sapere che bisogna condividere anche i più piccoli dolori dell’ amato. Per arrivare a Tenerezza, devi esercitare Tenerezza, poiché l’amicizia attira l’amicizia…. Per arrivare infine alla meta, bisogna passare per Amicizia Costante che è senza dubbio il cammino più sicuro per arrivare a Tenerezza da Riconoscenza. Ma, signora, poiché non c’è sentiero in cui non ci si possa sperdere, Clelia ha fatto in modo, che se quelli che sono al paese di Nuova Amicizia prendono un po’ più a destra o a sinistra si sperderanno immediatamente; poiché se ha partire da Grande Spirito si andasse a Negligenza, proprio qui di fronte, e continuando in questa deviazione si va a Diseguaglianza, a Freddezza, Leggerezza, Dimenticanza, invece di andare a Tenerezza da Stima ci si troverebbe al Lago di Indifferenza… Dall’ altro lato, se a partire da Nuova Amicizia si prendesse un po’ troppo a destra e si andasse ad Indiscrezione, Perfidia, Orgoglio, Maldicenza o Cattiveria, invece di trovarsi a Tenerezza da Riconoscenza, ci si troverebbe al mare di Inimicizia ove tutti i vascelli naufragano e che, per l’agitazione delle sue onde, conviene certo molto bene a questa impetuosa passione che Clelia vuole rappresentare. (…) Questa saggia fanciulla volendo far sapere che non ha mai avuto amori e che non potrà avere altro nel cuore che tenerezza, ha voluto che il fiume di Inclinazione si gettasse in un mare chiamato Mare Pericoloso poiché è davvero pericoloso che una donna vada oltre gli ultimi confini dell’ amicizia; ella fa si che poi aldilà di questo mare ci siano quelle che chiamano Terre Sconosciute… Clelia ha trovato cosi il modo di fare una piacevole morale d’ amicizia mediante un semplice motto di spirito, e di far capire in modo molto particolare che ella non ha avuto amori e non può averne>.
Ninon de Lenclos
Ninon de Lenclos
Campiona dei salotti fu Ninon de Lenclos. Ninon, celebrata dama indipendente dell’epoca, non fu una cortigiana come viene riportato dalla storia ufficiale, fu una donna libera e libertina. Il libertinismo, tuttavia, non si deve confondere con il libertinaggio. Il libertinismo fu un movimento filosofico che ricercava la ragione e la libertà dalle superstizioni, dalla falsa moralità, dall’ipocrisia sociale: quindi perseguiva la libertà di pensiero, di costumi e di giudizio. Libere pensatrici e pensatori del Seicento che professavano una visione laica del mondo e idee spregiudicate, spesso in contrasto con le chiese. Gli argomenti che più interessavano loro erano la critica delle religioni e l’atomismo da un punto di vista fisico-cosmologico.
Ninon era appunto una donna emancipata e indipendente. Viveva dei proventi delle sue terre, non dava amore in cambio di denaro come le cortigiane, sceglieva i suoi amanti e li teneva finché ne ricavavano reciproco piacere fisico e intellettuale e poi costoro restavano suoi amici e frequentavano il suo salotto e questa, a suo dire, era la parte migliore della relazione. Accettava doni ma questo non dava ai donatori nessun diritto su di lei e spesso infatti non andavano al di là del suo salotto. La famosa Camera Gialla, dove Ninon riceveva i suoi amanti, era considerata all’epoca quasi un tempio. Ninon pensava da sé e praticava l’amore come scelta, non come merce di scambio. Donna intelligente, colta, raffinata, gentile, tollerante, generosa e affidabile, Ninon partecipò in principio agli incontri delle Preziose nella Camera Blu di Madame de Rambouillet. In seguito tuttavia se ne staccò poiché non si sentiva in risonanza con la rinuncia all’amore e al piacere fisico, al quale viceversa lei si concedeva con gioia. Ma è importante chiarire che sceglieva lei i suoi cavalieri, avendo deciso di vivere esattamente con la stessa libertà degli uomini.
Ci spostiamo ora all’epoca delle invasioni europee in America.
Worisiana
Nel 5000 a.C. un popolo chiamato Aruachi, probabilmente proveniente dal Giappone, sbarcò sulla costa sudamericana del Pacifico. Si installò prima in Colombia, poi in Venezuela, Brasile settentrionale e via via scese lungo il Rio delle Amazzoni verso Bolivia e Perù. Era un popolo formato da clan matriarcali e matrilocali di cui ancora oggi rimane testimonianza nel Brasile meridionale tra gli indigeni Guarany Kaiowa della grande comunità Bororo in Mato Grosso do Sul e in Argentina.
Donne medicina e leaders Bororo in Mato Grosso do Sul – foto Leticia Lazzarini
Queste genti credevano in una Dea Madre primordiale di nome MAMONA, la Dea terra-pietra, madre di AMANA Dea luna-acqua-luce. Nel 1542 il conquistador spagnolo Orellana, navigando lungo il Rio delle Amazzoni giunse a una città abitata solo da donne che andavano lì per vivere senza uomini e governata da una regina: Conori. Queste donne sapevano innalzare città di pietra, conoscevano le leggi dell’architettura dell’edilizia, costruivano mura strade porte e templi.
Una volta all’anno invitavano uomini per accoppiarsi e se nascevano bambine le allevavano, se nascevano maschietti li restituivano alle famiglie dei padri.
Il Rio delle Amazzoni fu chiamato così perché queste donne ricordarono ai conquistadores le figure delle amazzoni greche, che vivevano in piena autonomia e indipendenza, provvedendo a se stesse. I testimoni bianchi riportarono nei resoconti che avevano gioielli in oro e argento, abiti preziosi, tessuti e ceramiche raffinate. Oggi l’archeologia scavando nel delta del Rio delle Amazzoni ha riportato alla luce un’antichissima cultura urbana di clan matriarcali che abitavano case costruite su colline artificiali e creavano raffinate ceramiche e statuette della Dea.
Foto di Leticia Lazzarini
Negli anni ‘50 in Amazzonia un antropologo trovò 6 stanziamenti di donne nubili nascoste sulle rive del lago Yacura, che significa lago della luna, dove celebravano le loro cerimonie. In uno di questi stanziamenti le ragazze venivano istruite dalla donna anziana. Una volta l’anno ricevevano uomini per due settimane, per accoppiarsi. Durante quel periodo offrivano banchetti e doni di grande ricchezza. Ragazzine di 13 anni andavano a caccia e con una lancia corta erano in grado di uccidere un giaguaro. Si tratta di un ordine sociale molto antico che portava ricchezza e felicità a tutte. Esse chiamavano se stesse Worisiana o “Paese delle donne che discendono dalle madri”.
1930 Le Libere Amazzoni di Darkover
Marion Zimmer Bradley
Concludiamo secondo un perfetto fattore risonanza, muovendoci tra gruppi di donne indipendenti storiche ma anche letterarie che hanno ispirato gruppi storici. Marion Zimmer Bradley, amata e conosciuta autrice del ciclo di Avalon, fu una occultista e studentessa di magia cerimoniale, nei suoi romanzi c’è sempre un contenuto wiccan. Marion aveva concepito un Ordine Occulto il cui scopo era ripristinare il culto della Dea. L’ordine si sciolse nel 1982, sentendo che il suo scopo era stato raggiunto.
Alla fine degli anni ’70 Marion si unì a un gruppo di sacerdotesse Wiccan e insieme a Diana L. Paxson e altre sue collaboratrici e coautrici creò il Dark Moon Circle. Marion sosteneva di essere la reincarnazione di Charlotte Brontë. Nel 1962 scrisse per la prima volta della Lega delle Libere Amazzoni, nel romanzo “La catena spezzata” del ciclo di Darkover. Nel creare le case della Lega delle Libere Amazzoni, Marion ebbe sicuramente presenti come fonti ispiratrici i beguinages. Sul pianeta Darkover le donne che non volevano prendere marito andavano a vivere tutte insieme in queste case della Lega e mantenevano se stesse lavorando come artigiane, erboriste, guaritrici, levatrici, guide alpine e mercenarie.
Si accoppiavano solo quando lo desideravano e senza sposarsi e se nascevano femmine le tenevano con sé e le educavano, se nascevano maschi li restituivano alle famiglie dei padri, come le antiche progenitrici Worisiana. Le Libere Amazzoni giuravano su una sorta di statuto, chiamato appunto “il giuramento della libera amazzone” e ricevevano il nome matrilineare composto dal nome di battesimo e da quello della madre inframezzato dalla particella n’ha, che in “darkovano” significa “figlia di”
Negli anni ‘70 alcune donne chiesero a Marion il permesso di costituire una vera casa della Lega negli Stati Uniti, di vivere come le Libere Amazzoni e di cambiarsi il nome usando la patrilinea con la particella n’ha. Secondo questa dizione io sarei Devana n’ha Liliana. Come vedete anche io mi sono ispirata a Marion e alle Libere Amazzoni di Darkover, ma sono convinta che proprio così si chiamassero le donne nelle antiche comunità matrifocali neolitiche.
Le femministe considerarono le Libere Amazzoni molto ispiratrici, molto più di semplici creazioni letterarie. E così si chiude il cerchio e dal neolitico si arriva al femminismo passando per la fantascienza. Di seguito riporto il testo integrale del
“Giuramento delle libere amazzoni”
Da questo giorno in poi rinuncio al diritto di sposarmi salvo che con libero matrimonio: nessun uomo mi legherà “di catena” e non abiterò in casa di nessun uomo come concubina.
Sarò pronta a difendermi con la forza se sarò aggredita e non mi rivolgerò a nessun uomo per chiedere protezione.
D‘ora in poi non mi farò chiamare con il nome di nessun uomo, padre, tutore, amante o marito che sia, ma sarò conosciuta solo come la figlia di mia madre.
Non darò figli ad alcun uomo salvo che per mia soddisfazione, per mia scelta e nel momento da me deciso.
D‘ora in poi rinuncio ai miei obblighi verso la famiglia, il clan, il tutore o il signore.
Non chiederò ad alcun uomo protezione, aiuto o soccorso e obbedirò solo alla mia Madre di Voto e alle mie Sorelle della Loggia.
Ogni appartenente alla Corporazione delle Libere Amazzoni sarà per me come una madre, una figlia e una sorella, sangue del mio sangue, e nessuna donna legata di giuramento della Corporazione si rivolgerà a me invano.
E se tradirò i segreti della Corporazione o infrangerò il giuramento, che la mano di ogni donna infierisca su di me e il mio corpo e la mia anima siano lasciate alla misericordia della Dea.
Per approfondimenti sono stati linkate nel testo letture dei libri citati e video documentari da me realizzati sui miei canali youtube Devanavision e La Scuola delle Donne®
Fonti
“Il racconto di Brigid” di Devana, da Antenate la visione delle donne scaricabile da questo sito alla sezione Libri
Rifletto sulle espressioni “salvare la vita”, “avremmo potuto salvare delle vite”, “procedura salva-vita” e mi rendo conto di quanto le frasi manipolino e distorcano la verità. E la verità è che non si salva la vita in quanto LA VITA NON E’ IN PERICOLO E NON PUO’ FINIRE. Il concetto di vita che si interrompe con la morte è una distorsione duale falsa. LA VITA E’ ETERNA E PUO’ SOLO COSTANTEMENTE AUTORIGENERARSI E TRASMUTARSI. La vita è ovunque, anche lì dove i nostri sensi limitati non la percepiscono. LA VITA E’ ANCHE ALL’INTERNO DI UN CADAVERE dove si muovono migliaia di creaturine vivissime che aiutano il corpo a trasmutare. SALVARE LA VITA è un PARADOSSO DUALE FALSO E FUORVIANTE. Tutto ciò che le pratiche mediche o pseudotali possono fare è prolungare la permanenza in un corpo che la visione duale mi fa credere di essere me. Chi lascia il corpo non “muore”: rimane vivx altrove. La VITA NON FINISCE, NON SI AMMALA, NON SI ARRESTA. LA VITA E’ UNITA’, NON ENTRA NEL PROCESSO DUALE DI INIZIO E FINE. Quindi insistere sul “salvare la vita”è alimentare in forma subliminale, con frasi errate alla radice, la paura patologica inculcata dalle chiese e dalle scienze patriarcali che solo questo nostro transito terreno in questo corpo sia vita. La Vita non necessita di essere “salvata” perché non è mai stata in pericolo: ci pensa da sé a trasformarsi. Noi siamo già salvx da sempre e per sempre.