Dolmen de Antequera,

cuevas de Ardales e de la Pileta

Il dolmen de Menga in Antequera

Ho già parlato di come, ogni volta che entro in un tempio megalitico o anche solo mi trovo in presenza di un singolo menhir, io mi senta letteralmente trasportata in una dimensione magica e sacra che non trovo in nessun luogo di culto più recente. Il mio viaggio-ricerca-risveglio procede nei decenni inarrestabile. Non posso fare altro che proseguire e, via via che viaggio e conosco, mi si aprono nuovi orizzonti e mi si presentano siti sacri che non avevo mai sentito e che vengono mantenuti in uno stato di scarsa visibilità, a mio avviso per questioni legate alle varie religioni patriarcali. Il megalitismo e le pitture rupestri risalgono a quella che Marija Gimbutas ha definito l’epoca matrifocale dell’Antica Europa. Ammettere quindi che è esistita una comunità globale su tutto il territorio europeo – e in parte asiatico poiché va dall’Armenia al Portogallo – basata sull’abbondanza e prosperità, sulla pace e bellezza, sulla libera condivisione e in grado di realizzare tanto opere megalitiche gigantesche quanto pitture all’interno di grotte profonde e buie, senza l’ausilio di quella che, nella nostra visione moderna, sarebbe la tecnologia, significherebbe distruggere il primato della cultura androcentrica che il sistema capitalistico-religioso alimenta.

Particolarmente il megalitismo dei paesi del bacino mediterraneo settentrionale, sotto il controllo del dominio cattolico, fatica ad essere conosciuto. Infatti, mentre si parla molto dei megaliti irlandesi, bretoni, britannici e scozzesi, si sa poco in generale di quelli sardi, calabri e… iberici. Avevo esplorato già l’area archeologica di Almendres nella provincia lusitana di Evora, in Alentejo. Ora è venuto per me il tempo e l’opportunità di conoscere i magnifici e imponenti megaliti andalusi.

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