Il cammino segreto di Santiago, la via pagana dei morti – di Rafael Lema (Edaf ed. 2007) – traduzione di Devana
In pieno secolo XXI solo un esercizio di interessato cinismo e una buona dose di incultura cosciente fa sì che si continui a parlare di “tomba dell’apostolo”.
La città di Santiago de Compostela e il suo cammino hanno forza indipendentemente dalla menzogna che li ha resi celebri.
La grotta della supposta tomba è uno degli ombelichi del mondo, un punto magico tellurico di primo livello, un bosco sacro celta, un sito rituale centinaia di anni anteriore alla fabbricazione, in uno scriptorium benedettino, del mito jacobeo. Nello stesso modo il Cammino è una via millenaria arricchita e amplificata dal cristianesimo che riconvertì vecchi pellegrinaggi.
Arrivando a Santiago de Compostela, il pellegrino decideva di prolungare il suo viaggio fino alla Costa da Morte, la frangia costiera dell’attuale provincia di A Coruña al sud della capitale gallega. Terra, fino al 1836, dell’antica provincia compostelana. E’ la via che ufficialmente si denomina CAMINO DE FISTERRA-MUXIA.
La Costa da Morte era per gli antichi l’ultimo tratto di terra conosciuta, finale di un itinerario segnato in cielo dalla Via Lattea e dall’essere il luogo dove si collocava il Sole. La visione del mitico Capo di Fisterra e del santuario ancestrale del culto alle pietre di Muxia era la pietra miliare di questo pellegrinaggio, una corrente segnata da una trascendenza simbolica astrale molto antica ma dal Medio Evo collegata alla tradizione jacobea.
La meta finale del vero Cammino è il Capo Fisterra e il Santuario della Barca en Muxia, rispettivamente a 89 e 87 chilometri da Compostela. Il cammino inizia dalla stessa cattedrale compostelana, dalla ora “scomparsa” porta del Pellegrino, uscendo dalla città verso Augapesada-Ames.
Dopo aver ritualmente bruciato gli indumenti del pellegrinaggio nel braciere del promontorio fisterrano un cammino costiero di 31 chilometri si dirige a Duio e da lì a Muxia dove ci sorprende il Santuario di Nostra Signora della Barca, fronte mare e al lato di un sito rituale galaico-celta (i Galati erano una popolazione celtica stanziata sulle rive del Mar Nero in Cappadocia e da lì migrati in Galizia cui diedero il nome, n.d.t.) e forse anche anteriore, con la pietra di Abalar, un enorme monolito, come emblema.
E’ il cammino postjacobeo di Fisterra-Muxia, la parte più occidentale della provincia di A Coruña, un tempo Trastamara, oggi conosciuta come la Costa da Morte ma anticamente denominata Nemancos, nome celtico che significa “il paese dei boschi sacri”, successivamente dominata, al tempo della creazione del mito jacobeo, dalla nobile famiglia dei conti Traba, protettori di benedettini e Templari.
I punti cruciali del tratto finale del Cammino erano e sono Fisterra e Muxia, il cui punto di unione al centro è il monastero benedettino di Moraime (allineato col Monte La Rhune nei Paesi Baschi francesi appena sotto Hendaye: il punto di partenza reale potrebbe essere quello, n.d.t.).
I pellegrini che arrivavano a Santiago de Compostela proseguivano il cammino fino al mare dal quale inizialmente prendevano il simbolo del cammino stesso: la conchiglia.
Cominciamo il cammino della vera conoscenza uscendo da Compostela e dirigendoci verso Padron: dalla cattedrale alla chiesa di Santiago in Padron ci sono 20 chilometri di strada. Padron e Noia in età medievale furono protette dai cavalieri Templari… Muxia e Fisterra possono essere i due pilastri dell’opera (di trasmutazione alchemica che inizia nelle cellule durante il pellegrinaggio, n.d.t.), le due colonne massoniche Jakim e Boaz, Muxia patria del vento e Fisterra fine del cammino delle stelle, denti della Via Lattea.
Sotto il cielo di Padron traccio il mio itinerario sulla mappa: dalla cattedrale sono arrivato a Noia e da qui a Muros dove ho lasciato l’auto e inforcato la bicicletta in cerca di questa Venere preistorica, che si prolungò in Iside e nella Vergine Nera. Voglio iniziare la mia opera il giorno di San Giovanni, il 24 giugno, il fuoco di metà anno, e terminarlo al San Giovanni del 24 dicembre, l’altra data a cui rimanda il fuoco all’inizio dell’anno: le due date che riempiono di luce il timpano del monastero benedettino di Moraime (punto centrale tra Muxia e Fisterra).
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Tra i seguaci di Gesù c’era l’apostolo Giacomo (Santiago in spagnolo, n.d.t.) detto il Maggiore, pescatore, figlio di Zebedeo e di Salomé e fratello di Giovanni Evangelista.
Le cronache che parlano della scoperta del sepolcro sono centinaia di anni posteriori ai fatti che narrano e non ci sono testimoni contemporanei. Le circostanze della supposta scoperta del sepolcro di Santiago non appaiono che nel 1077 però già nel X secolo lo scrittore arabo Algacel de Jaen parlava dell’importanza della via di pellegrinaggio a Santiago… il cammino per il riconoscimento di Santiago come evangelizzatore e protettore della Spagna è pieno di confusione e punti oscuri.
Senza dubbio prima del secolo VII nessuno aveva mai parlato della predicazione di Santiago in Spagna… sono molti gli autori che, criticando la improbabile veridicità della predicazione dell’apostolo in Spagna e del ritrovamento del suo corpo in un bosco gallego, non dubitano che la forza del mito abbia basi millenarie molto più profonde.
Non ci fu predicazione né c’è alcun corpo nella presunta tomba: questo ha più dell’aspetto falsario e lucrativo del commercio delle reliquie nel medio evo. Questa fu la vera traslazione: segnata da un progetto di mutuo sostegno tra la chiesa cattolica galaica e il potere reale asturiano (la parte più cattolica della Spagna, le Asturie confinano con la Galizia, n.d.t.) da Oviedo, la capitale politica asturiana, ad un reliquiario pagano romano in un bosco sacro celta.
Il viaggio vero era al Finisterre, seguendo la Via Lattea, questo cammino delle stelle disegnato dalla mano di Dio in cielo, la discesa del sole nel mare all’estremo del mondo conosciuto: il luogo più vicino al paradiso.
All’epoca della nascita del mito jacobeo era normale la confusione tra le vite dei santi di uguale nome.
CI SONO DUE GIACOMO (SANTIAGO) NELLA VITA DI GESU’. Uno, Giacomo il Minore, lo si conosce negli scritti esseni e giudaici come fratello di Gesù, capo della chiesa di Gerusalemme ed erede di Cristo. Primo vescovo di Gerusalemme che indossò una mitra di stile egizio. A questo personaggio gli esseni attribuivano l’eredità della linea di sangue di David dopo la crocifissione di Gesù: è il Maestro di Giustizia esseno… l’uomo che lottò per conservare la vera parola e ortodossia messianica. Questo emerge dalla scoperta dei rotoli del Mar Morto e del Vangelo di Giuda che stanno dando filo da torcere alle molte menzogne di cui è imbastita la storia ufficiale.
Giacomo il Minore era rivale di Paolo-Saul: (negli apocrifi) si parla di Santiago come di uno dei due pilastri – guerriero e sacerdotale – insieme a Gesù. Nel libro segreto di Santiago, secondo gli esseni Giacomo il Minore era la stella dell’alba in un rapporto bipolare con Gesù.
I Giudei Esseni e gli autori dei documenti di Qumran sono membri di una stessa casa: la prima chiesa denominata “il cammino” e Giacomo era il primo tra i seguaci puri di Gesù, non ellenizzati come Paolo.
I nazirei primi seguaci di Cristo nascondono i loro scritti sotto l’altare del tempio di Gerusalemme dove verrano trovati dai Templari centinaia di anni dopo, i quali hanno continuato questa tradizione segreta e rituale.
Il successivio incendio dell biblioteca di Alessandria non fu una casualità, però qualcosa si salvò dal progetto di occultamento e distruzione di testi sacri dell’epoca di Gesù.
San Patrizio era ariano e non credeva alla nascita di Gesù da una vergine né alla sua natura immortale e divina. Cominciò il suo lavoro di predicazione tra i Celti irlandesi e britanni intorno al 432. Dopo le invasioni barbare nacque, attingendo da questa antica tradizione, la chiesa cristiana celta in Irlanda, Scozia e Nord Inghilterra. Da lì si espansero fino ad arrivare alle coste galleghe dove ancora oggi rimangono testimonianze storiche della loro presenza.
La chiesa celta irlandese era giacobita non paolina e fino al 664, col sinodo di Whithby, non entra nella circoscrizione di Roma: non credeva alla nascita virginale e alla divinità di Gesù. Questa, considerata da Roma un’eresia, aveva radici profonde in Galizia o nell’Europa della tradizione di Giacomo il Giusto, come la linea catara. Giacomo il Minore detto il Giusto era considerato uno dei due pilastri della nuova fede (vedi le due colonne Hendaye-Abbadia cripta, nel mio libro “La Quinta Dimensione”, n.d.t.).
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il pellegrinaggio per il cammino delle stelle è l’arcobaleno celtico del dio Lug ora convertito nel Cammino di Santiago a seguito della sparizione delle antiche divinità. E’ la via che porta a una regione mitica quale il paradiso terreno: il cammino dell’ovest al Mare dei Morti delle antiche leggende celtiche delle origini.
In tempi preistorici esistettero, attivi ai tempi dei Celti Galli, quattro differenti cammini di pellegrinaggio tra i popoli di occidente. Erano strade anteriori al celtismo, tradizioni conservate fino alle lotte romane contro il druidismo e alla cristianizzazione ufficiale dell’impero. Una di queste era la via “alla fine del Sole”, al Finisterre. Il cabo Fisterra era chiamato Promontorium Celticum ed era per i Celti un luogo di pellegrinaggio.
Persino il primo pellegrino biblico, Abramo, dalla sua terra sumera di origine partì per la via del Sole verso un occidente bagnato dal mare intorno al 1.800 a.C. E dalla stessa area di origine giunsero anche i Celti dopo aver attraversato l’Europa, stabilendosi nei suoi vari Finisterre.
Gli abitanti della attuale costa coruñese conservano affiliazioni con popoli di tradizione celta. I Celti Galli giunsero in Galizia intorno al secolo VII a.C. ma prima ancora una migrazione dall’Asia, 30.000 anni fa, popolò l’Europa fino al Ponente estremo.
Nella tradizione misterica (poi divenuta massonica, n.d.t.) Santiago era assimilato al maestro Jakim e la apparizione della Vergine nella barca a Muxia servì a rendere compatibile con il cristianesimo il maggior santuario pagano di pietre magiche di Galizia, a Muxia appunto.
Nei riti segreti di iniziazione delle corporazioni medievali e nelle cerimonie Templari si citava l’esistenza di uomini investiti in modo soprannaturale, maestri di opere discendenti da un santo fondatore a sua volta incaricato dai grandi maestri sconosciuti che giunsero alle coste in tempi immemorabili, creature a metà tra gli dei e gli uomini:
dove finisce la terra, dove finisce il cammino, davanti alle acque oscure dello sconosciuto e lontano “Più in là”, lì stanno le impronte degli Antichi Padri.
Ci sono autori che affermano che il Camino de Santiago è il percorso dell’Oca, la via spiraliforme del famoso gioco creato dalle confraternite dei “fratelli costruttori”, cammino che sbocca nel paradiso occidentale degli Indoeuropei, Celti, Svevi, Romani e popoli del Mediterraneo culla della nostra cultura. Un viaggio di creazione a spirale come spirale è la via Lattea riflessa nel cielo, il cammino stellare che porta al “Più in là”, all’Occidente. Quella spirale scolpita in molti templi del cammino ma anche nei petroglifi galleghi e bretoni. E’ la ricerca del centro simbolico del potere partendo dal sole. La vittoria sopra lo spazio-tempo che percorre il cammino delle stelle. Castore e Polluce, figli di un cigno e di un’oca, iniziano il cammino verso il paradiso centrale situato alla fine della terra, al Finisterre.
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Il cammino al Finisterre parte da Compostela e attraversa Ames, Negreira, Santa Comba, Mazaricos, Dumbria, Cee, Corcubiòn, Finisterre e Muxia. E’chiaro che in Compostela non c’è mare e che la conchiglia è un simbolo marino. La nostra via inizia a Padròn e poi si dirige a Noia. Da Padròn a Noia ci sono 30 chilometri. Lungo la costa avvisteremo il promontorio della fine del mondo. Qui si dice che giunse la barca dell’apostolo.
Noia fu punto di sbarco per il pellegrini che giungevano via mare. Padròn fu un luogo templare e per di qui passano due cammini jacobei – il portoghese e il marittimo. Ancora oggi nel cimitero di Padròn vi sono simboli iniziatici pagani. I segni Templari si scorgono sulle pareti della collegiata: croci celtiche, solari e palmate di vario tipo. Vi è inoltre una ruota iniziatica templare che segue il movimento del sole in cielo e il suo cerchio immaginario, spiraliforme, come un labirinto in terra. Le croci originariamente erano 27, numero simbolico e magico che da come somma 9.
Inoltre vi sono croci cerchiate in stile cataro. Nella chiesa di San Martin vi è un diavolo scolpito in una colonna (come a Rennes le Chateau, in terra catara, nella chiesa di S.M.Maddalena è un diavolo che regge l’acquasantiera. n.d.t.).
L’Ultima Cena del monastero di Moraime in Muxia, presenta un apostolo Giovanni come bambino. C’era infatti, per ratificare i legami tra Galizia e Catarismo, una tradizione catara che parlava dell’arrivo nel sud della Francia di Myriam di Magdala con Giovanni. Secondo questa tradizione Myriam non era affatto una prostituta, bensì una donna colta e ricca, non giudea. Giovanni e Myriam, incinta della discendenza di Gesù, erano considerati i veri depositari del messaggio messianico segreto. L’artista di Moraime giunse lì dalla terra catara e lì visse i suoi ultimi giorni. Il Giovanni di Moraime lo chiamano el Neno – il Bimbo… forse il figlio segreto? Il discendente del lignaggio reale di Gesù?
A Noia c’è la chiesa di Santa Maria a Nova, un luogo sacro il cui terreno fu portato da Oriente come il sole e come i pellegrini che vi giungevano. Nella terra di Noia, nell’attuale comune di Fisterra, presero stanza i grandi signori imparentati coi Templari. Ma i primi pellegrini che lasciarono un segno furono di tradizione celtica, su questi si innestò la tradizione ermetica e cabalistica: un trifoglio di quattro foglie attraversato da una croce simbolo delle quattro età e del ciclo solare. Il trifoglio è un simbolo della cultura celtica e dei suoi druidi. Vi sono poi in due circoli diversi due libri aperti con un dito che segnala: simbolo del quadrilatero solstiziale che indica l’alba del sole in estate e l’occaso in inverno. La stessa mappa solare si ripresenta in Muxia, Moraime e Finisterre.
I Templari seguivano una propria via e la mentennero nei secoli: questa via metteva in comunicazipne i tre siti di Noia, Padròn e Fisterra.
Ecco l’itinerario: da Noia costeggiando l’oceano lungo la C550 da Outes a Muros. Sono 15 chilometri fino a O Freixo, altri 6 a Esteiro e altri 15 a Muros. Da lì si prosegue lungo la stessa strada costiera attraverso Carnota fino a Cee lasciando alle spalle il monte Pindo, conosciuto come l’Olimpo dei Celti Galaici. Da Muros sono 11 chilometri fino a Lira, 4 ancora a Carnota, 10 a Caldebarco, 6 a O Pindo e 11 a Cee. Giunti alla moderna città di Cee siamo sulla C552 che unisce Fisterra a A Coruña. Lasciamo Cee, oggi capitale economica della Costa da Morte a ci dirigiamo a Corcubiòn con il suo bell’albergo per i pellegrini. E’ il cammino postjacobeo che parte da Compostela e arriva a Fisterra. Da Cee a Sardiñeiro sono ancora 11 chilometri e altri 9 fino a Fisterra, la cui influenza templare si nota nella pianta della Chiesa della Natività.
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Finisterre è un luogo gemellato con il suo omonimo bretone. Senza dubbio i due siti sono sorprendentemente simili come clima, paesaggio, leggende celtiche, culto delle pietre e dolmen, croci lungo il cammino e soprattutto la conservazione in entrambi i luoghi delle due lingue peculiari (in Bretagna si parla il bretone che non ha nulla a che vedere col francese, n.d.t.).
La chiesa irlandese celtizzò la Galizia in epoca “barbara”.
Lungo la parte finale del cammino verso la Costa da Morte si trova Duio, un tempo Dugium, antica capitale dei Celti Nerii. Finisterre e Muxia erano invece parte dell’arcivescovado di Compostela. Inizialmente si dirigevano lì commercianti e pellegrini inglesi. La chiesa compostelana approfittò di questo movimento nei due comuni sui quali aveva giurisdizione. Vi sono croci Templari scolpite sui muri della chiesa di Finisterre, croci palmate in cerchi con otto raggi. Gli stessi simboli che appaiono in Padròn.
L’ordine templare marcò coi suoi simboli i siti emblematici del Cammino dalla Francia fino a Finisterre e le entrate dal mare in Galizia. Furono i signori di questa terra, i conti di Traba, ad attrarre qui i Templari nel secolo XII. Ed è terra dei Traba la parte finale del Cammino del Sole verso il Paradiso. I templi dove si adoravano vergini scure di antica tradizione, come Finisterre, Noia, Muxia, Moraime, sono ora centro di relazioni fantastiche e di meravigliose apparizioni di “Santa Maria e dei Santi” che non sono molto differenti dai racconti di tradizione celtica di cavalieri e draghi, maghi e streghe. Le vecchie immagini di madonne nere spariscono dalle chiese ma i riti e le leggende permangono.
C’E’ UN AMBIZIOSO PIANO POLITICO ORCHESTRATO DALLA FRANCIA, DALLA CASA DI BORGOGNA DAL PAPA E DALL’ORDINE DI CLUNY PER DOMINARE LA CORONA CASTIGLIANO LEONESA, LA TOMBA DI SANTIAGO COL SUO CAMMINO JACOBEO E PROSEGUIRE COSI’ LA CROCIATA CONTRO GLI ARABI NELLA VECCHIA SPAGNA.
Il cammino segreto al Finisterre fu connesso alla via canonica che partiva dalla Francia, ma inizialmente non era congiunto. C’è un’opera della curia compostelana, il “liber sancti jacobi”, che traccia un’unica via attraverso il cammino francese, pieno di alloggi e di borghi franchi. Ma nella Costa da Morte ci sono ovunque simboli e tracce Templari. Una bolla papale del 1163 permette loro di costruire le loro proprie cappelle e chiese nei loro siti di tradizione ancestrale. Siti speciali per riti di iniziazione alla Madre Terra e ai centri di potere tellurico legati agli antichi culti.
La leggenda jacobea fu letteralmente “fabbricata” dai monaci nel secolo XII.
In realtà il cammino e il territorio sono collegati all’Algarve portoghese, alla Bretagna francese, alle isole Britanniche e all’Irlanda. Vi erano primitivi galaici precelti chiamati Ovestrimni. La parola Galizia viene da Galassia – Galati – Galactos – via Lattea. Al Finisterre giunsero migrazioni preceltiche di popoli che venivano dalla parte orientale della Germania e ancor prima dalle fonti del Dniepr. Vi è una migrazione registrata attraverso il centro dell’attuale Germania e Francia, che proseguì fino all’entrata dei Pirenei e giunse fino al fiume Tago in Portogallo, salendo poi al Finisterre gallego.
Questa via millenaria coincide nel suo inizio con la via francese e nella parte finale col cammino portoghese dal Tago alla Galizia. Ma più antiche sono le migrazioni dal Sol Levante, dall’Est: i costruttori di tumuli. Cosa forzò questi popoli di ascendenza indoeuropea a partire per il Finisterre gallego? Possibilmente la ricerca del Paradiso, il seguire la stella che i maghi caldei veneravano, la stessa che era onorata nelle ziggurat mesopotamiche come la Grande Madre Astartè. E che fu incarnato anche dal dio egizio Horus chiamato la stella dell’alba, simbolo degli Esseni, dei primi Cristiani e dei Mandei.
Partono, come i maghi d’Oriente della stessa razza di Abraham seguendo la via del Sole lungo il tracciato di una stella fino al Mare della Morte. Il Capo Nerio, abitato dai Celti Nerii, fu chiamato il “promontorio celtico” dagli storici latini Pomponio Mela e Plinio.
Il luogo dove la leggenda dice che fu rinvenuto il corpo dell’apostolo Giacomo è in realtà un luogo magico molto conosciuto fin da tempi antichissimi dalle popolazioni galaiche sia celte che non: un bosco sacro rituale galaico. Compostela e Finisterre non nascono dal nulla e non sono mera invenzione dei monaci, bensì sono trasformazioni di luoghi di potere tellurico conosciuti da sempre. I luoghi di culto e i grandi santuari galleghi sono gli stessi che migliaia di anni prima del cristianesimo erano già lì, ospitando sorgenti di acqua sacra sotto agli altari. Ancora oggi c’è la tradizione e l’opera delle “Meighe”, sciamane e guaritrici che curano i corpi e le anime. Esse continuano ancora oggi la loro opera dopo migliaia di anni.
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Finisterre è il Portico della Gloria della mitologia europea. E’ uno spazio millenario e universale sia fisico che della mente.
I Greci credevano non solo in un paradiso ultraterreno, ma anche in un vero e proprio luogo paradisiaco terreno abitato, più felice di quello che conoscevano. I paradisi dell’antichità si ubicavano a Occidente e furono trovati da iniziati e da interi popoli (i navigatori che trovarono l’isola di Utopia nell’omonimo racconto di Thomas More, partirono dalla costa portoghese diretti a Occidente e così pure i navigatori che trovarono l’isola di Bensalem nella “Nuova Atlantide” di Francis Bacon fecero vela verso Occidente partendo dalle coste peruane rivolti verso il Giappone e la Cina. Al riguardo si veda il mio libro “EkoNomia il futuro senza denaro”, n.d.t.).
I Celti seguirono il corso del sole, come pure il popolo degli Ovestrimni, i primi abitanti della Galizia che accolsero i Celti stessi. Gli Ovestrimni erano scultori di petroglifi. Un altro nome della antica Galizia a quei tempi era Ophiusa, terra di serpenti (sulla tradizione dei serpenti si veda la trilogia dell’immortalità di Devana: “Gra(d)al il segreto della torre”; “La via degli immortali”; “Il ponte tra i mondi”).
La cultura megalitica ci parla di un cammino migratorio che dai Pirenei scendeva al Tago in Portogallo e saliva alla costa occidentale peninsulare. I Galati del Mar Nero eran Celti come gli Artabri della contrada coruñesa. Era una grande federazione celtica quella che arrivò fino a queste terre e affrontò Giulio Cesare. Era un lungo viaggio dal Mar Nero fino al Fisterra gallego. Ma d’altronde sembra che i Celti iberici siano i più antichi d’Europa: tribù partite dal Mar Nero, dalla penisola anatolica, dal Mar di Marmara, una regione dei Celti Galati che in varie ondate inviarono le loro migrazioni all’occaso del Sole iberico. Il paradiso per i popoli celtici – come i Nerii o i Galati – stava “più in là” del sol ponente, più in là della settima onda che ancora oggi si richiama in alcuni riti di fertilità officiati nella notte di San Giovanni.
La barriera acquatica è un passaggio per l’altro mondo in tutte le culture, quella classica, quella celta, quella germanica. Un “altro” mondo, di connotazione positiva, senza nozione di peccato, con abbondanza di cibo e bevande, recipienti magici e musica di uccelli. Era possibile visitare quei mondi e ritornare. Sono considerati luoghi meravigliosi, divisi in regni coi loro sovrani. Luoghi positivi reali e palpabili dove convivono vivi e “morti” nelle terre dei vivi e dei morti. E’ possibile accedere ai luoghi soprannaturali attraverso i resti di un dolmen, di un antico villaggio o di alcune rovine.
In Galizia lo si fa attraversando le “màmoas”, dolmen coperti. In Irlanda si narra di un regno dei morti situato in un’isola, il Tech Duinn. La mitologia celtica cita isole proibite di diverso tipo, lontane isole dove il tempo si ferma. E c’è un’isola del “più in là” che in gallego si chiama “Alèn”. Anche nei villaggi galleghi si crede che vi siano tunnel che portano a miniere d’oro o di zolfo (da cui si entra in altri mondi, n.d.a.).
Nella mitologia germanica si credeva nel Valhalla celeste e in quella scandinava c’era la mitica Asgard, fluttuante nello spazio e unita alla terra da un arcobaleno. Anche Atlantide stava al di là delle colonne d’Ercole, a occidente come descrive Platone nel IV secolo a.C. In un paese mitico e lontano si trovava la fonte dell’eterna giovinezza, la jungbrunnen germanica o la aqua vitae latina. Nella tradizione celtica c’era l’isola del Tir Na Nog e la famosa Avalon, l’isola delle mele. Vi è poi la mitica Thule. I Romani seguirono i Greci nell’ubicare il paradiso a Occidente e sempre c’è la presenza dell’acqua come limite tra i due mondi: vi è il barcaiolo che traghetta di là visitatori e anime. In un affresco di Paestum in Campania, un tempo Magna Grecia, è rappresentato un giovane che si tuffa nell’acqua, allegoria dell’armonioso transito dalla vita alla “morte” (si veda la descrizione dei cenotes sagrados nel mio “La via degli immortali” n.d.t.).
Vicino a Muxia, a Vilarmide, vi sono le Caldeiras di Castro: si tratta di una grande cascata che un tempo era il santuario ancestrale dei Celti Nerii.
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Prima del Medio Evo esisteva la credenza diffusa che il paradiso fosse all’estremo Occidente situato in certe isole mitiche. I labirinti scolpiti nei petroglifi di Carnota, Dumbria, Berdoias, o i sentieri fino agli antichi templi dedicati a Nostra Signora – Moraime, Iria Flavia o Fisterra – andavano verso un centro: il culto della Dea Madre, dispensatrice di prosperità fecondità e raccolti abbondanti.
Anche il mito del corpo trovato smembrato in una barca miracolosa è precedente a Santiago. Prima di lui Set, invidioso del fratello Osiris, lo uccide e deposita il cadavere in una barca che pone nel Nilo. E Hiram di Tiro, costruttore del tempio di Salomone (da cui i Templari), viene ucciso da alcuni invidiosi della sua arte: i suoi compagni rubano il corpo di Hiram e lo portano ad Occidente in una barca magica.
La barca è il mezzo utilizzato dal culto egizio per andare nel “più in là”, come le quattordici navi della tomba di Tutankamon. Anche Osiris dispose che il tempio per la ricerca della vita eterna dei suoi pellegrini fosse ad Abydos, a occidente del Nilo.
Vi sono poi monti della regione legati a culti ancestrali, ora cristianizzati con santuari posti di fronte alla Morte del Sole e all’oceano: sono per sempio la Ermita de la Virgen del Monte a Camariñas o la Punta de a Barca a Muxìa, proprio dove sorge l’attuale santuario mariano. Vari sono i monti chiamati “catasol” (che ci ricordano gli andini “intihuatana”, gli attracchi del sole sulle montagne, n.d.t.), che servivano come torrette di vigilanza sul mare e sul sole, come quelli di Ponte do Porto o Soesto.
Monte mitico, considerato l’Olimpo celta, è il Pindo, che sorveglia la Ria de Corcubion e il Promontorio di Fisterra (anche alle spalle di Hendaye, mitico luogo dei Paesi Baschi francesi legato al cambio di polarità terrestre, vi è un monte che era sacro per la cultura autoctona basca, il monte La Rhune, si veda il mio libro “La Quinta Dimensione” n.d.t.).
Il Pindo è il monte sacro ai Celti Nerii del neolitico. A Muxìa c’è un altro monte sacro, il monte Corpiño, che domina la città e il santuario della Barca. Inoltre il monte San Roque ospita un bosco sacro celta. Sono veramente tanti nella regione i monti sacri pagani oggi sovrastati da una cappella cristiana. Finisterre ha due grandi monti ai suoi lati – O Facho e San Guillermo – pieni di pietre sacre pagane, come As Pedras Santas e A Fonte dos Sete Pichos (in Sardegna, luogo molto affine alla Galizia per energia storia e archeologia, vi è il sito di San Leonardo de Siete Fuentes, nel comune di Santu Lussurgiu, accanto a una strana chiesa dei Cavalieri di Malta, n.d.t.)
Le moderne tappe della peregrinazione postjacobea in Galizia ripercorrono le antiche visite celtiche all’Ara Solis. Santiago de Compostela fu un importante centro viario romano situato su un luogo sacro, una collina orientata all’ovest, alla nascita e confluenza di due fiumi. La leggenda dell’interramento dell’apostolo in una proprietà della mitica regina pagana Lupa si può spiegare solo attraverso l’importanza religiosa di quella collina, che era un bosco sacro dedicato alla divinità della luce, Lug o Jupiter che fosse.
Nella leggenda popolare gallega Santiago predica accanto a un cane (che ci ricorda la figura del Matto negli arcani maggiori dei tarocchi e anche la “Stella Cane” Sirio, potrebbe indicare un percorso celeste. n.d.t.).
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Frequenti nel territorio anche i troni di pietra dei mitici re Mouri, leggendari abitanti dell’Altro Mondo di origine celta.
IL CAMMINANTE CHE GIUNGE FIN QUI DEVE MORIRE, DIMENTICARSI DI CIO’ CHE FU E INIZIARE IL RITUALE DI TRASFORMAZIONE. Per questo i pellegrini germanici bruciavano i loro indumenti al cabo Fisterra. Ci troviamo in una via terrestre che è il riflesso di un cammino stellare: un canto di comunione con la natura, una ricerca e un incontro. Dice una cantica popolare che “termina il suo pellegrinaggio solo colui che arriva a Fisterra”.
O que vai a Compostela
Fai ou non fai romerìa
Se chega ou non a Fisterra
Il Cristo di Finisterre è molto simile a quello della Sindone di Torino. E’ avvolto in un lenzuolo di origine templare. E nella cattedrale di Compostela c’è il terzo Cristo che si conserva simile ai due gemellati. Anche nella chiesa di Moraime e in quella di Finisterre, come nella colonna del Portico della Gloria della cattedrale compostelana, vi è una croce all’ingresso sulla quale si appoggia la mano destra. Inoltre dietro al Cristo di Finisterre vi è una veduta di Gerusalemme con il Sole, la stella Venere, le rovine del Tempio di Salomone, quelle rovine nelle quali i Templari cercarono (e trovarono) le misteriose reliquie che li resero ricchi e pericolosi. Dentro nella chiesa di Fisterra appare scolpito come a Noia un altare astrale dedicato ai camminanti: il percorso inciso sulla pietra è rotatorio. Se anche non ne sono consapevoli, i camminanti stanno compiendo un rito di comunione con la terra unendo i due movimenti del pianeta: traslazione e rotazione. Il Cristo fisterrano ricorda Jupiter: fu qui che i Romani installarono l’ara del culto al Sol Invictus che si celebra il 25 dicembre.
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I territori dei boschi sacri celti erano pieno di tunnel e grotte che “interessarono” persino Hitler. A questo proposito Duio è molto particolare. Per arrivarvi bisogna attraversare un fiume, un PONTE (si veda il mio libro “Il ponte tra i mondi”, n.d.t.) e una fonte. L’acqua che inonda il villaggio peccatore, quella del fiume che divide il regno, ci parla degli attributi dell’altro mondo: IL MEZZO ACQUATICO E’ UNA VIA DI COLLEGAMENTO. I Celti usavano i laghi come santuari. L’idea dell’acqua come barriera per ciò che è alieno non è qualcosa di specifico delle culture occidentali preromane: i Romani giungono in Galizia dopo aver attraversato il Lete, il fiume dell’oblio.
Attualmente non esiste in Galizia alcun santuario cattolico sorto su un precedente sito sacro pagano che non abbia una sua fonte oggetto di culto ancestrale e di devozione popolare. Fonti che scaturiscono da sotto l’altare.
L’antica cappella di Guadalupe in Ponte do Porto sacralizzava un luogo rituale di acque sacre e l’attraversamento di un ponte collegato al pellegrinaggio al Santuario de A Barca. La chiesa romanica di Santa Ana de Xaviña, accanto a un ruscello, ci parla di una “ana” o “xana”, divinità delle fonti (il nome è stranamante simile a “jana”, il termine con cui la cultura pagana sarda definsce le fate e gli spiriti tutelari delle rocce, si veda domus de janas nel mio “La quinta dimensione”, n.d.t.). I monaci tentarono di cristianizzare questo sito dedicandolo a Santa Maria, come pure il sito rituale celtico ancestrale di As Caldeiras do Castro, a Coucieiro (Muxìa) dove fu costruito un romitaggio.
Fu da un bosco di idoli indigeni che nacque Compostela. Per poter attraversare le acque magiche dobbiamo usare barche straordinarie: Santiago arriva in una barca del “più in là”. E con lui in barca arrivarono molti santi cattolici. All’arrivo del sant’uomo in una barca di pietra è stato vincolato anche l’antico santuario gallego di San Andrés de Teixido.
La via fu aperta 30.000 anni fa da ondate di camminanti che seguivano le stelle, il cammino che portò a Occidente le genti dell’Est, in epoca megalitica. Tutti furono pellegrini al Finisterre, anche i Celti.
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Il cammino sia a piedi che in bici esce da Fisterra attraversando i villaggi di San Martin e San Vicente di Duio, Buxàn, Castrexe, Canosa e Lires. Attraversiamo il fiume Castro fino a Frixe e proseguiamo per Morquintian alle pendici del monte Faro fino ai villaggi di Cuño e Lourido per entrare infine in Muxìa. Il giorno seguente si può visitare Moraime e terminare la strada a Santiago de Cereixo.
A Muxìa non si può saltare la visita alla pietra di Abalar, una mole granitica oggetto di speciale venerazione al lato del santuario mariano. A circa quattro chilometri da Muxìa c’è il santuario di Moraime e a quindici le torri e il tempio romanico di Cereixo.
Il tempio di Muxìa è dedicato alla vergine della barca, un’oscura sopravvivenza di riti precristiani, una forza primitiva ancorata in un universo simbolico ancestrale. Muxìa è il cuore di Nemancos, il bosco sacri celta.
Uno dei luoghi più emblematici della Costa da Morte è il santuario che sorge sulla penisola della Ria de Camariñas, ai piedi del monte Corpiño, di fronte all’oceano: è la vecchia terra di Nemancos, la Trastàmara, che col Finisterre costituisce la vera fine del cammino giacobeo.
La tradizione catara in queste terre fu portata dai trovatori eredi dei grandi bardi occitani, discepoli di Maddalena e di Giovanni, il fratello di Giacomo. Questo significherebbe che Muxia e dintorni possedevano una via di pellegrinaggio diretta a Santiago distinta dal camino ufficiale attuale. Questa via terminava al Santuario da Barca di Muxia. Nel Medio Evo Muxia aveva pellegrini propri che andavano in visita al santuario e non era legata ad altre tradizioni: esempio questo di una corrente pellegrina galaica precristiana.
La Pedra de Abalar, antico santuario pagano, è l’emblema principale di un culto delle pietre e degli elementi. Muxìa fu confermata come punto focale del pellegrinaggio nel territorio, precisamente il luogo dove il mare, la natura, gli elementi e gli antichi riti soppiantano la dottrina. La Pedra de Abalar di Muxia è la pietra rituale più antica di tutta la Galizia ed il centro di un santuario tellurico ancestrale. Insieme ad Abalar vi sono la Pedra de Cadris, la Pedra de Timon e la Pedra de Namurados, da sempre collegata ad antichi riti di fertilità. Le apparizioni di Dame che salivano dal mare furono mutuate dalla Chiesa Cattolica direttamente dalle leggende celtiche. Da qui la leggenda dell’apostolo Giacomo che giunse in questi lidi su una barca di pietra. Le donne celtiche dell’Altro Mondo avevano il compito di sostenere gli eroi, gli eletti. Le imbarcazioni di pietra, cristallo, bronzo o argento erano, secondo le mitologie irlandesi, i mezzi per attraversare l’Altro Mondo. Una imbarcazione rituale rafforza il carattere del luogo sacro. Solo con una barca si può raggiungere il “Più in là”. Camariñas fu una sede della primitiva chiesa irlandese celta. Il santuario mariano di Muxia, oggi collegato alla via giacobea, nacque sopra a un luogo di culto alle pietre benefattrici e agli elementi: acque soprannaturali dalle quali giungono barche dall’Ultramondo e un vero santuario naturale di origine neolitica con leggende e tradizioni celtiche.
A Muxia si celebra l’eco delle vergini nere, la Madre Terra, le Dame celtiche e le Bansshes irlandesi.
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Il magnifico tempio monastero di San Julian de Moraime (Muxia) irradia forza tellurica come tutti i luoghi che appartengono ora al cammino jacobeo. I suoi capitelli mostrano volti umani tra il fogliame. E’ l’immagine degli Uomini Verdi di tradizione celtica che si trovano anche a Santiago de Cereixo e nel tempio scozzese di Rosslyn. I racconti e le cantate che riguardano questo luogo conservano ancora molte parole dell’antico idioma, il barallete, che discende dall’euskera basco (sulla storia di Baschi e Catari e sul loro legame si veda anche il mio “La Quinta Dimensione”, n.d.t.). Nel lato sinistro il capitello esterno rappresenta due figure e un albero della vita che ospita una donna. Siamo alla porta occidentale che conduce all’isola delle mele, al paradiso occidentale, all’ingresso delle fantastiche isole celtiche degli immortali, prima della tentazione di Adamo ed Eva e della espulsione dal paradiso.
Nel timpano della porta sud vi è l’Ultima Cena con sette personaggi della stessa misura e alla destra del Salvatore uno strano personaggio più piccolo degli altri, detto “El Neno” (il bambino). La versione ufficiale è che El Neno sia il simbolo del discepolo che vede il paradiso grazie al Maestro. La mano che benedice la cena è una conchiglia tagliata in foggia di mano con cinque dita, simbolo della proporzione aurea dell’Opera Divina utilizzata dai maestri costruttori. In una delle due nicchie su cui poggia il timpano vi è l’immagine di un Maestro che tiene in mano un libro: la scienza rivelata. La scena è molto singolare e potrebbe rappresentare i vecchi scritti scartati dalla chiesa ufficiale, ossia la mano degli Iniziati.
La porta fu tenuta nascosta fino al 1975. Cosa voleva dire il maestro basco che realizzò la scultura delle 7 figure più 1? Può essere collegata al calendario astrale? Nella kabalah l’8 corrisponde all’ottavo sephirà, la gloria. E al numero Heth, la supremazia dell’esperienza e l’intelletto. E’ il quadrato di 64 un numero relazionato con la Vergine Nera, la Madre Terra.
Nel tempietto solare di Noia, la facciata occidentale riporta un arco con figure di uccelli e animali reali e fantastici che ricordano una stilizzazione dell’antico zodiaco egizio come quello contenuto nel tempio di Dendera. Nel IV secolo la Galizia aveva un rapporto diretto con l’Egitto di Alessandria, degli gnostici e della chiesa primitiva espulsa da Gerusalemme.
In Albarin (Santa Comba), vi è una croce molto popolare che segna l’incrocio di un cammino ed è a forma di ankh, la croce egizia simbolo della vita usata anche sia dai Copti che dalla chiesa primitiva cristiana di Alessandria d’Egitto, maestra della chiesa primitiva galaica.
La barca è anche immagine della Luna che si cambia in serpente e scende sulla terra (barca-serpente a forma di mezza luna è anche un simbolo egizio molto usato nelle tombe, è la barca di Osiride che traghetta i “morti” all’inframundi), padrona di magici poteri. Questa luna barca è rappresentata nella porta principale del tempio di Moraime che rappresenta la testa spirituale della Costa da Morte
Da questi luoghi passò anche il culto solare di Mitra attraverso le legioni romane, quello ariano di Agni, divinità solare, e il greco Efesto: è a queste fonti che si abbevera il mito di Santiago.
Il simbolo protettore dell’Ultima Cena è quello dei Gemelli zodiacali, il quinto sephirà della kabalah come vedremo(sulla luna barca e sulla valenza esoterica della costellazione dei Gemelli si veda il mio “Il ponte tra i mondi”, n.d.t.).
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Torniamo all’Ultima Cena e alla figura del presunto Giovanni, o El Neno. Cristo è al centro ma la chiave della composizione è un angelo, come a Cereixo. I commensali hanno cappe (mantelli) come cavalieri, come membri di un ordine. Ricordano i Templari (la famiglia dei Traba, padrini di Moraime, pure era legata ai Templari). I Templari custodivano un loro cammino, unico, al Finisterre dalla Francia. Si diceva che avessero il Graal, che conoscessero il lignaggio di Gesù e che avessero scoperto il Nuovo Mondo prima di Colombo. Cristo benedice con la mano al di sopra della piccola, ridicola supposta testa di Giovanni. Ma questo Giovanni, o Neno, entra in gioco molte volte nei templi del Finisterre gallego. E qui arrivano anche i testi dei cristiani perseguitati, i Catari. L’archivolto inferiore della porta occidentale di Moraime include un personaggio che rompe l’estetica: un altro Neno (bambino) questa volta scuro. Un bambino tra 54 uomini, gli anziani dell’Apocalisse.
La barca che trasporta “Santiago” si converte nel serpente che imbarca i milioni di defunti che hanno passato il giudizio di Osiris, in viaggio dall’est all’ovest verso gli inframundi del Duat egizio (sul Duat si veda il mio “Gra(d)al il segreto della torre”, n.d.t.).
Il fregio centrale del Partenone di Atene è anch’esso composto da sette dei e dee e da una figura minore, Eros, un altro Neno tra adulti.
Uno dei vangeli gnostici, il Libro Segreto di Giovanni, denuncia il Dio dell’Antico Testamento per aver tentato di occultare la verità all’Umanità e sostiene che Adamo ed Eva ricevettero lo spirito divino dal Dio vero. Gli gnostici credevano in un principio supremo di bontà: una mente divina. L’essere umano possiede qualcosa di questo potere divino al suo interno, però ne resta diviso dal mondo materiale che lo circonda. Il mondo gli gnostici è la creazione di una mente inferiore, non del Dio Supremo. Con la guida di un maestro come Gesù, l’uomo potrebbe interiorizzare il messaggio ed essere tanto divino quanto Dio stesso. La Grande Opera cercava di avvicinarsi al Signore e si otteneva la salvezza risvegliando l’essenza divina dello spirito umano. Il messaggio gnostico scese sulla terra di Moraime, nel sud cataro della Francia e nella terra basca tra Navarra e Aragona. Il maestro realizzatore della porta sud di Moraime proviene da una zona impregnata di “eresia” catara, era un basco navarreno erede dei maestri della Francia meridionale.
La porta nord di Compostela fu distrutta, la porta sud di Moraime occultata. Perché?
La porta del tempio di Moraime fu costruita dai maestri al servizio dei Templari.
In termini alchemici ed esoterici risalenti all’antico Egitto La dea Hathor è la dea vacca che alimenta il successore del faraone ed è detta la Signora dell’Ovest. Il faraone, dopo aver attraversato l’inframundi sulla barca di Osiris, si sottopone alla pesatura del’anima: il suo cuore viene posto da Anubi su una bilancia e come contrappeso viene messa la piuma di Maat (la Giustizia). La barca che trasporta il faraone all’eternità, a Ponente, è la barca di Cereixo che trasporta il corpo smembrato dell’apostolo Giacomo, seguendo il cammino delle stelle (compostela: campus stellae). Questo Neno-bambino incastrato nell’ultima cena di Moraime sembra l’immagine di un quadro di famiglia della XXII dinastia faraonica, quella di un piccolo Osiris dorato a fianco di Isis e Horus, la trinità divina.
Lungo il cammino giunsero i Catari e i Templari quando iniziò la loro persecuzione. Il cammino di Compostela è un cammino di speranza materiale e spirituale, un incrocio di nuovi orizzonti.
Continuando le relazioni con l’Antico Egitto, tra i santuari di Muxia e Finisterre si percepisce la stessa relazione di interdipendenza che c’è tra Edfu e Dendera in Egitto. Il tempio di Edfu dedicato a Horus e quello di Dendera dedicato a Hathor venivano visitati, uno dopo l’altro simultanemente, dai pellegrini che li raggiungevano pe via fluviale. Così pure i camminanti di Compostela dovevano terminare il pellegrinaggio visitando tanto Muxia quanto Finisterre.
Più si studiano la millenaria cultura del Nilo e la antropologia gallega e più se ne scoprono le similitudini. IL VIAGGIO ALL’AMENTI EGIZIO E’ IL CAMMINO DI FINISTERRE nel bosco sacro celta. Per gli abitanti dell’antico Egitto il Nilo era specchio della Via Lattea e si sviluppava in un pellegrinaggio in 22 tappe. I Celti chiamavano la Via Lattea Catena di Lug e Cammino di Sant’Andrea si chiama nella tradizione popolare gallega.
Roma attinse molto alla tradizione egizia e l’immagine di Isis col bimbo Horus in braccio prefigura quella della Vergine Maria col bimbo Gesù. Nella tradizione egizia come in quella celtica i fedeli si riuniscono attorno a un sacerdote vestito di bianco per celebrare il rito dell’acqua sacra.
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Venere-Afrodite era chiamata dai Parsi Astarte, equiparabile a Diana e alla galaica Bandia. PROTETTRICE DELLE ACQUE TERMALI. Il termine Finisterre proviene dal latino finis terrae, fine della terra, ma potrebbe avere a che fare anche con l’antico germanico finstern ovvero “oscurità”. Questo era il nome della stella Venere e la chiamavno così perché riceveva le anime di coloro che spiravano e perché brillava a Occidente in cima alle acque dove terminava il mondo, lì dove le barche che abbandonavano le onde non tornavano a riva. Così il Fisterra galaico è contrassegnato dalla bipolarità: finisterrae-finstern, fine del mondo-oscurità, Giacomo Maggiore-Minore, alfa-omega, Castore-Polluce, Oriente-Occidente, Luna-Sole. Identificata con la stella dell’alba, Venere sui gradoni della ziggurat di Babilonia era chiamata anche Astarte.
Gli Esseni credevano che le anime buone andassero al di là del mare a Occidente in una terra dove non ci sono mai né tormenta, né pioggia o neve né calore insopportabile.
I Mandei, discendenti della primitiva Chiesa di Gerusalemme di cui il patriarca era Santiago-Giacomo, credono che gli abitanti di questa lontana terra siano tanto “oscuri” che sia impossibile vederli, credono anche che la loro collocazione sia indicata da una stella di nome Merica. La stella è anche la luce dell’alba dei Nazirei, la primitiva setta di Giovanni Battista e di Gesù. La stella vespertina, Venere, la stella dell’Occidente che figura in tanti scudi di nuove repubbliche americane. Il cammino della stella dell’Occidente porta alle stesse domande che si sono fatti i Mandei ma anche tutti i pellegrini che sono giunti in Galizia: Ovestrimni, Celti, Svevi, Vandali, Visigoti, Catari, Gnostici, Pitagorici, maestri del romanico, Templari, Fenici, Vikinghi e Almoravidi.
Moraime e Muxia sono le terre della Stella Venere, la stella a cinque punte del sigillo di Salomone. In questo luogo c’erano due castri vicini e una fonte sacra. Alcune antiche divinità galaiche avevano relazione con le acque come le signore celtiche e le divinità indoeuropee. Nello stesso modo in cui la Dea Madre era associata alle rocce e l’arcobaleno era il ponte per l’altro mondo. Le fonti venivano chiuse in santuari, creati in pietra e a forma di tempietto dove si onorava Venere, Isis, la Madre Terra, le divinità locali dell’acqua e tutti gli aspetti della divina energia femminile.
E’ possibile che la conchiglia servisse originariamente come simbolo di quell’altro cammino, quello pagano che giungeva al mare. La conchiglia è un simbolo sacro della Costa da Morte da molto prima della nascita del mito jacobeo, poiché vi sono conchiglie in bronzo che risalgono all’epoca romana. Così come il bastone curvo terminante a spirale, che reggono in mano varie figure con mitra nella porta occidentale, è il simbolo del cammino segreto del sapere, il pellegrinaggio, il labirinto.
Finisterre e Muxia sono le due punte unite alla fine del cammino jacobeo, santuari mariani dove sono presenti le mani di cluniacensi e Templari. Ancora oggi la grande festa della Vergine della Barca di Muxia non si celebra nella chiesa parrocchiale ma nel santuario da Barca che è sempre stato più un tempio pagano. Il cammino segnato dalla conchiglia era un cammino pagano dove si adoravano le divinità femminili ipostasi di Madre Terra.
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Moraime era la porta di entrata del “Più in là”, nel cuore del remoto Nemancos, il selvaggio paese dei boschi sacri, il finale del cammino misterico della Via Lattea. A Moraime concernevano sia Fisterra che Muxia e furono i suoi uomini che crearono la leggenda del cammino medievale.: i Templari della Casa dei Traba signori di queste terre.
Il segreto meglio conservato di questo monastero sta nelle sue rovine: una vergine nera, una divinità dell’acqua, un luogo misterico che i romani adattarono ai loro dei; bisognava approfittarne per assestare il colpo definitivo al paganesimo della regione indomita. Bisognava prendere il cammino e riconvertirlo: il simbolo segreto è la spirale e la conchiglia, simbolo della terra della famiglia Traba.
Finisterre era la culla del Sole e Muxia-Moraime della Luna.
Nel tempietto solare di Noia il libro scolpito è simbolo lunare: libro aperto luna piena, libro chiuso luna nuova, cartella dritta luna crescente, cartella inclinata luna calante. E ci parla anche del quadrilatero solstiziale-equinoziale. Qui la parte interessante non è tanto sapere dove sale il sole nell’anno in una certa data… ma dove scende. E siccome non si posa sempre nello stesso punto è stato creato un calendario misto solare-lunare attraverso questi libri perfettamente collocati nella porta del crepuscolo.
Questo era un luogo di culto ancestrale, neolitico poi celta e romano. E fu da qui che partì l’evangelizzazione delle tribù più celtiche di Galizia, quelle collegate coi Galli e coi lontani e biblici Galati (Mar Nero). I Celti Nerii conservarono molti dei loro luoghi di culto nella regione, però passati al setaccio cattolico romano. Essi sono i guardiani dell’essenza più pura del celtismo, la base ancestrale e biologica.
Qui meglio che in altri luoghi c’erano le premesse per cristianizzare non distruggendo i templi bensì gli idoli e innestando al loro posto il Dio Vero e il culto delle sacre reliquie. Se il popolo non avesse visto deturpati i suoi templi avrebbe potuto di buon grado riconoscere il proprio errore e venerare il Dio Vero sostituendo ai riti pagani quegli stessi riti ma cattolicizzati.
Proprio come i Celti, anche i Vandali e gli Svevi seguirono una via ancestrale attraversando la Gallia e il nord della Spagna in cerca di una terra promessa a Occidente: il Paradiso dell’ovest, il cammino del Sole lungo la Via Lattea. Al loro arrivo in Galizia constatarono che esisteva una cultura indigena vicina alle loro stesse tradizioni.
I Visigoti giunsero da terre vicine a quelle dei Galati, che sono di radice celtica come quelli occidentali. Pertanto avevano leggende che fin dalla notte dei tempi parlavano di un paradiso occidentale alla fine di un pellegrinaggio.
La religione ariana, predicata da Ario di Alessandria nel III secolo d.C. sosteneva che Gesù non era di natura divina: Gesù non poteva essere Dio perché era un uomo, diceva Ario. Poteva essere divenuto divino attraverso le sue azioni, non per sua natura. Fu condannato per eresia. Il messaggio gnostico di Ario e dei suoi seguaci sosteneva che Gesù era un uomo venuto a illuminarci il sentiero verso Dio. Gli gnostici apprezzavano la natura e le scienze naturali. Le loro opere sono pregne di influenze indù, persiane e della antica tradizione ebraica.
Nei vangeli gnostici si pone in dubbio la resurrezione di Gesù nel senso letterale del termine e si segue una tradizione segreta, misterica, degli insegnamento del Maestro Gesù. Si crede che i Templari conoscessero i testi gnostici occulti, quando presero in consegna la custodia dei sacri luoghi di Gerusalemme e del graal (sul tema si veda anche il mio “Gra(d)al il segreto della torre”, n.d.t.). La dottrina gnostica beve alla stessa fonte di quelle comunità dove nacque la più antica tradizione cristiana, come quella degli Esseni di Qumran e dei nazirei, l’antica chiesa di Gerusalemme, la cui testa invisibile ed erede di Cristo fu Santiago-Giacomo, non Paolo.
Gli gnostici credevano in un principio supremo di bontà, in una mente divina oltre l’universo fisico. L’uomo rimane isolato dalla divinità a causa della falsità del mondo materiale che lo circonda. Questo mondo difettoso, secondo gli gnostici, come abbiamo detto è opera di un creatore inferiore, non del Dio Supremo. L’uomo deve risvegliare il principio divino sopito nella sua umanità e per fare questo ha bisogno di un Maestro. I pitagorici sostenevano che per risvegliare tale sapere gli uomini, i camminanti, dovevano seguire il cammino della Via Lattea per entrare negli inframundi.
Questo è il messaggio ufficiale del tempio di Moraime, con quell’agnus Dei nel reverso del timpano dell’ultima cena. Coloro che stavano all’interno del tempio lo percepivano ma rimanevano col dubbio di ciò che si celava nell’altra faccia del timpano, perché la porta sud rimase chiusa e occultata per molti secoli fin dal medio evo probabilmente. In molte pitture abbiamo visto i roghi dei libri eretici catari, ariani e altri. Ma la pietra non può bruciare, quindi si chiude, si occulta.
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All’inizio dei pellegrinaggi jacobei, l’Europa assisteva alla grande guerra contro l’eresia catara di cui il sud della Francia ospitò nutrite comunità fino al sec. XIV. I Catari non praticavano il battesimo nell’acqua, si astenevano dalla carne e tradussero i vangeli in lingua volgare. Non credevano nell’eucaristia, rifiutavano il culto delle immagini e la gerarchia cattolica, seguivano l’ideale di vita degli apostoli e non credevano nel giudizio finale. La mano gnostica e pitagorica era presente in alcune comunità. Credevano in un principio dualista – il bene e il male contrapposti – di stampo zoroastriano.
Lungo il cammino e insieme ai canti dei trovatori occitani giunsero queste idee, fino alla regione più occidentale della Galizia. Un vangelo apocrifo – La Cena Segreta o Interrogatio Iohannis – veniva tenuto in gran conto dai Catari francesi e italiani: lo chiamavano “Il Segreto”. In questo libro Giovanni interroga Gesù durante una cena, segreta appunto, riguardo a Satana, alla caduta, alla creazione dell’uomo, al peccato di Adamo ed Eva, al regno di Satana sulla Terra e per ultimo riguardo al giudizio finale e al castigo del maligno. Essi credevano che tranne Dio e Gesù tutto fosse stato corrotto dal male contenuto nella materia e che pertanto tutto fosse da purificare e da salvare (per questo accettarono il rogo anziché convertirsi: era una purificazione per loro. n.d.t.). Durante la cena viene spiegato che Satana al principio era buono ma che poi seduce alcuni angeli e intraprende la creazione del mondo col permesso di Dio. Il vangelo apocrifo dice:
(Satana) fece la luce della luna e delle stelle, il tuono, la pioggia, la neve….. e mise angeli al governo di ciò. Poi ordinò alla terra di creare gli animali grandi, rettili, alberi e erbe e ordinò al mare di creare i pesci e gli uccelli del cielo.
Dopo di ciò rifletté e creò l’uomo perché fosse suo schiavo O SCHIAVO DI SE STESSO. E ordinò all’angelo del terzo cielo di entrare in quel corpo di fango dal quale prese poi una parte per creare un corpo in forma di donna. E ordinò all’angelo del secondo cielo di entrare nel corpo di donna. E quando gli angeli si trovarono in quelle forme mortali piansero. Satana ordinò loro di eseguire l’atto carnale nei loro corpi di fango.
E’ il motivo delle due porte di Moraime: un motivo eretico a causa del quale ci fu una mattanza a livello europeo. Il dualismo manicheo bene-male è chiaro nelle colonne e nelle statue della porta sud. Nell’ultima cena di Moraime Giovanni è in alto perché è in un altro luogo, alla cena segreta le cui credenze sono state raffigurate nei capitelli. In nessun tempio gallego, e sicuramente in nessuno del cammino spagnolo, si riscontra un tal numero di coincidenze coi testi eretici catari. Parola dopo parola i maestri scultori baschi convertirono il vangelo in pietra. E tutta la filosofia catara è presente nelle due porte del tempio di Moraime, alla fine della terra, l’asse centrale del Finisterre, realizzate da maestri baschi di influenza catara che lasciarono il messaggio inciso nella pietra all’inizio della mattanza papale: la crociata degli Albigesi.
Un cataro sarebbe affascinato nel vedere il suo vangelo scolpito nella pietra del centro tellurico della Costa da Morte, tra il tempio del Sole e della stella Venere, il maggior santuario della fine del cammino, molto vicino a una croce catara medievale innalzata sopra un bosco sacro celta al bordo del cammino a Finisterre: quella di Berdeogas-Dumbrìa.
Non si può non pensare alla “Ultima Cena” di Leonardo da Vinci, il grande artista italiano vicino alla tradizione catara. Nel famoso quadro né Gesù né gli apostoli hanno tracce di santità, perché i Catari sostenevano che Cristo era uomo non dio. Sulla tavola non c’è l’agnello della pasqua ebraica ma gli alimenti permessi dalla fede catara: pane, vino, pesce, arance, sale e acqua. Non appare il santo graal come calice né l’eucaristia. Giovanni ha il volto di una donna collegata da un famoso libro alla figura di Maria Maddalena (sul tema si veda anche il mio “Gra(d)al il segreto della torre”, n.d.t.).
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I Vikinghi giunsero in Galizia e ci si fermarono per un certo tempo convinti che il paradiso fosse qui di fronte al Finisterre e che ci si arrivasse con un viaggio meraviglioso su una barca sacra: la barca dei naviganti nel tempio di Cereixo che parla un antico linguaggio ancestrale di barche sacre. La porta è a sud, è sempre chiusa ma non è occultata. Sulla barca navigano sette personaggi più un corpo sdraiato di cui non si vede la testa. Sette come i commensali di Moraime più la testa del Neno.
(Ma il quarto, quello centrale, è più alto e ha la testa più grande degli altri: mi fa pensare ai 7 chakra di cui il 4°, il plesso cardiaco, è il punto di riflesso di ciò che è in alto su ciò che è in basso; inoltre a Cereixo c’è il corpo senza testa e a Moraime c’è la testa senza corpo: forse significa che i due templi sono complementari? N.d.t.).
I Sufi dell’Anatolia nello stesso secolo parlano di otto grandi profeti, sette cristiani più Maometto. Sette più uno è un simbolo molto usato dai Templari; il suo quadrato, il 64, è un mandala sacro in molte tradizioni. Corrisponde alla Madre Nera, la Vergine eterna, il quadrato terrestre, la trasformazione della pietra filosofale. E’ il numero dell’esistenza elementale, dove dorme la vita, primavera del mondo, la giustizia e l’equilibrio, la dea Maat dell’antico Egitto. Il quadrato è formato da due numeri pari, la luce e l’ombra, come le piante ottogonali delle cappelle Templari. Nella cabala è l’ottavo sephirà, Hod, e la lettera Heth simbolo del predominio dell’intelletto sulla materia, dell’esperienza sopra la forza, della conoscenza organizzata sopra l’impulso.
A Moraime la porta sud è dedicata ai 12 simboli dello zodiaco e quella occidentale contiene il triangolo magico, l’occhio di Dio, un triangolo equilatero perfetto.
Ma c’è di più. La Corona boreale con le sue cinque stelle visibili in cielo è rappresentata nella porta sud di Cereixo, creata dallo scultore cataro della porta gemella di Moraime. Nel gruppo centrale vi sono tre figure attive, di cui una centrale con il bastone, e le altre due che sostengono un corpo su un lenzuolo. Una linea che unisca le quattro teste e i piedi della figura stesa ricrea la posizione delle cinque stelle della Corona Boreale.
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Fonti incantate, miti e leggende pagane, rituali con l’acqua curativa lungo tutte le tappe galleghe del cammino, ci ripetono che esso era anteriore al mito jacobeo. Ma nessuno ha mai perso tempo a studiarlo o a dimostrarlo per paura di disconnettersi da questo recente impulso neojacobeo ufficiale che dilaga in Europa impregnato di turismo e superficialità, senza nulla a che fare con la vera essenza del cammino che è spiritualità e comunione.
Resti materiali, archeologia, genetica, leggende e tradizioni si uniscono per creare un legame tra i popoli dell’est europeo e dell’attuale Russia col Finisterre gallego. Dalle regioni del Mar Nero, patria dei Galati, partì 8.000 anni fa una corrente migratoria che non si fermò, lungo il cammino che oggi coincide con quello jacobeo. (Poco sopra al 42° parallelo affacciata sul Mar Nero in Valacchia la città di Varna, collegata al mito di Vlad Drakul che non poteva guardare il sole. Si veda di nuovo il mio “Gra(d)al il segreto della torre”. N.d.t.). Dal 3.500 a.C. la cultura megalitica gallega ci parla di una sola popolazione unita da vincoli culturali e da concezione religiosa. Dal 1.800 a.C. appaiono nella regione artisti che erano anche sacerdoti e sciamani.
Infine giungono i Celti e la storia ufficiale. Ancora oggi le festività del calendario agricolo e religioso della Costa da Morte sono quelle della tradizione celtica: Imbolc, Beltane, Lughnasa e Samhain. Quando nel VII a.C. i Celti Galli giunsero in queste terre di Galizia vi trovarono popoli della loro stessa stirpe e idioma, chiamati Nerii o Keltoi dai Greci, Artabri dai Cartaginesi e Celti dai Romani. I ricercatori confermano l’esistenza di una primitiva nazione celta ai margini del Mar Nero, la regione dei biblici Galati, nazione che realizzò la rotta ancestrale del grande viaggio lungo il percorso della Via Lattea verso il Finisterre occidentale. I Celti Iberici sono i più antichi d’Europa perché discendono da quel ceppo primitivo di camminanti galati.
Confermano i più recenti studi sul dna che l’homo sapiens dagli altipiani anatolici (Turchia asiatica) migrò fino alle nostre terre occidentali, biforcandosi verso i due Finisterre, il bretone e il gallego, dal suo inizio 30.000 anni fa circa. I marcatori genetici confermano ciò che raccontano le pietre. I dati genetici indicano che il dna delle attuali popolazioni europee della costa atlantica è simile a quello delle popolazioni indiane. Una migrazione dall’Asia popolò l’Europa 30.000 anni fa e questo flusso, di tradizione biblica, seguì il suo divenire fino all’estremo Occaso in Galizia.
Giacomo-Santiago era un personaggio speciale all’interno del mondo gnostico e iniziatico della primitiva chiesa cristiana. Sarà presente come guida per gruppi di cristiani speciali che fanno un altro Cammino. La leggenda della predicazione in Spagna e della scoperta del corpo di Giacomo nella costa gallega si basa su una falsificazione storica e sulla creazione di monaci stranieri della chiesa celta irlandese. Tale leggenda è stata riconosciuta falsa dai maggiori scrittori spagnoli contemporanei. La chiesa celta irlandese fu supportata nella sua invenzione dall’ordine di Cluny e dal partito politico di Borgogna che intendevano governare i regni ispanici e impiantare un nuovo ordine spirituale e sociale. La leggenda jacobea nacque in un’epoca convulsa.
La prima chiesa jacobea fu costruita ad Avezan seguendo strane luci che ricordano i moderni ufo. Poi nell’820 di nuovo luci vengono avvistate in un bosco sacro e subito dopo viene scoperta la tomba dell’apostolo.
Ma migliaia di anni prima dell’espansione del cammino jacobeo, ci furono popoli che emigrarono fino alla Costa da Morte gallega, popoli che credevano che il paradiso fosse a Occidente al tempo del megalitismo, popoli che provenivano dall’Est europeo e dal Mar Nero. La conchiglia, oggi considerata simbolo di Santiago de Compostela, era l’oggetto marino che i camminanti raccoglievano come prova una volta giunti alla costa.
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(qui finisce il libro “El camino secreto de Santiago”; di seguito riporto la traduzione di parti di un articolo di approfondimento inviatomi via mail da Rafael Lema. n.d.t.)
Se il cammino francese è marcato da Cluny e dalle manovre politiche per cristianizzare e dominare la Spagna del nord, esiste un altro cammino di ascendenza germanica. L’abendland, l’occidente, è una terra mitica: la terra del “più in là”.
Dati archeologici, storici, genetici, antropologici confermano l’esistenza di una Via del Sangue, la Vía Regia, una strada ancestrale che guidò i primi colonizzatori europei che unirono Oriente e Occidente. Nella zona geografica dove oggi vediamo il Mar Nero c’era una estensione di terra fertile, i cui abitanti dovettero emigrare a causa dell’inondazione del lago Euxino. Dall’alto di Valdai e dalle fonti del Dniepr giunsero le genti alla regione lacustre del Baltico, alla pianura germanica e alla porta di “Westfalia”. Da lì proseguirono lungo il nord delle Alpi, attravesarono l’area centrale francese, il fiume Garona, penetrarono nei Pirenei e scesero fino al fiume Tago in Portogallo. Dal sud della Spagna giunsero alle coste galleghe, trovando il Finisterre.
Questa vía fu seguita dai Celti come uno dei loro cammini di pellegrinaggio e coincide con le strade medievali dei pellegrini germanici a Santiago: possiamo vedere i loro passi sulla Niederstrasse e la Oberestrasse, attraverso la via della Sal o Vía Regia, incrociare la Francia dalla Vía Limusina, che comincia in Vezelay nel santuario di María Maddalena, niente meno. Il tredicesimo apostolo, che secondo la leggenda morì in Aix e il cui cadavere fu trasportato dal monaco Badilón fino a qui. Un’altra traslazione speciale che dà molto da discutere. La fabbricazione di questo mito sul viaggio in barca fino alla Terra Santa è simile a quello di Santiago.
Gli Iberici sono originari dell’attuale Georgia, (intorno al 42° parallelo, n.d.t.) che si estende nella regione del Caucaso, e gli Arii sono originari della Bactriana e dell’India; costoro, stabilendosi nell’Occidente europeo, adottarono il nome di Celti, vocabolo sanscrito. Gli attuali Galleghi condividono la loro origine con Caucasici e Britanni. Gli abitanti della parte occidentale della penisola iberica vennero dal Mar Nero e da lì migrarono alle isole del Nord.
[sospensione del testo di Rafael Lema]
(riporto da internet-wikipedia le seguenti informazioni sui Celti, n.d.t. [Con il nome di Celti si indica un insieme di popoli indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore (IV-III secolo a.C.), erano estesi in un’ampia area dell’Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti isolati più a sud, frutto dell’espansione verso le penisole iberica, italica e anatolica. Uniti dalle origini etniche e culturali, dalla condivisione di uno stesso fondo linguistico indoeuropeo e da una medesima visione religiosa, i Celti rimasero sempre politicamente frazionati; tra i vari gruppi di popolazioni celtiche si distinguono i Britanni, i Galli, i Pannoni, i Celtiberi e i Galati, stanziati rispettivamente nelle Isole Britanniche, nelle Gallie, in Pannonia, in Iberia e in Anatolia. Portatori di un’originale e articolata cultura, i Celti furono soggetti a partire dal II secolo a.C. a una crescente pressione politica, militare e culturale da parte di altri due gruppi indoeuropei: i Germani, da nord, e i Romani, da sud. I Celti furono progressivamente sottomessi e assimilati. I Celti sono menzionati dagli storici di lingua greca come Κελτοί (Keltòi) da cui deriva il latino Celtae. Probabilmente il termine Celti era un etnonimo proprio di una singola tribù dell’area della colonia greca di Marsiglia, il primo luogo dove i Greci vennero in contatto con il popolo dei Celti; in seguito, tale termine fu applicato per estensione a tutte le genti affini.
Sempre presso i Greci, a partire dal III secolo a.C. è attestato il nuovo etnonimo Γαλάται Galatai, corrispondente al latino Galli. Di questa denominazione è stata ipotizzata una derivazione dalla radice celtica *gal- (“potere”, “forza”) o dalla radice indoeuropea *kelH (“essere elevato”). È stata avanzata l’ipotesi che i Protocelti fossero il frutto di una penetrazione secondaria di Indoeuropei in Europa centrale, a metà del III millennio a.C., a partire dalle steppe a nord del Mar Nero, probabile patria originaria del popolo comune.
riprende il testo di Lema
La penetrazione nella Penisola iberica e lungo le coste atlantiche dell’attuale Francia risale quindi all’VIII-VII secolo a.C. Più tardi raggiunsero la Manica, la foce del Reno, l’attuale Germania nord-occidentale e le Isole britanniche; ancora successiva fu l’espansione verso le attuali Boemia, Ungheria e Austria. Contemporanei a questi ultimi movimenti furono gli insediamenti, già registrati dalle fonti storiche, in Italia settentrionale e, in parte di quella centrale (inizio IV secolo a.C.) e nella Penisola balcanica. Nel III secolo il gruppo dei Galati passò dalla Tracia all’Anatolia, dove si stanziò definitivamente. Tra i toponimi che denunciano una chiara origine celtica, spiccano non solo la “Galizia” iberica e la “Galazia” anatolica, ma anche la “Galizia” sub-carpatica, un’area che in passato fu al margine estremo della penetrazione celtica.
Nel II secolo a.C. i Celtiberi furono sottomessi da Roma attraverso una serie di campagne militari, le Guerre celtibere; la capitolazione fu segnata dalla caduta della loro ultima roccaforte, Numanzia, espugnata nel 133 a.C. da Publio Cornelio Scipione Emiliano. A partire da quel momento i Celtiberi, come tutte le altre popolazioni della Penisola iberica, subirono un intenso processo di latinizzazione, dissolvendosi come popolo autonomo. Galli era il nome con cui i Romani indicavano i Celti che abitavano la regione delle Gallie. A partire dal 400 a.C. circa, penetrarono nell’odierna Italia settentrionale. Continuarono a premere verso sud, tanto che nel 390 a.C. la tribù dei Senoni guidata da Brenno mise a sacco la stessa Roma, per stanziarsi infine sul medio versante adriatico (Piceno)])
[riprende Rafael Lema]
I pellegrini germanici sapevano che il cammino finiva al Finisterre. Una canzone popolare del camminante jacobeo è il St. Jacobs Pilgerlied von Sant Jacob. E’ una guida di pellegrini germanici, un lied popolare che appare in un manoscritto del XV sec. della Stadt Bibliothek di Munich. Nella strofa 24 cita Finisterre come tappa finale usando il nome di Stella Oscura, per la sua somiglianza fonetica con una espressione germanica simile a Finisterre, Stern heist finster o finsterstern. E’ una traduzione ad uso dei pellegrini germanici che per il ricercatore del tema jacobeo collegato alla Germania, Jaime Ferreiro Alemparte, “racchiude una allusione al mito antico del regno della notte ai confini della terra di fronte al misterioso Oceano, allusione che recupera la parola Abendland, traduzione di occidente”. Avend è nella radice germanica delle espressioni che definiscono il crepuscolo, l’annottare.
Nel citato lied si indica che i pellegrini devono proseguire dalla cattedrale di Santiago 14 miglia fino alla stella che chiamano oscura, “14 meil hinter pas/ zu eyn stern hest Finster”. E da Finisterre, andare al Salvador de Oviedo. “Den finstern stern wollen wir lan stan”.
La Vía Lattea è denominata il Camino de Santiago da francesi e germanici dall’inizio del mito. Per Jacobsstrasse si intende la vía terrestre jacobea e la Vía Lattea celeste, la Milchstrasse.
La Galizia stava nel mezzo della via dell’Ovest dei nordici. Si parla poco della importantíssima tradizione di pellegrinaggio degli Scandinavi fin dall’ XI sec. e fino alla metà del XVI. Nel Nord si conservano molte reliquie incluse alcune di Santiago. Circa 200 conchiglie galleghe naturali o ibskal (conchiglia di Santiago) si trovarono in tombe medievali danesi.
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Il Breviarum Apostolorum, creato nel sud della Gallia o nel nord Italia intorno al VII sec. è uno dei primi testi che sostiene la presenza dell’apostolo in Spagna. La prima notizia che il suo sepolcro si trovava in Galizia la ricaviamo dal martirologio di Saint Germain des Prés terminato nell’ 865. Data molto vicina a quella del “ritrovamento” del corpo. Come afferma la professoressa Falque Rey è paradossale che i manoscritti più antichi della storia Compostelana non portino l’eco dell’opera apostolica di Santiago in Spagna.
Presentando la mia opera “El Camino Secreto de Santiago” nella Casa de Cultura di Muxía commentai con chiarezza che Santiago non era mai stato lì né gli apparve mai la Vergine in una barca di pietra. Siamo grandicelli per i racconti esotici per ottimali che siano ai fini dello sviluppo turistico.
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Stonehenge fu un luogo di pellegrinaggio. Così come santuari famosi furono quelli di Isthar a Nínive e di Innana e Enlil a Nippur. Gli Egizi avevano il tempio di Osiris ad Abydos, i Greci a Delfos o Eleusis. Gli Indu andavano al tempio di Mathura, l’ottava reincarnazione di Vishnu in Krishna. Nello stesso modo ci fu un tempo in cui tutta l’Europa faceva pellegrinaggi a Compostela.
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Nemetóbriga doveva essere la montagna sacra o la città santa del centro dell’ordine territoriale romanico dei Galaici, l’ombelico di Kalláikia, secondo Martíns Estévez; e la voce kallaiko non è un nome tribale bensì un nome nazionale o aggettivo traducibile con paesano. In origine i tre conventi chiamati oinaikoi calaicos erano siti abitati da tribù collegate tra loro che si riunivano ogni anno in un punto medio del territorio. Lugo, Braga e Astorga sono città, secondo l’autore, nate non da castri romani bensì da accampamenti militari che avevano funzione di vigilare le riunioni aventi a che fare con l’identità del popolo calaico: il centro de culto di queste tre aree era Nemetóbriga. La necessità di un punto di unione tra le tre parti della Céltica del Nordest e il víncolo sacro di questo spazio rafforzano la posteriore creazione di Santiago.
Compostela è uno dei toponimi più discussi riguardo alla possibilità di relazionarlo con il sepolcro dell’apostolo Santiago, scoperto presumibilmente nel IX sec. da Teodomiro. Il ricercatore Dragó riassume così i termini della questione: l’apostolo è una ri-creazione del mito di Osiris, un’operazione político-religiosa, e il cammino dalla sua origine termina nel mare della Costa da Morte. In Asia la Vía Lattea è il cammino dell’elefante bianco, tra i Tartari è il cammino a La Mecca, è una traccia delle avventure di Zeus, e nel mito jacobeo una identificazione simbolica pellegrinaggio-stelle, però seguendo le sue tracce arriviamo al mare del Finisterre, più in là della tomba.
Emilio Lavandeira, per molti anni fotoreporter delle riviste Blanco y Negro e ABC tra gli altri, mi raccontò che nel 1965, Blanco y Negro lo inviò a fotografare la tomba dell’apostolo. Grazie ai suoi contatti ebbe accesso alla cripta mentre stavano preparando la composizione di una nuova urna d’argento. Penetrò nel sottosuolo, nel tunnel inaccessibile ai pellegrini e vide un’immagine deprimente per un santiaguegno come lui. L’urna nella sua parte interna constava di tre povere lamine ed era aperta da un lato. Nell’interno non c’era nulla.
“Oggi non importa chi sia interrato nella tomba bensì la grandezza di questa creazione fondamentale nella storia europea e nell’unificazione dei suoi popoli, rappresentata dal Camino”. Questa frase la ripetono oggi i principali storici nazionali per trattare un tema tanto delicato, sapendo che non si può continuare con questo racconto, però nello stesso tempo cercando di non danneggiare gli interessi turístici, polítici, economici. Io insisto sul fatto che la verità al contrario rafforzerebbe il carattere di Santiago come ombelico europeo, luogo tellurico millenario.
Giacomo non fu mai nel nostro paese, il suo corpo non fu né traslato né interrato in Compostela e oggi la tomba è vuota. Però la città santa conserva altri valori, è padrona di un passato mítico, è un centro di cultura e fede. E’ una meravigliosa creazione umana nel tempo. Materiale e inmateriale. E’ il bosco sacro di un Cammino millenario che va oltre le sue orígini e si mantiene vivo. I promontori galaici sono luoghi sacri fin dall’Età del Ferro. Oggi giungiamo al mare di Finisterre e ne usciamo trasformati, viviamo una esperienza di catarsi e di rinascita.
A partire dall’estate del 1878 cominciarono gli scavi e continuarono per otto mesi; alla fine di febbraio 1879 in piena notte scoprono un ossario nel retroaltare della cattedrale. Sotto una lastra di granito gallego di 8 cm erano ammonticchiate alcune ossa umane. Perlomeno apparvero umane di notte e al buio, interrate in una maniera molto poco decorosa. Il processo durò quattro anni e il 12 marzo 1883 il cardinale presentò il decreto di conclusione dove definisce le ossa scoperte, le reliquie “vere e realmente appartenute ai corpi del santo Santiago Apostolo figlio di Zebedeo, fratello di san Giovanni Evangelista, e dei suoi discepoli, i santi Atanasio e Teodoro, e che per tanto sono degne di culto religioso…”. A questo decreto seguì il processo in Roma. Il Santo Padre approvò il dictamen di riconoscimento e personalmente annunciò al mondo la notizia per mezzo della bolla sopra citata, invitando a intraprendere nuovamente i pellegrinaggi a Compostela. Per celebrare il ritrovamento delle reliquie, dichiarò l’anno 1885 Anno Santo Straordinario.
Sotto le lastre della cattedrale appaiono dati che confermano l’esistenza di una necropoli altomedievale.
Dietro alla creazione del mito c’erano la politica e la religione. La monarchia asturiana e la Chiesa. Cluny e Borgogna. Gelmírez e i re castigliani e leonesi, con la loro crociata. Qui lasciarono inoltre le loro tracce curiosi artigiani, in templi sconosciuti, e uomini come i Templari tracciarono un cammino distinto, parallelo. Praticamente tutto ciò che consideriamo mito, símbolo, leggenda jacobea beve da altre fonti molto anteriori. E buona parte di questo tesoro bisogna cercarlo guardando al Nord e all’Est, ai cammini e tradizioni dei popoli germanici che conservano l’origine dei primi pellegrinaggi, la Vía Regia, la Strada del Sangue.
FINE
Termino con le simpatiche parole dell’autore del libro che ho tradotto, Rafael Lema, in risposta a una mia email nella quale gli chiedevo da quale punto in Galizia potrei iniziare il vero Cammino:
….. aqui me tenies de guia, sin problema. Para obtener la Compostela, la acreditacion, se necesita andar 100 kmts, y la mayoria inicia el camino en SARRIA una poblacion ya de Galicia. Ya sabeis que tenies un amigo en el fin del mundo….. Rafael
CC Devana 2014