Ho individuato un fil rouge della memoria femminina, che unisce attraverso lo spaziotempo il sapere delle donne attraverso le radici del grande Albero delle Antenate: l’ho chiamato “fattore risonanza”.
Forse risvegliata dall’esercizio quotidiano del METODO La Scuola delle Donne® in Cerchio, lascio affiorare al livello di coscienza oggettiva la memoria dei collegamenti sottili tra donne di conoscenza che, pur incarnatesi in spazi e tempi diversi, si ritrovano in una dimensione comune contemporanea e presente. Il collegamento sotterraneo delle Antenate, nelle radici del Grande Albero della Conoscenza, è attivo anche se al di sopra della crosta, la mente razionale non lo coglie. Leggo in una pagina di “Ipazia vita e sogni di una scienziata del IV secolo” di Petta Colavito, una frase che trasporta davanti ai miei occhi Marie Curie. Cos’è che l’ha richiamata? La legge della risonanza: due diapason simili che si attivano a vicenda sebbene uno solo dei due venga toccato. Per questo, “Fattore risonanza” è il nome che do a questo strano fenomeno dove l’associazione di idee risveglia le Antenate le quali riaffiorano alla mia coscienza rispondendo a una parola o a un concetto espresso da un’altra di loro e che in quel momento io sto leggendo.

“Guarda, Shalim, questo è uno studio sull’atomismo di Democrito, risale ad almeno quattrocento anni fa, a dopo l’incendio appiccato da Giulio Cesare alla biblioteca madre, quella situata nel Mouseîon. Questo… questo, Shalim, è ciò che m’interessa di più! Se riusciamo a leggere in un mondo estremamente piccolo… allora potremo giungere fino alle stelle! È l’atomismo la chiave per accedere a tutti i misteri della vita e dell’universo! È con lo studio degli atomi che riusciremo a scoprire la vera natura delle cose! È attraverso lo studio degli atomi, dell’infinitamente piccolo, che potremo conoscere tutto, compreso l’infinitamente grande! Gli atomi che, come ci hai spiegato, vogliono dire “indivisibili”, muovendosi nel vuoto, incontrandosi e scontrandosi, aggregandosi e disgregandosi in una vibrazione o pulsazione eterna, generano mondi infiniti”.[1]
Mentre leggo ad alta voce queste parole – “Mondi Infiniti” – attribuite a Ipazia, Marie mi sorride e annuisce. Alla mia coscienza affiora il ricordo che anche lei aveva questa visione. Marie voleva scoprire e provare l’esistenza di mondi invisibili all’interno degli atomi, questo fu il movente della sua ricerca.

“Sapevo di essere venuta in quel corpo per uno scopo e con una missione: usare la scienza positivista per dimostrare l’esistenza dei mondi invisibili. Mentre proseguivo con la sperimentazione, ci si rese conto che la fisica classica non offriva alcuna spiegazione a una tale energia sprigionata dai tre elementi che definii radioattivi[2]. Bisognava cercare altrove, in altri reami dell’esistente e forse cercare nei mondi invisibili. L’emissione di radiazione spontanea era un enigma e non poteva essere spiegata come una ordinaria trasformazione chimica. Percepii che stavamo esplorando un campo fino a quel momento sconosciuto: quello dell’infinitamente piccolo, dell’energia pura. La struttura dell’atomo non era ancora stata scoperta a quell’epoca. L’atomo era solo un concetto filosofico risalente a cinquecento anni prima della nascita di Joshua[3], tuttavia garantiva nell’immaginario collettivo la stabilità della materia. Ora però, si scopriva che l’atomo poteva emettere energia e questo suggeriva che nell’universo ci fosse qualcosa di più piccolo dell’atomo stesso. L’atomo smetteva di essere una pallina – che, con miliardi di altre palline, formava la materia – e diventava un piccolo mondo da esplorare. Come in alto così in basso, come nel grande così nel piccolo, la legge alchemica della specularità frattale della vita venne da me non solo suggerita ma anche verificata misurata e battezzata. Nei processi di laboratorio, avevo visioni e chiavi di accesso ad altri mondi esterni e interni, risvegliavo facoltà latenti proprie dell’Essenza Umana Superiore, che ritorna Divina. Naturalmente consideravo un abominio che la Scienza, la Voce della Madre, fosse messa al servizio dell’industria e del denaro come un mero macchinario atto a riprodurre effetti certi da cause date”.[4]
Ipazia fu trucidata nel 415 d.C., prima di riuscire a completare la sua opera, come moltissime Antenate che non vissero abbastanza da portare a termine la loro missione. Ma il METODO mostra chiaramente come l’opera di una sia stata ereditata e proseguita da un’altra. Come in una collana di perle, le donne si passano l’una con l’altra la visione e la ricerca. Per quante ne sono morte giovani e non hanno potuto quindi ultimare la ricerca, altrettante ne sono nate che l’hanno ripresa e proseguita, come richiamate da una voce interiore che ha tenute e tiene collegate tutte le donne di conoscenza dall’inizio dei tempi.
Marie Curie operò tra la fisica e la chimica e poiché il radio che lei scoprì non apparteneva a nessuno dei due ambiti, ne creò uno nuovo a cavallo tra fisica e chimica: la radioattività. Le donne di conoscenza non dividono, non settorializzano, al contrario tendono a trovare il fil rouge che unisce le discipline.
Accanto a Marie si materializza un’altra donna e siede accanto a lei. È Rosa Luxemburg. Il “fattore risonanza”, che la richiama, è che anche lei si muoveva in un ambito che non era solo politico o economico o sociale ma era l’unione di tutti questi.

Rosa aveva accusato il suo stesso partito. La sua posizione non violenta la mise in contrasto non solo col capitalismo militarista occidentale ma anche con la stessa rivoluzione socialista-bolscevica russa e col suo leader Lenin, che ella accusò di aver trasformato in dittatura un movimento spontaneo popolare. Ed era uscita da ogni movimento ufficiale per percorrere sola il suo cammino di verità. Come per Ipazia, anche per Rosa si assiste a una vera e propria rimozione storica. Ancora oggi i “grandi pensatori” socialisti vengono discussi e studiati, mentre lei viene ignorata, tranne che dai gruppi femministi. Come per Ipazia anche per lei è stata operata una sorta di damnatio memoriae.
Da Rosa, il fattore risonanza mi porta ad Hanna Arendt, filosofa tedesca che scrisse trent’anni dopo di lei. Di nuovo un ambito tipicamente femminile, ovvero multidisciplinare, poiché l’energia femminile esiste prima della dualità e suo scopo è unire:

“Il suo “Le origini del totalitarismo” non soddisfece né filosofi né storici né politici né sociologi perché mescolava le varie discipline. È un libro che non rientra nei canoni disciplinari specifici, né nelle distinzioni politiche stereotipe. La politica per lei non è l’insieme delle istituzioni, non è una comunità in cui si distingue tra chi governa e dunque comanda e chi obbedisce: questo è dominio, è ciò che tradisce la politica. Per Hanna l’attività politica per eccellenza è la rivoluzione quando riesce a non tradire se stessa scivolando nella violenza e creando istituzioni. La rivoluzione di una pluralità di esseri liberi che si riuniscono, destrutturano l’universo del dominio e danno vita insieme a uno spazio pubblico in cui scorre l’energia del potere ma non si trasforma in dominio”.[5]
La multidisciplinarietà, che faceva studiare a Ipazia gli atomi per comprendere le stelle, ha portato davanti ai miei occhi in questo attimo eterno, Marie Curie, Rosa Luxemburg, Hanna Arendt e…. non è finita. Perché sta arrivando un’altra antenata. È Marija Gimbutas.

“Il mio approccio allo studio divenne una nuova disciplina, composta dall’unione di archeologia, mitologia, linguistica, folklore, etnologia (e intuizione!!!). Questa nuova disciplina fu chiamata archeomitologia. Usai altre discipline per poter confermare in modo inconfutabile ciò di cui il mio cuore non dubitava affatto, per rendere credibili i miei ritrovamenti nel mondo degli uomini che esigono prove, prove e ancora prove e non si lasciano guidare dalla percezione. Fonte di ispirazione e via per il risveglio di memorie sono state per me le anziane lituane che vendevano erbe e verdure al mercato. Ho ritrovato negli scavi le stesse ceramiche decorate che fin da piccola osservavo sugli scaffali della mia casa a Vilnius, poiché la mia terra aveva segretamente conservato la tradizione della Dea e per questo avevo deciso di incarnarmi lì. Scoprii i simboli della Dea negli oggetti di uso quotidiano più comuni tra la mia gente, sulle decorazioni dei mobili e dell’abbigliamento. Ho sentito la voce della Dea nelle canzoni popolari; per avere informazioni sulle comunità matrifocali neolitiche, studiai il folklore lituano, i suoi canti, racconti e miti”.[6]
Testo Devana CC 2019
foto crediti da internet
puoi ascoltare qua la versione di questo articolo audioletta da Stea per me
[1] da “Ipazia vita e sogni di una scienziata del IV secolo” di A.Petta e A.Colavito, La Lepre ed. 2009
[2] Uranio Polonio e Radio
[3] VI sec. a.C.
[4] da “Antenate la visione delle Donne”, Devana, Edizione dell’Autrice 2017
[5] da una conferenza di Simona Forti, Torino 2015
[6] da “Antenate la visione delle Donne”, cit.