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Mese: Novembre 2017 Pagina 1 di 9

I tasselli nei megaliti e l’ipercubo

Mentre ero in viaggio nell’Isola di Pasqua fui condotta in maniera del tutto casuale a visitare un particolare altare megalitico che normalmente non richiama turisti poiché non vi sono Moai. Ciò che scoprii mi aprì un campo di studio enorme che ancora sto indagando. Infatti ciò che rendeva ancora più incredibile la già di per sé pazzesca presenza megalitica in un luogo così lontano dal Perù o dall’Egitto dove normalmente si trovano quel genere di architetture, era il tassello inserito in mezzo ai megaliti…

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Appunti di storia dello sciamanismo

Di seguito condivido la scaletta del mio laboratorio “Incontro con lo sciamanismo”, il testo quindi non è impostato come articolo poiché si tratta di appunti dai quali possono essere tratti spunti per ricerca personale e approfondimenti

TRADIZIONE CELTICA E DRUIDICA

Celti originari territorio intorno svizzera 4000 a.C. Keltoi è parola greca. In Irlanda dicevano di discendere dai Tuatha de Dannan (cioè la tribù della dea dana).

Celti bretoni – breizh;

Prydyn parola gaelica per tribù celtiche, da cui britan

Si ritiene che ogni successo, economico politico, artistico e giuridico sia perpetuato ricollegando la comunità ritualmente all’ambiente e ai cicli lunari/solari cosmici nonché alla memoria dell’inizio dei tempi quando tutto viveva in pace e armonia.

E’ una metà del primo essere vivente che si divise in due: un Grande Padre e una Grande Madre; l’idea è che il mondo sia il corpo della divinità coinvolta nella creazione ed è proprio per questo che il processo di creazione era sempre in fieri. Il mondo è il corpo personale della Grande Dea, non l’impersonale prodotto di una divinità artigiana.

Dall’altra parte c’è un Altromondo Tir Na n-Og, dove vive il Grande Padre, è invisibile ai sensi fisici. Non è soggetto alla rovina e alla decadenza come il mondo fisico

In un’antica lingua celtica la quercia era detta druis: troviamo questa radice in altre parole che hanno a che fare con la durata e la resistenza. L’implicazione è che la conoscenza del Druido dura nel tempo. La parola stessa per “magia” era draoicht, che significa “ciò che il Druido fa”.

E’ interessante che la parola “driade”, oggi utilizzata come sinonimo di spirito femminile di fanciulla per sempre giovane e bella, possa in realtà venire da dryad, la parola utilizzata dai celti continentali per identificare una Druida. Mentre la parola irlandese per Druida è bandraoi, che letteralmente significa “donna Druido”.

Il Druido era colui che ricreava continuamente il mondo con i suoi rituali di rinascita delle stagioni. Senza di lui il mondo avrebbe potuto finire.

Un Druido è colui che divide le Nebbie di Manannan, che beve l’acqua profonda del Pozzo della Saggezza, e che parla il linguaggio della Sacra Verità.

Era un vigilante, nel senso che teneva costantemente sotto controllo la terra e gli animali e si occupava delle loro necessità e sofferenze.

L’Uomo di Lindow, il cui corpo fu ritrovato tumulato al confine tra Inghilterra e Galles: totale mancanza di segni di colluttazione sul corpo indicano come la vittima non si sia opposta al sacrificio ma anzi probabilmente si sia consegnata spontaneamente e di sua volontà. Questo particolare fa sì che si ritenga che l’Uomo di Lindow fosse un Druido che accettò consapevolmente di essere sacrificato in un tentativo (infruttuoso) di evitare l’invasione romana della Britannia.

Ci sono molti altri corpi tumulati scoperti in tutta l’Europa, uccisi nello stesso modo e con gli stessi segni di una specifica volontà di essere sacrificati.

l’uccisione rituale del re era un’usanza diffusa. L’idea era che essendo il re una figura sacra, rappresentante del dio in terra, le sue condizioni erano connesse con lo stato della terra su cui comandava.

La vita o lo spirito del re erano così empaticamente connesse con la prosperità di tutta la sua terra che se lui si ammalava o invecchiava il bestiame diventava sterile e smetteva di riprodursi, il grano si bruciava nel campo e gli uomini perivano o si diffondevano malattie, l’unico modo per evitare le calamità era di sacrificare il re mentre era ancora nel pieno del suo potere, cosicché lo spirito divino di cui era portatore e che aveva ereditato dal precedente capo, si potesse trasferire al suo successore nel pieno vigore, prima di essere colpito da debolezza e vecchiaia.

pratica ha uno scopo rituale : raggiungere un rinnovamento del mondo, in particolare di quello agricolo, per prevenire le carestie. Alcuni re sacri venivano uccisi automaticamente dopo un certo numero di anni (vedremo RAPANUI UOMO UCCELLO)

Per comprendere questo fenomeno dobbiamo andare oltre l’idea fraintesa della morte che abbiamo oggi nel mondo moderno. Per i Celti la morte non era una tappa finale come per noi. Faceva parte della dottrina druidica il concetto che l’anima fosse immortale e che la morte fosse parte del ciclo vitale di chiunque. Ne consegue che i sacrifici umani agli occhi degli antichi non assumevano il significato ripugnante che hanno per noi oggi.

punizioni peggiori della morte: per esempio essere banditi dalla comunità (poiché era la comunità e non la famiglia il nucleo di base della società).

Sappiamo che vestivano tinte sgargianti poiché i colori brillanti venivano considerati simbolo di libertà: speciale mantello da cerimonia color porpora e decorato con conchiglie, piume e pietre colorate. Druida di nome Fedelm: indossava un mantello maculato drappeggiato e fermato da una spilla d’oro, una tunica con cappuccio rossa ricamata e sandali con fibbie d’oro.

Maschere celtiche in bronzo potrebbero avere avuto un utilizzo rituale. Druidi e Druide possono averle utilizzate per impersonare le divinità durante certe cerimonie.

La tradizione celtica ci informa che i Druidi avevano il potere di aprire e chiudere le assemblee pubbliche. Il Druido è il primo a parlare ad ogni riunione importante: persino prima del re o del capo. In questo modo ogni pubblica assemblea aveva l’atmosfera di un rituale e la magia era utilizzata come sistema per garantire che prevalesse la giustizia.

Le donne nella società celtica

La mitologia celtica descrive molte donne guerriere, poetesse e Druide. Di fatto le donne celtiche  avevano molta più libertà e diritti rispetto alle donne di altre culture di quei tempi. Avevano il diritto di entrare in battaglia, di avere proprietà o di ereditarle, di tracciare la loro discendenza a partire dalla famiglia della loro madre e di scegliere il marito nonché di divorziare.

L’eroe irlandese Cù Chullain fu istruito da una regina guerriera e proprietaria terriera dal nome Scathach. Morganna Le Fey, tradizionalmente dipinta come un personaggio negativo, era una sacerdotessa di culti pagani femminili, che tentava di conservare le sue divinità  e la sua indipendenza quando sorse un  nuovo mondo maschile, quello cristiano

Mogh Roith, uno dei più grandi Druidi irlandesi, fu istruito da una Druida dal nome Banbhuana, figlia di Deargdhualach.  Le donne irlandesi riconoscono la loro eroina nella regina Maeve di Cruachan, che guidò un’armata contro le provincie dell’Ulster solamente per ristabilire i suoi diritti di uguaglianza nel matrimonio. La regina Maeve si avvalse dei servigi della Druida chiamata Fedelm (abiti sgargianti).

guerriere. Fionn Mac Cumhall, dei mitici Fianna irlandesi, fu allevata da due Druide. Una donna chiamata Asa (che significa “gentile”) divenne una guerriera Fianna col nome di NiAsa (cioè “non gentile”). Il suo nome fu poi accorciato in Nessa quando divenne la madre del re Conchobar. La sua influenza fu tale che suo figlio prese il di lei nome, anziché quello del padre e si chiamò Conchobar Mac Nessa o Connor figlio di Nessa.

La storica regina celtica Boudicca guidò la ribellione delle tribù celtiche unite contro i Romani.

Feste cosmiche: LA RUOTA DELL’ANNO

Ci sono otto festività principali annuali:

quattro sono momenti cosmici solari: equinozi d’autunno e primavera e i solstizi d’estate e d’inverno, erano detti “festival della terra”.

quattro sono chiamate “festival del fuoco” o giorni “cross quarter” e sono all’incrocio tra le quattro feste solari.

Samhain (pronunciato SOW-win). 1 novembre: significa letteralmente “fine dell’estate” Giochi feste e falò sono accesi per onorare la morte e si ritiene che le fate e gli spiriti si mostrino e invitino i mortali a unirsi a loro. capodanno celtico occasione per un confronto con la dimensione del soprannaturale e della morte: in questo giorno la barriera tra questo mondo e l’”AltroMondo” si indebolisce, così il passaggio tra una dimensione e l’altra è possibile e per questo la notte è considerata pericolosa.

Imbolc (pronunciato  IM-volk). 2 febbraio è il ritorno della luce. In Irlanda e Britannia le pecore iniziavano ad allattare in questo periodo la primavera. Imbolc festeggia la preparazione dei campi per la semina. La festa era sacra alla dea Brigid

Beltaine (pronunciato Bay-AL-tin-yuh). 1 maggio era la festa della fertilità e della vita, spesso il giorno prescelto per i matrimoni. E’ l’inizio dell’estate  . i Celti avevano due stagioni di 6 mesi ciascuna: da Samhain a Beltaine e ritorno. Fiere, giochi, falò e divinazioni per determinare i partner ideali nei futuri matrimoni venivano eseguite in questo giorno. E’ diventata la festa principale della bellezza, della fertilità e del divertimento sia a sfondo sessuale che romantico. Si tramanda che i Tuatha de Dannan siano sbarcati in  Irlanda in questo giorno.

Lughnasad (pronunciato Loo-NA-sa) 2 agosto. è la festa del dio Lugh. In questa festa si ringrazia la Terra per la sua abbondanza. Il nome fa riferimento al dio celtico Lugh dalla lunga mano, figlio del Sole, che sconfisse il Fomhoir Balor nella battaglia di Maigh Tuireadh ed ebbe in premio la conoscenza – che donò al suo popolo – dell’allevamento di animali.

duravano diversi giorni e a volte settimane, le date addirittura venivano decise osservando particolari momenti come il fiorire di certi fiori o alberi o la mietitura o il comportamento di certi animali, o ancora veniva usata la divinazione.

Samhain  (“Halloween”): 1° novembre o sole a 15° grado di Scorpione, Capodanno celtico e celebrazione della morte e del passaggio da questo mondo all’AltroMondo.

Mezzo inverno o Solstizio d’inverno (“Yule” ): 21 dicembre o sole a 0° di Capricorno, è il giorno più breve dell’anno, si festeggia la morte e rinascita del sole.

Imbolc (“Brigid’s day): 1° febbraio o sole a 15° di Acquario, i primi segni della fine dell’inverno.

Equinozio di primavera (“Ostera” ): 23 marzo o 0° di Ariete, l’uguaglianza della durata di giorno e notte e la crescita del giorno.

Beltaine : 1° maggio o 15° di Toro, festa della primavera, del matrimonio e del passaggio dalla metà scura – Samhain –  alla metà luminosa dell’anno.

Mezza estate o Solstizio d’estate (“Litha”): 21 giugno o 0° di Cancro, il giorno più lungo dell’anno e la massima forza del sole.

Lughnasad (o “Lammas”): 1° agosto o 15° di Leone, l’inizio della mietitura e il tempo giusto per mietere il grano.

Equinozio d’autunno (“Abred” ): 23 settembre o 0° di Bilancia, la festa del raccolto, della frutta e delle bacche. L’uguaglianza di notte e giorno con il crescere della notte.

Gli dei Celti

Alcune divinità erano semplicemente esseri che vivevano in particolari luoghi della natura o collegati a eventi naturali o ad animali o alberi e che quindi controllavano i loro movimenti (CFR BASCHI)

Altre sono divinità di specifiche tribù, le supportano proteggono e difendono. La divinità tribale era vista come un antenato un po’ distante, che portava benefici e influenza sulla sua discendenza mortale.

C’erano le divinità più “famose” incarnate nei luoghi più potenti e protettrici dell’intera nazione:

Dall’Irlanda:

Lugh Lamh-Fada, divinità solare, delle vittorie militari e del raccolto, è tuatha de dannan ma anche imparentato coi fomhoire

Manannan, il dio del mare e dei passaggi per l’AltroMondo, è un  tuatha de dannan

Morrigan, la dea della terra e della sovranità era già lì

Dagda, un’altra divinità solare e dei capi tribali, è un tuatha de dannan

Brighid, dea della guarigione, dell’arte dei fabbri, della poesia e del fuoco era già lì

Diancecht, dio della medicina e della fisica, è un tuatha de dannan

Ogma, fratello di Dagda, dio della scrittura, della conoscenza, delle orazioni e della saggezza, è un tuatha de dannan

Angus, figlio di Dagda, dio della gioventù, della bellezza e dell’amore, è un tuatha de dannan

 

Dal Galles:

Arawn, signore dell’Annwyn, dio dell’aldilà e degli antenati

Pwyll, signore del regno di Davyd e marito di Rhiannon

Arianhrod, è la dea di Caer Arianhrod, a volte identificata con la costellazione Corona Boreale, che è il luogo dove vanno le anime degli eroi alla loro morte

Rhiannon, dea della sovranità, dei cavalli e del mondo sotterraneo

Cerridwen, madre del poeta Taliesin, dea della saggezza e dei tempi antichi

Lyr, dio del mare

 

Dalla Gallia (incluso il loro nome romanizzato da Giulio Cesare):

Lugh (Mercurio), divinità solare

Belinus (Apollo),

Taranis (Marte), dio del tuono

Teutatis (Giove), dio padre

Brigid (Minerva)

Cernunnos (Dispater), dio degli animali, della fertilità, della morte e della caccia

Epona, dea dei cavalli e della maternità

Druido era tenuto a conoscerli per poter lavorare con essi senza irritarli e senza scatenare rivalse sulla tribù.

Erano anche panteisti, ovvero credevano che Dio fosse ovunque, all’interno della natura, piuttosto che separato da essa in qualche dimensione trascendente.

Gli dei – Tuatha de Dannan – arrivarono in Irlanda viaggiando su una nave che volava nell’aria.

Templi e luoghi sacri celti

 “L’ampiezza del cerchio megalitico è proporzionale a quella della brillantezza della stella corrispondente” (Rafael Lema)

Ci sono letteralmente migliaia di costruzioni e cerchi di pietre, pozzi sacri e anelli scavati nella terra, molti riconvertiti per servire la Cristianità. Il più grande sito di potere della tradizione druidica, il cuore della foresta della tribù dei Carnuti in Bretagna (Armorica), è oggi il terreno su cui sorge la cattedrale di Chartres.

Un’altra categoria di siti sacri sono quelli costruiti nel neolitico dalle popolazioni preceltiche. Queste costruzioni rimangono ancora oggi quasi intatte grazie alle loro enormi dimensioni. Di questo tipo fanno parte i due più imponenti siti irlandesi: Tara e Newgrange. Anche qui c’è il dolmen di base: la trave o ponte che collega le due dimensioni (cfr chakana/tawapaqa = trave, ponte, collegamento tra due dimensioni: chaka/tawa; cfr. porte tori nipponiche e ponticelli nei giardini zen)

  • Newgrange, Brugh Na Boinne, un grande tumulo artificiale circolare, fatto di terra e circondato da un anello di monoliti squadrati. Un singolo passaggio (a noi oggi conosciuto) si apre nella facciata sud che porta all’interno del tumulo, in una camera centrale. angolazione consentire alla luce del sole di penetrare in profondità nella camera centrale per circa 24 metri solamente all’alba del solstizio d’inverno. È il luogo dove si incontrano le 3 dimensioni
  • La collina di Tara era il luogo di incoronazione del re di tutta l’Irlanda ed assomma un gran numero di cerchi e viali di megaliti. Il cerchio sterrato più grande, Rath na Rì (Fortezza del Re) misura più di 100 metri di diametro e al suo interno vi sono due circoli sterrati più piccoli e un tumulo. Tara è anche la dimora della Lia Fàil (la pietra del destino), il monolito eretto presso il quale venivano incoronati ritualmente i re d’Irlanda. Tara è stata il centro del potere politico e religioso d’Irlanda per circa 4.000 anni
  • Il mare è stato, nella mitologia, spesso associato al mondo sotterraneo e all’ingresso al Tir Na n-Og. Nell’antica Irlanda uno doveva attraversare l’acqua del fiume Boyne per raggiungere Newgrange da Tara. Quindi la terra cosmologica è lo specchio di quella in cui viviamo.

Passaggi nei tumuli e Mondi interni:

queste costruzioni erano portali non solamente per i regni celesti ma anche per i regni interiori. Poiché molti cerchi di pietre e passaggi nelle tombe delle terre celtiche hanno caratteristiche adatte a favorire stati alterati di coscienza. Gli archeologi hanno supposto che alcuni dei pittogrammi presenti sulle pareti dei monumenti megalitici irlandesi sono simili alle onde prodotte spontaneamente dal cervello di una persona in stato ipnotico di trance e che l’interno fosse stato concepito proprio per agevolare stimolazioni e induzioni della trance.

Prima di tutto le camere interne dei passaggi nei tumuli sono scure. Nessuna luce entra a meno che non sia riflessa dall’esterno o apportata da una candela o da una torcia. Normalmente nemmeno i suoni penetrano, poiché la creta e la terra del tumulo assorbono i suoni dall’esterno e le camere lungo il corridoio ricevono solamente i suoni provenienti dalla direttrice dell’ingresso. I passaggi nei tumuli sono ambienti di deprivazione sensoriale.

lungo corridoio che conduce a una camera più larga, formando una T o una croce.

queste camere hanno proprietà che conducono il suono ad avere effetti ipnotici. Le mura di pietra asciutta conducono il suono sopra 120 decibel a frequenze che si trovano ben sotto la soglia dell’udito umano

effetto fisiologico sul corpo umano:

capogiri,

 cambiamento del ritmo respiratorio

pulsazioni

 sensazione ascensionale quasi come se levitassero.

In seguito segue anche un altro cammino, questa volta soggettivo, un passaggio percettivo nella sua mente, verso l’Altromondo.

I NOVE MISTERI DRUIDICI

1 – Nebbia

Le nebbie sono descritte nella mitologia come il luogo degli dei, la barriera tra questo mondo e l’AltroMondo e anche il mezzo di trasporto per l’AltroMondo. La magica nebbia che conduce all’AltroMondo si chiama Manannan come il dio del mare che è anche dio dei passaggi.  La nebbia è da una parte ciò che ci impedisce di vedere l’AltroMondo, dall’altra proprio ciò che ci conduce ad esso.

I Tuatha De Dannan celano i loro movimenti nel mondo reale attraverso essa e i Druidi la usano per raggiungere gli abitanti dell’AltroMondo.

I Druidi venivano chiamati per dare la corretta interpretazione ai vari tipi di nebbia e per comunicare con gli esseri che si manifestavano al suo interno. La Nebbia è l’equivalente druidico del “velo di Maya” hindu. Per tentare l’accesso all’AltroMondo e per ottenere le conseguenti conoscenze che si trovano là, è necessario pensare e percepire in modo differente.

il Velo di Maya è la separazione che l’intelletto crea tra le cose. Dividere le Nebbie significa dissolvere il confine e fare esperienza del mondo come Unità.

“luoghi soglia” per esperienze magiche: rive dei fiumi, litorali, porte d’ingresso, ponti, albe e tramonti e così via, e specialmente giorni sacri poiché essi stanno in mezzo alle stagioni: sono luoghi vicini al mare ma anche sulla terra, né dentro né fuori, né giorno né notte, né il giorno precedente né il seguente.

Le Nebbie di Manannan dunque potrebbero, per qualcuno che si trovasse avvolto da esse, essere percepite come lo stare in un luogo che non è né qua né là, né di giorno né di notte, né nell’acqua né sulla terra, né in questo mondo né nell’altro. E’ proprio come fare un passo nel reame della magia. La dissoluzione del confine è un passo verso la percezione dell’Unità. Il processo di apprendimento della percezione dell’Unità non chiede né più né meno che un cambio di attitudine mentale, cioè un nuovo modo di rapportarsi al mondo e alle “realtà”.

con un’attitudine spirituale noi sospendiamo le intenzioni pratiche e adottiamo intenzioni spirituali. primo passo nel processo di divisione delle Nebbie di Manannan. l’attitudine spirituale è il dare significato ad azioni, oggetti e creature come simboli spirituali o mezzi di comunicazione con l’AltroMondo. 

La spiritualità ha il suo fondamento nel modo in cui scegliamo di vedere il mondo e noi stessi in esso. L’attitudine spirituale ci rivela il mondo sotto una luce differente, la luce dell’”AltroMondo”.

2A – Sovranità

Il dominatore di un territorio è magicamente connesso al suo paesaggio. Una volta che il candidato aveva superato tutte le prove – elezione, gara di carri e spesso profezia druidica – allora si celebrava una cerimonia dove veniva ratificato attraverso forze magiche che egli sarebbe stato un buon re e avrebbe garantito la sicurezza del villaggio. Non doveva avere difetti fisici e prima di essere incoronato girava nudo nel recinto sacro sulla collina di Tara affinché tutti potessero controllare la sua perfezione fisica. Né poteva avere difetti di carattere, doveva essere nobile, coraggioso, valoroso, giusto, generoso… il tutto

PER NON DISPIACERE ALLA DEA.

Il Matrimonio Sacro rappresenta l’idea che ci sia una speciale connessione sacra tra la tribù che vive su un territorio, rappresentata dal suo capo che in questo caso è un “re sacro”, e la dea sovrana di quel territorio. Troviamo l’acqua nei fiumi e nei pozzi e sorgenti alle quali le dee del territorio sono spesso associate: Danu è la dea del fiume che scorre attraverso tutta l’Europa centrale: il Danubio.

La connessione tra re e dea è espressa con un legame sessuale. In virtù di questo legame ogni attività del re, la sua salute e vitalità, i suoi sentimenti, la sua rettitudine, il suo intelletto, il suo carattere e il suo carisma, possono essere graditi o meno alla dea e questo si tradurrà in abbondanza e fertilità per la tribù, o nella sua miseria. La salute ambientale e la moralità umana sono intimamente legate (cfr gli uomini giusti andini qapaq runa).

E’ attraverso la rettitudine del capo che gli alberi da frutta e i grandi boschi danno prodotti abbondanti.

E’ attraverso la rettitudine del capo che la produzione di latte delle grandi mandrie viene mantenuta.

E’ attraverso la rettitudine del capo che viene garantita l’abbondanza del grano più alto e nutriente.

E’ attraverso la rettitudine del capo che molti pesci nuotano negli stagni.

E’ attraverso la rettitudine del capo che vengono generati molti bambini sani.

Dopo la cerimonia di inaugurazione un Re Sacro riceve sulla sua testa diversi doveri e diritti sacri (geasa) che praticamente lo obbligano ad essere costantemente in una situazione rituale o cerimoniale  che permette un costante contatto con l’AltroMondo (cfr tapu rapa nui). Anche gli eroi e i Druidi possono essere caricati con uno o più geasa. Però devono essere persone d’onore ed essere in grado di rispettarli poiché rompere un geas equivale a contrariare la Natura/Dea e attirare la sventura su tutto il clann e sulla sua terra.

2B Matrimonio Sacro – La Morrigan

Dea della terra, della fertilità e del sesso e della sovranità sulla terra, è anche identificata con l’intero paesaggio d’Irlanda, specialmente i fiumi.

Il nome di Morrigan riappare nel ciclo arturiano nel personaggio di Morganna Le Fey; nella mitologia gallese è Rhiannon. Morrigan è una naturale controparte per Dagda, che è definito il Dio-buono, rappresentante del sole. Dagda appartiene alla tribù degli dei, i Tuatha de Dannan, e l’essersi congiunto con Morrigan gli assicura favori per la sua tribù, ovvero la vittoria dei Tuatha de Dannan sui Fomhoire.

Poema:

Il Dagda aveva un appuntamento fissato da un anno a Samhain, a Gleann Eadain, Vide una donna su uno sbarramento nell’Uineas, che faceva il bucato con un piede a sud e l’altro piede a nord. Sulla sua testa c’erano nove ciocche libere. Il Dagda si diresse verso di lei e si accoppiarono. Il nome di quel luogo da quel momento fu “il luogo dell’accoppiamento”. La donna con cui avvenne era la Mor-Rioghain.

Troviamo il principio del Matrimonio Sacro nella vita di Cartimandua, una regina celtica vista come l’incarnazione vivente della dea Brighid, suo marito Venutius poteva comandare accanto a lei proprio perché era sposato con lei.

C’era un’usanza in Europa, in base alla quale le coppie di giovani in certi speciali giorni dell’anno, andavano nei campi e nella foresta a fare l’amore; questo era un riprodurre il Matrimonio Sacro tra cielo e terra e un ritorno al tempo in cui questo atto era simpateticamente considerato un aiuto per far crescere il grano, in base alla legge alchemica dell’analogia

L’amore di Morrigan e Dagda rende possibile la sconfitta del male e la rigenerazione della terra. Il Matrimonio Sacro è la base dell’unità ottenuta attraverso l’unione dell’uomo con la natura e contemporaneamente nel nostro corpo, mente e spirito creando così connessione e continuità tra noi e ciò che ci circonda.

3 – I tre mondi Triskell triplicità dei reami o “mondi”.

Annwyn (pronunciato AH-noo-in), il reame ctonio della morte (mondo sotterraneo), governato dal dio Arawn che è dio della morte e padre divino della razza umana. Questo reame è collocato sia sotto la superficie del mare sia al centro del cosmo. All’esterno e sopra esso c’è

Abred (pr EH-breth), il regno terrestre dove viviamo noi esseri mortali. Ci trasferiamo qui dal Annwyn e poi continuiamo il viaggio a

Gwynfyd (GOO-in-fith), il regno celestiale degli spiriti e delle divinità sopra di noi e lungo il perimetro più esterno del cerchio che costituisce la nostra casa.

il viaggio dell’anima è una migrazione da Annwyn, il mondo infero, verso Abred dove essa sperimenta la vita in diverse forme viventi, dai funghi e insetti alle piante agli animali, fino a sperimentare finalmente la vita come essere umano per poi diventare divini proseguendo il viaggio verso Gwynfyd. Chi non riesce può ritentare come pre-umano.

(poi c’è la dimensione parallela dell’altromondo TIR NA N-OG, il mondo magico, che vedremo dopo)

A Newgrange si celebra il Matrimonio Sacro in concomitanza con solstizio d’inverno. Il sole penetra nel ventre della collina e fertilizzando la terra per l’anno nuovo. I tre reami che si congiungono a Newgrange, sono la terra, il cielo e il mondo sotterraneo.

antica tripartizione della divinità nel misticismo celtico. La più vecchia manifestazione del tre è la bellissima triskele nel passaggio di Newgrange. Appare nella triade “terra cielo e mare” Questi tre reami si allineano al centro lungo un asse verticale, rendendo possibili le comunicazioni e i viaggi tra loro: il mondo infero, il centro della terra e la “porta” del cielo, quindi, sono situati sullo stesso asse ed è lungo questo asse che sono possibili le comunicazione e i viaggi tra i tra regni (cfr tawapaqa andina)

il tre appare associato a tutti gli dei e le dee accoppiati con fratelli e sorelle creando così divinità triplici. La Morrigan è una triplice dea quando associata alle sue due sorelle Nemhain e Babd: irlanda

rhiannon arianhrod keridvenn galles

le triplici dee del tempo e del destino conosciute da altre mitologie europee, specialmente le tre Norne scandinave – Wyrd, Skuld e Urverly (questa terza è più spesso chiamata Verðandi, n.d.t.), o le tre Moire della mitologia greca – Clotho, Atropo e Lachesis – [Si vedano anche la triade italica Ecate Diana e Proserpina, e le tre Parche romane Decuma Morta e Nona, nd.t.].

La Triskele è la più conosciuta tra i simboli celtici che ci vengono dalla tradizione irlandese. Consiste in tre bracci spiraliformi uniti insieme da un punto centrale. Il più famoso esempio di Triskele è la grande tripla spirale scolpita nel muro del portale di Newgrange. simbolo unitario dei tre regni che supportano la vita: terra, mare e cielo, ma anche come unità di corpo mente e spirito dell’essere umano.

 

4 – Le 4 direzioni: la croce celtica dentro il cerchio            

Ciclicità delle quattro stagioni e quattro posizioni del sole collegate ai punti cardinali:

Le linee verticali ci riportano il nostro collegamento con i regni spirituali di sole, luna e stelle, la linea orizzontale è il reame terrestre con tutte le condizioni mutevoli. Ma la croce a bracci uguali inscritta nel cerchio è croce di perfetta armonia simmetria bilaterale su otto differenti assi. In questo modo le croci celtiche sono simbolo di unità e di pace.

EST                                        SUD                           OVEST                                  NORD

Leinster                                  Munster                      Connaught                             Ulster

Braccianti e                            artigiani e                    Druidi poeti e                         guerrieri

Agricoltori                              artisti                          musici

 

Produzione di                         Musica e                     apprendimento e                    battaglia e

Cibo e beni                             oggetti d’arte              educazione                             protezione

 

Il sole nascente                       mezzogiorno               il sole calante                          oscurità

Alba                                       zenith                          tramonto                                 nadir

Sulla cima di Tara pietra chiamata Lia Fàil. Questa pietra è uno dei 4 tesori portati in Irlanda dagli dei e ancora oggi la pietra impersona il matrimonio tra cielo e terra, capo tribale e dea protettrice della terra, “sopra” e “sotto”. Gli altri tesori sono: la lancia di Lugh, la spada di Nuada, il calderone di Dagda.

 

5 –  Il centro pozzo di connla 

Il quinto punto, l’intersezione della croce, è dove entrambe queste condizioni della nostra esistenza si congiungono (spazio e tempo).

Il centro mitologico puro chiamato la Fontana della Saggezza (Il pozzo di Connla). Il pozzo esiste al centro del Tir Na n-Og, l’AltroMondo irlandese. Nove alberi di nocciolo crescono in cerchio intorno ad essa; nove è stato da sempre il numero associato alla magia e al divino. Salmoni nuotano risalendo e scendendo i ruscelli e mangiando le nocciole. Chiunque beva quell’acqua o mangi le nocciole o si nutra di quel salmone acquista la conoscenza di tutte le cose e la saggezza.  Si tratta di potere addizionale per risanare la morte, un potere presente anche in altri pozzi della mitologia irlandese e officiato da quattro operatori rituali che stavano intorno ad esso.

 

6 –  Il fondatore: l’eroe iniziale

le gesta di un iniziale creatore divino, un fondatore o un eroe. “il viaggio dell’eroe”, iniziazione e infine dal ritorno.

Un eroe avventuroso viene spinto fuori dal suo mondo ordinario in una terra di meraviglie soprannaturali: L’eroe torna dalla sua misteriosa avventura col potere di conferire vantaggi ai suoi compagni umani…

 

7 –  Magia, preveggenza, poesia profetica

Nella antica società celtica chiunque era in grado di fare piccole magie, come fare offerte ai laghi, fiumi, pozzi, cave e fuochi. Ma le cerimonie più importanti e gli eventi magici di tutta la comunità erano nelle mani dei Druidi.

Firinne  (Sacra Verità) è il più importante principio del Druidismo: la “gente magica” come i Druidi, i Re, i Poeti e gli Eroi, pronunciano le cose come dovrebbero essere (cfr cammino della verità andino) e un momento dopo accade che esse avvengono proprio come sono state pronunciate. La sacra Verità consiste in parole magiche che vengono pronunciate dalle persone magiche alle quali il mondo risponde. tutte le operazioni magiche descritte nella mitologia sono accompagnate dalla recitazione di speciali poemi magici che scaturivano spontaneamente, improvvisati. E’ attraverso la recitazione che il Druido compiva l’incantesimo. E’ la Verità delle parole dei Druidi che le rende magiche. Si riteneva che un Druido potesse influenzare il mondo e portare buona o cattiva sorte utilizzando il potere delle parole.

 

8 –  L’Altromondo Tir Na n-Og (è una quarta dimensione rispetto alle 3 precedenti)

In irlandese significa “Terra della Giovinezza”. E’ descritto come una collana di isole nell’oceano a occidente dell’Irlanda, raggiungibili solo da chi ha passato “la Nona Onda” che corrisponde all’orizzonte, il punto in cui la sensazione solida del mondo mortale cede il passo alla dinamica fluidità dell’Altromondo.

L’ovest, la direzione del sole calante, è dove si trova l’Altromondo nella tradizione celtica. I corsi d’acqua o bacini sono porte per accedervi.

Là è giorno quando qua è notte; i laghi sono isole e il mare è terraferma; e tutti sono giovani e belli. una terra dove non c’è null’altro che la verità e dove non esiste né anzianità né invecchiamento, né tristezza o dolore o gelosia o invidia o arroganza. L’Altromondo non è separato dal mondo mortale ma ci circonda attraverso la natura.

L’Altromondo era la dimora degli dei, degli spiriti e dei morti, ma i Celti potevano visitarlo e sperimentarlo nel mondo reale e non soltanto nei sogni e nelle visioni.

Le comunità, in cambio dei doni che ricevevano dall’AltroMondo, offrivano agli dei oggetti, strumenti di lavoro, armi, cibo in Pozzi, laghi, cascate e caverne spade, oggetti d’oro, statue di legno.

La comunità poteva utilizzare le risorse di un luogo ma mai fino al punto che esse non potessero rinnovarsi e mai in modo irrispettoso o inutile. Ciascuno doveva fare la sua parte nel prendersi cura del mondo.

 

9 –  L’immortalità dell’anima

Essa attraversa la morte e può tornare ad incarnarsi in questo mondo.

 

Ogham – alberi – alfabeto oghamico

L’antico alfabeto celtico si chiama Ogham. Le lettere consistono in linee orizzontali o diagonali che toccano o si intersecano con una linea verticale centrale che unisce tutte le lettere. Si leggeva dal basso verso l’alto. C’erano originariamente 20 lettere ogham e prendevano il nome da 20 specie di alberi originari dell’Irlanda.

uso degli alberi come simboli di identità spirituale, sono il tratto più riconoscibile e distintivo del misticismo celtico. la stessa parola “Druido” identificava la “quercia”. gli alberi venivano adorati nel vero senso della parola.

L’albero incarna il principio simmetrico – sia lateralmente che verticalmente – “come in alto così in basso”, connettendo le 3 dimensioni: il regno celeste, l’energia ctonia e quella sotterranea. Poiché i suoi rami sono rivolti al cielo, le radici affondano nella terra e il fusto è qua.

all’interno di un’unica foglia spesso sono ripetute in piccolo le dimensioni e le forme dell’intero albero (frattali). Il suo annuale ciclo di rigenerazione porta a meditare sull’albero e sulla natura come simbolo di rinascita.

gli antichi Druidi collocavano i loro santuari nelle profondità delle foreste: il loro nome era Nemeton che significa “santuario” in tutte le lingue celtiche dell’Europa occidentale. nel santuario di alberi i druidi officiavano i loro rituali.

Alberi maestri che non potevano essere tagliati se non in particolari circostanze: la Quercia, il Nocciolo, il Melo, il Tasso, l’Agrifoglio, il Frassino, e il Pino/Abete argentato. Alberi di Biancospino erano spesso piantati vicino a pozzi sacri, come una sorta di spiriti guardiani. Bile Ratha indica lo speciale albero al centro del Nemeton, o luogo sacro. Un Bile è associato alla connessione tra cielo e terra, al Matrimonio Sacro e all’axis mundi. E’ un “albero del mondo” che garantisce la prosperità attraverso l’unione della comunità con l’ordine cosmico.

*maestri

Beith (Beh) la Betulla. Inizio, iniziazione, cose nuove

Luis (LOO-ish) Sorbo Rosso. Protezione, sostegno, prosperità, sicurezza, sopravvivenza.

Fearn (FERN) l’Ontano. Alleanza, protezione, soccorso, difesa, cose associate all’energia mascolina e al guerriero.

Saille (SHALL-yuh) il Salice. Flessibilità, cambiamento, crescita rapida, sofficità, bellezza, ricettività, cose associate all’energia femminile specialmente la maternità.

*Nion (Nee-on) il Frassino. Unità, prosperità, sacralità, guarigione, compimento.

Huath (HOO-ah) il Biancospino. Magia, difesa, portale, protezione, tutela, primavera, fertilità, confini.

*Duir (DOO-ir) la Quercia. Saggezza, conoscenza, forza, durata, robustezza, solidità, autorità, maestà, sovranità.

*Tinne (CHIN-yuh) l’Agrifoglio. Sfida, prova, ordalia, perseveranza, festa, celebrazione, dono, astuzia.

*Coll (KOLL) il Nocciolo. Saggezza, tempo, profezia, conoscenza, sogno, visione, ispirazione, messaggio, illuminazione

*Quairt (KWAIR-t) il Melo. Magia, meraviglia, stupore, mistero, cibo, abbondanza materiale, doni, bellezza, l’Altromondo, amore, cose associate con la femminilità, specialmente infanzia e adolescenza delle bambine.

Muin (MUHN) la Vite. Desiderio, dolcezza, seduzione, ricerca degli obiettivi, combattere con ingegno.

Gort (GORT) l’Edera. Ambizione, risultato raggiunto, decorazione, aderire agli altri come supporto, succhiare la forza degli altri.

Ngetal (NYETT-l) il Giunco. Pericolo, situazioni e tempi inquieti, fuochi fatui, volatilità, velocità, sorpresa, paura.

Straiff (STRAY-if) il Prugnolo. Pericolo, il lato distruttivo della natura, oscurità, perdita, fantasma, barriera, ostacolo, difficoltà, sfida.

Ruis (ROO-is) il Sambuco. Casa, salvezza, sicurezza, la luna, cose associate con la femminilità nella parte più tarda della vita.

*Ailm (ALE-im) l’Abete Argentato. Luogo alto, montagna, perseveranza, fuoco, inverno.

Onn (UHN) il Ginestrone. Primavera, crescita, cambiamento, trasformazione, cameratismo, amicizia.

Ura (OO-ra) l’Erica. Cose elevate, verità rivelate, sorprese, cose inattese-

Eada (EH-ha) il Pioppo. Orgoglio, altezza, onore, status, reputazione.

*Idho (EE-uh) il Tasso. Morte, veleno, longevità, mortalità, anzianità, funerale, cimitero, rinascita, tempo.

 

Tuath

Nell’antico mondo celtico era tuath “la tribù”, non l’individuo, l’unità di base politica ed economica della società. Una Tuath era una variegata comunità comprendente dai 2.000 ai 3.000 membri che costituivano contemporaneamente un partito politico, una corporazione, un gruppo di lavoro, una famiglia e una comunità tutto unito insieme. Era la tuath che possedeva e gestiva la terra, che pagava o riceveva la dote per i matrimoni delle fanciulle, pagava i debiti dei suoi membri che si erano macchiati di offese e crimini o ne riceveva il riscatto.

Una tuath esercitava sovranità territoriale, poteva creare un esercito con tutti gli uomini abili e anche donne, sia per scacciare dalle proprie terre tribù che le stavano invadendo, sia per conquistare nuovi territori. Un classe professionale di guerrieri della tribù, ben armati e attrezzati per la battaglia, era costantemente mantenuta attiva per difendere il bestiame e i confini e per ogni tipo di programma di conquista. Infine era come membro di un particolare tuath, con lo status che l’appartenenza a un tuath gli conferiva, che un individuo poteva rivolgersi a Dio, agli spiriti, agli antenati e a tutti i poteri sopranaturali che per loro erano fondamentali.

ESSERE CACCIATO DALLA TUATH ERA COME ESSERE UCCISO

 

Società

Nella comunità celtica antica le persone venivano vestite, sfamate e alloggiate in base al sistema della ridistribuzione dei beni (cfr società andine). Il cibo e gli altri beni di valore venivano, conservati dal leader della tribù per essere ridistribuiti nelle feste della prodigalità. Dai leader tribali ci si aspettava una perfetta efficienza a riguardo e la capacità di distribuire il cibo in maniera giusta ed equanime. Avevano la grossa responsabilità di organizzare feste per dimostrare che essi non avevano perduto il favore della dea con la quale si erano idealmente congiunti in matrimonio.

Il “Testamento di Morann” avverte l’insediando re: <Digli, non permettere che le ricchezze, i tesori o i possessi ti rendano cieco alla sofferenza altrui>.

 

La creazione del mondo l’arrivo dei Tuatha de Dannan

Invocazione ai raduni: < Fu il primo giorno di Beltaine, che vennero i Tuatha de Dannan. Fu nella nebbia che giunsero i Tuatha de Dannan, attraverso la terra e il cielo. Giunsero dal Nord dalle loro quattro città>

<E i Tuatha de Dannan hanno portato con sé dalle quattro città i loro quattro segreti. Dal Falias fu portata la Pietra del Destino che fu situata in Tara. Era solita piangere quando un re indegno si appropriava dell’Irlanda>.

<Dal Gorias fu portata la lancia che fu di Lugh. Nessuna battaglia fu mai ingaggiata contro di essa o contro l’uomo che la impugnava>.

<Dal Findias fu portata la spada di Nuada. Nessuno può sfuggirle una volta sguainata dal suo fodero mortale. E nessuno può resisterle>

<Dal Murias fu portato il calderone di Dagda. Nessuna compagnia si allontanerà da esso senza essere sazia>.

I Tuatha de Dannan combattono contro i Fomhoire per ben due volte – battaglia di Maigh Tuireadh – per il possesso del “Grande Pilastro”. il pilastro è l’axis mundi, che sorge al centro della creazione unendo i tre regni. Fomhoire, il cui nome significa “spiriti sotterranei”. arrivano dal sud del mondo, guidati dal loro re Balor Occhio Cattivo.

Tuatha de Dannan sono associati con la luce proveniente dal cielo o dal mare,

mentre i Fomhoire sono associati col mondo sotterraneo e i tumuli neolitici .

Lugh Dagda e Ogma (dei Tuatha de Dannan) incontrano la triplice dea Morrigan (che invece è del territorio). Il triplice Sacro Matrimonio tra le tre coppie rende possibile la sconfitta dei Fomhoire. è il consenso della dea a dare agli dei Tuatha de Dannan il potere di sconfiggere i Fomhoire e riportare la pace, la giustizia e la prosperità nel mondo.

Balor, il capo dei Fomhoire, è la più grande sorgente di paura e malvagità: è il capro espiatorio primordiale. Egli prende sulle sue spalle i vizi e le colpe della comunità e la sua morte rappresenta la purificazione della comunità.

Non sappiamo quanto a lungo i Tuatha de Dannan ebbero l’Irlanda, ma sappiamo che alla fine la lasciarono. I Milesi, chiamati anche i Figli di Gael, sbarcarono a Inver Sceine, nel Munster occidentale, e si misero sul cammino di Tara e invocarono il diritto di restare in Irlanda.

Fu detto loro di retrocedere le loro imbarcazioni per una lunghezza di nove onde e se fossero riusciti a sbarcare nuovamente, avrebbero avuto l’Irlanda. Essi obbedirono e i Tuatha de Dannan mandarono una tempesta che impedisse loro di sbarcare. Ma Amergin, il grande bardo e Druido dei figli di Gael, calmò la tempesta con un incantesimo. Così Amergin fu il primo a mettere piede sulla terra.

I Tuatha de Dannan si ritirarono sulle colline e nelle valli più belle d’Irlanda, dove erano protetti dalle segrete mura di Manannan. Attenti, Popolo della Terra, che sebbene i vecchi dei si siano ritirati, essi rimangono tra noi e vivono in noi.

 

Tratto da “I misteri del druidismo” di Brenda Cathbad Myers, traduzione di Devana, Anguana edizioni 2014

 

TRADIZIONE GIAPPONESE SHINTO

Lo Shinto (il cui significato è “la via degli dei”) è la religione originaria giapponese.

secondo la quale Amaterasu è la Grande Dea Madre Sole, madre di tutti gli dei non c’è una figura maschile di uguale rango al suo fianco. Da lei discende la famiglia imperiale giapponese e il Giappone stesso. E’ un culto antico di migliaia d’anni, quasi una forma di animismo che celebra la natura e la presenza della divinità in tutte le forme viventi collegate ad essa.

Viene considerata di sesso femminile anche se non è possibile vederla.

Amaterasu (Luce dei Cieli) Omikami: Omi=Suprema, kami=divinità, è una dea solare, è espressione di luce. E’ simboleggiata e rappresentata da uno specchio poiché è così luminosa e brillante da non poter essere guardata a occhio nudo.

Amaterasu  inventa l’arte della tessitura e vive in un’enorme sala colma di telai dove tesse le stoffe meravigliose che servono da modello per i kimono (secondo la tradizione i colori delle stoffe sono fonte di vita). Un giorno, il suo distruttivo fratello Susanowo invade la sala della tessitura e la devasta scatenando una tempesta.

Addolorata la Dea si rinchiude in una caverna e ci rimane per giorni facendo piombare il mondo nell’oscurità. Gli uomini e anche gli dei cominciano a soffrire per il buio e il freddo ma Amaterasu non ne vuol sapere di uscire dalla caverna. Così, dopo parecchi tentativi inutili, viene posto uno specchio davanti all’ingresso della caverna e vengono eseguite danze erotiche e divertenti pantomime per farle credere che ci sia un’altra dea al suo posto. Quando Amaterasu si sporge dalla caverna per vedere cosa succede lo specchio riflette la sua immagine e lei esce. Così grazie all’erotismo e al riso la Dea esce dalla caverna e il mondo è di nuovo illuminato. La data in cui viene festeggiata l’uscita di Amaterasu dalla caverna è il 21 dicembre, solstizio d’inverno, con chiari riferimenti astronomici.

la caverna (vulva grotta) è simbolo complementare, vale a dire che funge da ponte tra due realtà, due dimensioni; così pure la montagna. Sia la caverna che la montagna sono centri spirituali e vanno considerati uniti: la caverna si trova dentro la montagna.

Ci fu un tempo in cui la verità era la via: quando gli abitanti della terra erano Dei. Via via che l’umanità perse coscienza di sé la verità si ritirò nell’oscurità della caverna, al centro della montagna (questo è uno dei significati del mito di Amaterasu) e il mondo di fuori divenne quello interno: tutto si capovolse, ciò che prima era manifesto divenne celato e ciò che prima era superno divenne infero.

Amaterasu entra ed esce dalla caverna e dopo la sua terza nascita crea il Giappone.

la via che viene percorsa durante le tre rinascite iniziatiche è una via che collega l’Alto al Basso e che qui si identifica con l’Asse del Mondo. L’asse verticale è tripartito: sole-montagna-caverna

Amaterasu non è visibile, perché è la rappresentazione del Sole Nero, il centro galattico dell’universo che è Madre. Per poter essere vista dalla sua discendenza imperiale, Amaterasu consegna al capostipite uno specchio attraverso il quale poterla ammirare. Lo specchio è custodito e protetto rigorosamente nel Naiku di Ise-shi, inaccessibile a chiunque tranne alla famiglia imperiale.

10.000  a.C. una affascinante civiltà si sviluppò nell’Honshu centrale: Gli Jomon vivevano in piccole comunità e veneravano la natura. Fu in quest’era che Amaterasu-Luce dei Cieli inviò uno dei suoi discendenti nell’isola per unificarne le genti e stabilire l’ordine. Il pronipote di questo discendente fu Jinmu, il primo leggendario imperatore del Giappone nel 660 a.C.

Nei secoli II e I a.C. il Giappone fiorì come una federazione di numerose comunità molte delle quali governate da donne che detenevano un solido e indiscusso potere. Il buddismo fu introdotto solo nel 300 d.C., fino a quel momento solo “la via degli dei” shin-to era riconosciuta dal popolo.

Lo shinto come religione di stato fu ufficializzato solo nel 1868, con l’elezione dell’imperatore Meiji che, dopo centinaia d’anni in cui la vita politica ed economica del paese veniva gestita dalla casta guerriera degli shogun, riportava il potere nelle mani della famiglia imperiale. Per consolidare la sua recuperata posizione centrale egli proclamò religione ufficiale di stato lo shinto, che decretava la discendenza divina della famiglia imperiale.

Porte Torii: acqua ponte dolmen

Rito Onsen acqua

Laghetti e corsi d’acqua artificiale nei giardini zen: contemplazione rito del tè

 

TRADIZIONE SHARDANA – SHARDIN

I  Pelasgi comprendevano Sardi, Baschi e Etruschi.

Il termine Shardin, “coloro che si orientano con forza e perfezione nel caos”.

Nella terra degli Shardana (2000 a.C.), il mondo parallelo, il “mondo delle fate” o “mondo di mezzo” è fortemente presente in tutto il territorio grazie alla armoniosa convivenza di siti sacri di tipo “celtico” – ossia allées couvertes, cairn e dolmen – con manifestazioni architettoniche tipicamente sarde della cultura nuragica, quali il nuraghe, il pozzo sacro, le domus de janas e le cosiddette “tombe dei giganti”

 

La terra di Mezzo il Sid

Per i Celti era il Sidh (che significa Pace), la terra delle fate, l’Altromondo, che esiste contestualmente al nostro in una dimensione parallela. Il popolo fatato degli irlandesi è il Tuatha na Sidhe. Le fate – janas – della tradizione sarda fanno parte di questa stessa categoria. Erano entità immortali e vergini nel senso che non avevano bisogno del seme maschile per procreare.

Questa dimensione si incontra con la nostra in particolari momenti dell’anno in particolari luoghi segnalati da acqua, colle, tumulo, cava o pianta.

 

Domus de Janas

Il vocabolo jana è comune in tutta l’area del Mediterraneo. Nei Paesi Baschi c’è la dea Jaune, per gli etruschi era Uni e per i romani Giana la dea dei passaggi e Diana, la Dana celtica la Grande Dea Madre

Le janas sono fate di terra e le loro dimore naturali sono le caverne. Sono TESSITRICI: TESSONO splendide stoffe su telai d’oro e nelle notti di plenilunio le stendono sui prati.

La parola “Domus” è latina e significa casa. Domus de janas significa quindi CASA DELLA FATA.

Le domus de janas, NATURALMENTE, SONO porte interdimensionali QUASI SEMPRE LOCALIZZATE NEI PRESSI DI FONTI O CORSI D’ACQUA. Così pure i nuraghi e le tombe dei giganti. Nelle domus de janas, canaletti scavati per contenere e muovere l’acqua.

Le domus più lavorate, con petroglifi a forma di barca, sculture simboliche nel pavimento cerchio con tre mandorle che ricordava la pianta del mastio centrale nuragico – ma anche la triskell- e spirali. All’interno di una domus colonne vere ricavate dalla roccia e una falsa porta con colonne scolpita nella parete e con copertura a barca sul modello della porta torii giapponese.

in crescendo la dimensione delle stanze.

Gli ingressi angusti e stretti delle domus e anche delle tombe dei giganti devono riprodurre le difficoltà del passaggio attraverso il canale del parto sino all’orifizio vulvare… passare attraverso l’apertura di una pietra comporta la stessa difficoltà della nascita.

I cadaveri sepolti sono stati trovati con una statuetta della Dea in mano, significante la rigenerazione nel ventre della Madre.

 

Menhir

Anche in Sardegna che non ha nulla a che vedere coi Celti, riprova che – come i dolmen in corea (60.000 dolmen) – il megalitismo è precedente alla cultura celtica. menhir in bretone significa pietra lunga. In sardegna “perdas longas” fino a 6 metri. Erano terapeutiche: si attivavano con l’acqua o si strofinavano con olio consacrato per creare lo spazio sacro (giappone, cambogia). I menhir piccoli in sardegna si chiamano betili. Per i Shardana era l’abitazione della divinità.

Nur Hag – nuraghe SEME/dna/cellula

Pozzi Sacri – Vulva

Tombe dei giganti – Utero

 

Nuraghi

Il cerchio di pietre è la prima forma di luogo sacro costruito dall’uomo: vi si tenevano riti di rigenerazione che si concludevano con danze circolari.

Il nuraghe è sicuramente un luogo rituale. Le torri circolari furono utilizzate con finalità non ordinarie. La parola nuraghe viene dal mesopotamico nur-hag ossia la grande casa del fuoco o del sole: nur significa luce.

Le conoscenze degli sciamani del paleolitico abitanti nella terra di Shardin comprendevano il moto degli astri e la cosmogonia. Tra i petroglifi trovati si riconoscono agevolmente le costellazioni di Cassiopea e dell’Orsa Maggiore.

Nel nuraghe “capanna delle riunioni”. Al centro c’era un piccolo cerchio di pietre che intesi utilizzate per il rito di fuoco e acqua forse simile alla capanna sudatoria dei nativi americani. Nel pozzo del nuraghe sono state rinvenute tazze per bevande rituali.

nuraghe è Mandala tridimensionale formato dai camminamenti interni, tra doppi muri di pietra, scale elicoidali, torri e coperture a sesto acuto, oltre a un pozzo non accessibile dai camminamenti ma solamente da un lato e dall’altro di due cunicoli realizzati nel muro e percorribili soltanto stando accucciati. Nei nuraghi più complessi la scala forma addirittura una spirale che compie un giro e mezzo per arrivare in cima.

 

La pianta è una croce a bracci uguali su cui si innesta una base circolare creando tre nicchie opposte una all’altra oltre all’apertura di accesso, i più complessi si snodano anche su livelli superiori in un incredibile gioco speculare di torri e camminamenti che si corrispondono a destra e a sinistra della torre principale.

Le nicchie sono state create a perpendicolo una sull’altra, raggiungibili ad ogni giro di spirale salendo verso la sommità del nuraghe. aperture era stata realizzata via via che si saliva con la costruzione, posizionando le pietre in modo da lasciare gli spazi vuoti appositamente per formare le nicchie e le torri.

Monolobati  tri, quadri o penta lobati: avevano funzioni diverse.

trilobati, con tre torri più il mastio che sorgono su una base triangolare alta diversi metri e digradante verso l’alto. La forma del nuraghe trilobato è quella di una piramide tronca a base triangolare con angoli smussati (foto sardegna 070).

“L’epopea di Gilgamèsh”: il racconto delle gesta del mitico eroe-dio accadico alla ricerca della memoria dell’immortalità, tradotto da Mario Pincherle. Si racconta che Utnapishtim-Noè ricevette l’ordine di costruire l’arca e di introdurvi:

 

… il Seme della Vita,

il “TRILOBATO”,

che ha UNA PARTE OSCURA,

UN’ALTRA LUMINOSA

ED UNA TERZA PARTE

CHE LE UNISCE, AMOROSA.

 

Pozzi Sacri VULVA

La forma è sempre chiaramente quella di una vulva-triangolo. La discesa all’acqua sorgiva in fondo al pozzo è sempre un triplice scalone triangolare che parte largo e via via si restringe arrivando all’acqua. Tale scalone è ricoperto da un soffitto che è a sua volta uno scalone in posizione speculare. Quindi l’impressione è di scendere tra due scale tanto che si perde la nozione di dove è il sotto e dov’è il sopra. Lo scalone-soffitto riflettendosi nell’acqua aumenta ancor di più questo gioco di specchi: i tre scaloni, uno nell’aria uno nella terra e uno riflesso nell’acqua, si incontrano in fondo, nella punta, creando una sorta di piramide a tre facce con la punta verso il basso.

I pozzi sacri sono luoghi di incontro interdimensionale: c’è acqua e ci sono “le fate”.

Lo spazio sacro veniva protetto con una cerchio magico, così nessuno poteva disturbare il cerimoniale che ogni 18 anni e 6 mesi la sacerdotessa officiava nel fondo del pozzo, quando la luna piena si rifletteva, a mezzanotte, sulla superficie dell’acqua, nei mesi da dicembre a febbraio.

Il pozzo sacro di acqua sorgiva, era sempre collegato a un nuraghe (fuoco), era la parte dedicata ai riti con l’acqua.

La forma del patio nel quale si inserisce il pozzo sacro è proprio quello di una serratura; tale forma evoca poi l’archetipo femminile, l’utero (disegnare). La profondità del pozzo rispetto al livello della strada costringe gli officianti ad “entrare” nel corpo della dea e la gradinata  rappresenta l’ingresso in una nuova dimensione.

 

Tombe dei giganti UTERO

Le cosiddette “tombe dei giganti” che presentano una allée couverte anticipata da un’esedra di lastre monolitiche le quali innestano una forma di mezzaluna che rappresenta le ovaie su un grande utero di pietra e megaliti costituito dall’allée (cfr mio disegno allée + menhir).

La forma dell’utero è chiarissima. gli anziani si vanno a sedere sui sassi per guarigioni e mettono, per energizzarla, bottiglie d’acqua sotto al masso che funge da architrave all’entrata.

Rito dell’”incubazione (incubo): Le fonti antiche che parlano dell’incubazione non citano affatto alcun tipo di sepoltura… in ogni modo lo spazio era sicuramente consacrato da rituale che prevedeva un periodo di preparazione con digiuno e preghiera, preludio necessario al tempo d’estasi che si manifestava con uno stato di sonno e di trance.

L’apertura è piccola per estrarre chiunque se non trascinandolo dalle braccia. Quindi estrazione dall’utero: nascita.

Tutte le tombe dei giganti e i nuraghi sono orientati a sud-est il punto di levata di Aldebaran della costellazione del Toro nei periodi solstiziali. Quindi il “dio Toro” che veniva venerato insieme alla Grande Madre non ha nulla a che vedere col bovino ma è importante per le sue perfette corna a forma di… quarto di luna.

Corna – ovaie, muso – utero.

 

TRADIZIONE BASCA EUSKADI

La dea Mari, il personaggio chiave della mitologia basca. Mari è collegata alla terra, agli abissi e a tutte le cavità e precipizi. Mari è la natura-Dio, è colei che distribuisce il cibo e protegge le acque. Vive nelle grotte: la grotta è casa, tempio e sepoltura per il popolo basco. Dalle caverne Mari sale alla superficie della terra per visitarla (amaterasu). Lo sposo di Mari è il serpente Maju ma non è paredro.

Per Mari lavorano i Sorginak, maghi e maghe della terra che costruiscono dolmen. Il sorgin è un essere soprannaturale che vive nelle caverne.

Laminak, geni femminili dell’acqua e dell’oscurità, aiutano gli uomini nel costruire. 

Eguzki, sono divinità legate al simbolo solare. Sono giunte in Euskara dall’Asia affiancandosi all’originaria dea unica Mari che è una dea di terra (Morrigan sovranità).

Vi è poi una leggenda comune a tutte le tradizioni antiche della Terra: quella dei giganti, i Basa Jaun (JANAS?), che apparvero per impartire le loro conoscenze tecnologiche agli uomini e poi sparirono sulle montagne (EEPE).

I Baschi vengono fortemente collegati ai petroglifi delle grotte di Lascaux (Dordogne), Sare (Pays Basques) in Francia, e di Altamira e Puente Viesgo (Cantabria) in Spagna, con tutto il loro equipaggiamento di misteri esoterici e astronomici. Questo significa che esistevano in epoca “preistorica”. La loro cultura ha come asse portante la Terra. La tradizione è ricchissima di storie che riguardano esseri i quali vivono dentro la terra. Hendaye ingresso in terra cava

il ruolo femminile era centrale. La signora della casa, etxekandere, officiava i riti domestici, quelli dei morti e ammaestrava la gente. I “morti” venivano considerati ancora in collegamento con i loro familiari da un’altra dimensione COME FENG SHUI.

 

TRADIZIONE  RAPA NUI

Gli antichi credevano che l’Universo fosse stato chiuso in un Uovo dall’eternità e Dio, chiamato in Rapa Nui MakeMake stava fuori dall’uovo, nello spazio infinito. Dio volle illuminare l’oscurità nella quale tutto era immerso. Per fare questo pronunciava le parole “Io sono colui che sono” che lo fecero piangere e giuntando tutte le sue lacrime fosforescenti si creò nello spazio infinito una massa luminescente che si chiamò PaoA (Rompere). MakeMake a quel punto ordinò a questa massa di girare su se stessa e schiantarsi sull’Uovo rompendolo.

– Da lì uscirono milioni di sistemi solari ed ebbe successo il suo progetto di creare la luce. Egli fu tanto contento che pianse di gioia e allegria e le sue lacrime bagnarono la terra creando gli oceani. Per questo MakeMake ama la Terra, perché qui si impresse la sua emozione e la sua gioia di quel momento. La sua mente creativa inviò uova di differenti misure da cui nacquero pesci e uccelli. E nel continente chiamato Hiva inviò quattordici uova che rappresentassero la sua gloria. Ma da queste non nasceva nulla. Il continente era tanto selvaggio che i raggi solari non penetravano. Così MakeMake andò a vedere.

– Evocò PaoA, la luce che era parte di Lui. Poi prese una zucca, la ruppe e la riempì d’acqua. Quindi guardò dentro e per la prima volta poté ammirare il suo volto. Disse <Chi è questo bel giovane che mi assomiglia?> e si fermò con gli occhi chiusi e le mani incrociate sul cuore. E qui ebbe l’idea di creare l’Essere Umano. Prese della terra rossa e vi avvolse le uova. Poi ne sistemò sette da un lato e sette dall’altro e si pose nel mezzo. Con un soffio ruppe il primo uovo e ne uscì un maschio, poi nell’altra fila ne ruppe uno e uscì una femmina. E così via, maschio e femmina, maschio e femmina, per sette volte. Così nacquero le prime sette coppie che popolarono questo continente chiamato Hiva.

A loro MakeMake consegnò molti Tapu: cose sacre. Finché furono rispettati i Tapu e gli Esseri Umani vissero nel rispetto di tutto ciò che li circondava, la vita sulla Terra fu meravigliosa. Essi celebravano cerimonie per qualunque evento e non staccavano neanche una foglia da un ramo senza ringraziare e celebrare un rito.

– Ma quando sull’Isola arrivò la “religione” le cose cambiarono perché si perse il significato del Tapu, che rappresenta tutto ciò che è più sacro.

 

nell’isola siti di osservazione della levata delle Pleiadi per dare inizio alla cerimonia dell’Uomo Uccello.

Il dio MakeMake, creatore della civiltà Rapa Nui e capo del pantheon, sovrintende la cerimonia dell’uomo uccello e attraversa a suo piacimento le dimensioni. Narra la leggenda che attraverso una sacerdotessa inviò gli uccelli alla gente perché potesse avere un simbolo di riferimento nel collegarsi a Lui e alla dimensione nella quale viveva. Gli uccelli quindi, con le loro ali a forma di mezzaluna, sono il ponte interdimensionale da cui ha avuto origine la cerimonia. L’uomo uccello poteva gestire il Mana perché era collegato con MakeMake e, attraverso il Mana, si agganciava al Tapu, la più sacra dimensione dell’energia.

la leggenda dell’uomo-uccello narra che una volta l’anno i più robusti e coraggiosi ragazzi di ogni clan si sfidavano in una gara spesso mortale in cui dovevano calarsi dallo strapiombo di fronte Orongo, nuotare fino all’isolotto Motu Iti che si erge come un dente di squalo nell’oceano di fronte a Orongo, sfidando l’assalto degli squali stessi attratti dall’odore del sangue che usciva dalle numerose ferite su mani e piedi. Poi dovevano arrampicarsi sugli scogli dell’isolotto fino a impossessarsi del primo uovo deposto dall’uccello Makohe simbolo di makemake. Quindi dovevano fissarselo in testa e ripartire per tornare a Orongo. Il primo che arrivava con l’uovo intatto era dichiarato Tangata Manu – uomo uccello- e per un anno intero era considerato sacro, con doveri e privilegi particolari (doveva vivere in isolamento senza radersi o lavarsi e poteva mangiare solo ciò che gli veniva preparato da un sacerdote preposto al suo servizio). In cambio di questa sacralizzazione egli deteneva per un anno la gestione del Mana ed era l’uomo più potente dell’isola Egli garantiva prosperità all’isola.

Con Mana si intendeva l’energia magica presente nell’universo, della quale tutto era composto. E’ interessante notare che lo stesso nome per lo stesso concetto – Mana – veniva usato anche dai Vichinghi della Scandinavia medievale.

Il Mana è l’energia cosmica che solo i sacerdoti potevano maneggiare, orientato alla nascita e alla fertilità ed emana dagli occhi dei Moai. Per questo le cavità orbitali venivano scolpite quando il Moai era già eretto sull’Ahu e non prima: per evitare dispersione di Mana. i Moai giungevano sull’Ahu trasportati dal Mana.

Mana è l’energia primordiale attiva gestita dagli uomini che diventavano Tangata Manu. E’ l’energia che consente la connessione col Tapu.

TAPU, ovvero la controparte del Mana, il suo negativo… il buco che rimane quando si estrae il Mana dall’Universo è Tapu ed è ugualmente sacro. Tapu è ciò che sta intorno al Mana e che lo compensa. E’ la parte più sacra, magica e intoccabile. Si riteneva che la vulva femminile potesse assorbire e azzerare il Tapu: nella vulva non c’è ancora distinzione né manifestazione della forma: stadio prenatale.

le due energie sono complementari e si potevano assimilare ai concetti di particelle e antiparticelle che si annichilano a vicenda. Poiché il Tapu stava intorno al Mana è evidente, come in fisica, che le due energie unite si annichilavano azzerandosi.

Quindi il Mana si installa sul Tapu ed è la loro congiuzione che crea il luogo sacro (feng shui):

non a caso il lastricato Tapu è formato da gruppi di tre pietre disposte a triangolo

Il culto dell’uomo uccello fu posteriore a quello dei Moai.

 

Moai

un gruppo di 7 giganti venne dal mare sull’isola portando la conoscenza del taglio delle pietre che insegnò agli indigeni. Sono i 7 saggi dell’Ahu Akivi. venivano chiamati Hanau Eepe ovvero “quelli robusti”, per distinguerli dagli altri che erano Hanau Momoko ovvero “quelli esili”. Gli Eepe insegnarono ai Momoko non solo il taglio dei Moai ma anche degli enormi megaliti che dovevano essere assemblati per creare l’Ahu su cui sostenerli. Ma a un certo punto i Momoko si ribellarono ai loro maestri e si dice che questi ultimi scomparvero dall’isola. Così i Momoko cominciarono a tagliare Moai sempre più piccoli e grezzi. La magia e la raffinatezza degli insegnamenti degli Eepe era perduta e le statue di pietra divennero sempre più primitive fino a cessare del tutto: nel cratere rano raraku ci sono ancora moai a metà.

MO’AI significa in realtà “ATTO SESSUALE”: è un incontro di energia maschile con energia femminile.

in tutta l’isola vi sono migliaia di petroglifi che rappresentano la vulva.

la casa barca hare paenga aveva questa doppia funzione di vascello e ponte interdimensionale.

Ci sono molti petroglifi Rapa Nui che riproducono la forma di una canoa o di un ponte o di una mezzaluna tanto che ancora oggi ci si chiede perché i Rapa Nui si siano dati tanto da fare a scolpire canoe sulle rocce. Ce n’è una che misura quasi due metri.

 

sulla spiaggia, attendeva silenziosa da chissà quanto tempo, per niente recintata o sorvegliata, la pietra… te pito te kura: l’ombelico. Era una enorme sfera di pietra grande quanto un tavolo più o meno. il grosso masso sferico, pur essendo fatto della stessa pietra di tutte le altre intorno, aveva una caratteristica particolare: era rovente sopra (molto più caldo delle pietre circostanti) e freddo sotto. Mi venne in mente di sdraiarmi sopra la pietra con il plesso solare esattamente sulla sommità, lasciando penzolare braccia e gambe all’esterno, come una tartaruga sopra il suo stesso guscio anziché dentro.

Ogni sezione può essere approfondita leggendo la serie dei viaggi nei rispettivi luoghi: Irlanda, Sardegna, Rapa Nui, Giappone, Pirenei…

CC Devana 2016

XX: simbolo apocalittico e cromosoma femminile

La croce ciclica di Hendaye

Nel centro della cittadina di Hendaye si trova la cosiddetta croce ciclica costruita nel ‘700 da un gruppo di “sconosciuti” che, si pensa, vivano tutt’ora nei Pirenei. Geograficamente i Paesi Baschi sono situati a ridosso della catena dei Pirenei. Nella croce superiore vi è una doppia XX ma con le due X poste in verticale una sopra l’altra. Questo simbolo è stato collegato da Fulcanelli all’arcano numero XX dei tarocchi detto il Giudizio. Del XX Fulcanelli scrisse che è anche il numero del sale ammoniaco dei saggi o sale d’Ammone, che realizza l’armonia, la ri-unione (più avanti collegherò questo concetto con la doppia XX cromosoma identificativo femminile).

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Megalitos en Portugal: círculo de piedras círculo de mujeres – Devana

El Alentejo es una región rica en áreas ceremoniales megalíticas, particularmente en el área de Évora. Empiezo la exploración desde Castelo de Vide, no lejos de la frontera española de la Sierra de Gredos. Me encuentro con el menhir de Meada,  7 metros de largo: el más alto de la Península Ibérica. Saludo a la gran piedra y ofrezco humo sagrado de lavanda. Al día siguiente continuamos en dirección hacia Évora en busca del crómlech dos Almendres y su menhir  de mismo nombre que se encuentra 2 kilómetros antes. El gran círculo de piedra es el más grande de la Península Ibérica y uno de los más grandes y articulados de Europa. Las construcciones megalíticas, bien  sean círculos de piedra,  menhires o dólmenes, datan del Neolítico, la misma época de la gran civilización matrifocal que vivió en paz en la antigua Europa, según la enseñanza y pruebas de la arqueóloga Marija Gimbutas.

El complejo megalítico dos Almendres está compuesto por el menhir introductor de 5 metros de altura y del gran crómlech que consta de cien rocas. Al entrar al círculo llega la gran comprensión. ¿Por qué el círculo es de piedras? Y hay más. Si es cierto que estos enormes templos de piedra datan de la cultura matrifocal neolítica, ¿quién nos dice que no fueron creados por mujeres? ¿Usando anti gravedad? ¿Por qué siempre asumimos que fueron hechos por hombres por la fuerza de los brazos? No tenemos ninguna prueba “documental” de cómo y por qué fueron creados. Entonces cualquier explicación es válida y cuestionable. Sigue leiendo….

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Serie “In viaggio con Devana: COMPOSTELA” La via pagana verso l’immortalità

Il cammino segreto di Santiago, la via pagana dei morti – di Rafael Lema (Edaf ed. 2007) – traduzione di Devana

Reperti archeologici di Rafael Lema

In pieno secolo XXI solo un esercizio di interessato cinismo e una buona dose di incultura cosciente fa sì che si continui a parlare di “tomba dell’apostolo”.
La città di Santiago de Compostela e il suo cammino hanno forza indipendentemente dalla menzogna che li ha resi celebri.
La grotta della supposta tomba è uno degli ombelichi del mondo, un punto magico tellurico di primo livello, un bosco sacro celta, un sito rituale centinaia di anni anteriore alla fabbricazione, in uno scriptorium benedettino, del mito jacobeo. Nello stesso modo il Cammino è una via millenaria arricchita e amplificata dal cristianesimo che riconvertì vecchi pellegrinaggi.
Arrivando a Santiago de Compostela, il pellegrino decideva di prolungare il suo viaggio fino alla Costa da Morte, la frangia costiera dell’attuale provincia di A Coruña al sud della capitale gallega. Terra, fino al 1836, dell’antica provincia compostelana. E’ la via che ufficialmente si denomina CAMINO DE FISTERRA-MUXIA.
La Costa da Morte era per gli antichi l’ultimo tratto di terra conosciuta, finale di un itinerario segnato in cielo dalla Via Lattea e dall’essere il luogo dove si collocava il Sole. La visione del mitico Capo di Fisterra e del santuario ancestrale del culto alle pietre di Muxia era la pietra miliare di questo pellegrinaggio, una corrente segnata da una trascendenza simbolica astrale molto antica ma dal Medio Evo collegata alla tradizione jacobea.
La meta finale del vero Cammino è il Capo Fisterra e il Santuario della Barca en Muxia, rispettivamente a 89 e 87 chilometri da Compostela. Il cammino inizia dalla stessa cattedrale compostelana, dalla ora “scomparsa” porta del Pellegrino, uscendo dalla città verso Augapesada-Ames.
Dopo aver ritualmente bruciato gli indumenti del pellegrinaggio nel braciere del promontorio fisterrano un cammino costiero di 31 chilometri si dirige a Duio e da lì a Muxia dove ci sorprende il Santuario di Nostra Signora della Barca, fronte mare e al lato di un sito rituale galaico-celta (i Galati erano una popolazione celtica stanziata sulle rive del Mar Nero in Cappadocia e da lì migrati in Galizia cui diedero il nome, n.d.t.) e forse anche anteriore, con la pietra di Abalar, un enorme monolito, come emblema.
E’ il cammino postjacobeo di Fisterra-Muxia, la parte più occidentale della provincia di A Coruña, un tempo Trastamara, oggi conosciuta come la Costa da Morte ma anticamente denominata Nemancos, nome celtico che significa “il paese dei boschi sacri”, successivamente dominata, al tempo della creazione del mito jacobeo, dalla nobile famiglia dei conti Traba, protettori di benedettini e Templari.
I punti cruciali del tratto finale del Cammino erano e sono Fisterra e Muxia, il cui punto di unione al centro è il monastero benedettino di Moraime (allineato col Monte La Rhune nei Paesi Baschi francesi appena sotto Hendaye: il punto di partenza reale potrebbe essere quello, n.d.t.).
I pellegrini che arrivavano a Santiago de Compostela proseguivano il cammino fino al mare dal quale inizialmente prendevano il simbolo del cammino stesso: la conchiglia.
Cominciamo il cammino della vera conoscenza uscendo da Compostela e dirigendoci verso Padron: dalla cattedrale alla chiesa di Santiago in Padron ci sono 20 chilometri di strada. Padron e Noia in età medievale furono protette dai cavalieri Templari… Muxia e Fisterra possono essere i due pilastri dell’opera (di trasmutazione alchemica che inizia nelle cellule durante il pellegrinaggio, n.d.t.), le due colonne massoniche Jakim e Boaz, Muxia patria del vento e Fisterra fine del cammino delle stelle, denti della Via Lattea.
Sotto il cielo di Padron traccio il mio itinerario sulla mappa: dalla cattedrale sono arrivato a Noia e da qui a Muros dove ho lasciato l’auto e inforcato la bicicletta in cerca di questa Venere preistorica, che si prolungò in Iside e nella Vergine Nera. Voglio iniziare la mia opera il giorno di San Giovanni, il 24 giugno, il fuoco di metà anno, e terminarlo al San Giovanni del 24 dicembre, l’altra data a cui rimanda il fuoco all’inizio dell’anno: le due date che riempiono di luce il timpano del monastero benedettino di Moraime (punto centrale tra Muxia e Fisterra).

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Tra i seguaci di Gesù c’era l’apostolo Giacomo (Santiago in spagnolo, n.d.t.) detto il Maggiore, pescatore, figlio di Zebedeo e di Salomé e fratello di Giovanni Evangelista.
Le cronache che parlano della scoperta del sepolcro sono centinaia di anni posteriori ai fatti che narrano e non ci sono testimoni contemporanei. Le circostanze della supposta scoperta del sepolcro di Santiago non appaiono che nel 1077 però già nel X secolo lo scrittore arabo Algacel de Jaen parlava dell’importanza della via di pellegrinaggio a Santiago… il cammino per il riconoscimento di Santiago come evangelizzatore e protettore della Spagna è pieno di confusione e punti oscuri.
Senza dubbio prima del secolo VII nessuno aveva mai parlato della predicazione di Santiago in Spagna… sono molti gli autori che, criticando la improbabile veridicità della predicazione dell’apostolo in Spagna e del ritrovamento del suo corpo in un bosco gallego, non dubitano che la forza del mito abbia basi millenarie molto più profonde.
Non ci fu predicazione né c’è alcun corpo nella presunta tomba: questo ha più dell’aspetto falsario e lucrativo del commercio delle reliquie nel medio evo. Questa fu la vera traslazione: segnata da un progetto di mutuo sostegno tra la chiesa cattolica galaica e il potere reale asturiano (la parte più cattolica della Spagna, le Asturie confinano con la Galizia, n.d.t.) da Oviedo, la capitale politica asturiana, ad un reliquiario pagano romano in un bosco sacro celta.
Il viaggio vero era al Finisterre, seguendo la Via Lattea, questo cammino delle stelle disegnato dalla mano di Dio in cielo, la discesa del sole nel mare all’estremo del mondo conosciuto: il luogo più vicino al paradiso.
All’epoca della nascita del mito jacobeo era normale la confusione tra le vite dei santi di uguale nome.
CI SONO DUE GIACOMO (SANTIAGO) NELLA VITA DI GESU’. Uno, Giacomo il Minore, lo si conosce negli scritti esseni e giudaici come fratello di Gesù, capo della chiesa di Gerusalemme ed erede di Cristo. Primo vescovo di Gerusalemme che indossò una mitra di stile egizio. A questo personaggio gli esseni attribuivano l’eredità della linea di sangue di David dopo la crocifissione di Gesù: è il Maestro di Giustizia esseno… l’uomo che lottò per conservare la vera parola e ortodossia messianica. Questo emerge dalla scoperta dei rotoli del Mar Morto e del Vangelo di Giuda che stanno dando filo da torcere alle molte menzogne di cui è imbastita la storia ufficiale.
Giacomo il Minore era rivale di Paolo-Saul: (negli apocrifi) si parla di Santiago come di uno dei due pilastri – guerriero e sacerdotale – insieme a Gesù. Nel libro segreto di Santiago, secondo gli esseni Giacomo il Minore era la stella dell’alba in un rapporto bipolare con Gesù.
I Giudei Esseni e gli autori dei documenti di Qumran sono membri di una stessa casa: la prima chiesa denominata “il cammino” e Giacomo era il primo tra i seguaci puri di Gesù, non ellenizzati come Paolo.
I nazirei primi seguaci di Cristo nascondono i loro scritti sotto l’altare del tempio di Gerusalemme dove verrano trovati dai Templari centinaia di anni dopo, i quali hanno continuato questa tradizione segreta e rituale.
Il successivio incendio dell biblioteca di Alessandria non fu una casualità, però qualcosa si salvò dal progetto di occultamento e distruzione di testi sacri dell’epoca di Gesù.
San Patrizio era ariano e non credeva alla nascita di Gesù da una vergine né alla sua natura immortale e divina. Cominciò il suo lavoro di predicazione tra i Celti irlandesi e britanni intorno al 432. Dopo le invasioni barbare nacque, attingendo da questa antica tradizione, la chiesa cristiana celta in Irlanda, Scozia e Nord Inghilterra. Da lì si espansero fino ad arrivare alle coste galleghe dove ancora oggi rimangono testimonianze storiche della loro presenza.
La chiesa celta irlandese era giacobita non paolina e fino al 664, col sinodo di Whithby, non entra nella circoscrizione di Roma: non credeva alla nascita virginale e alla divinità di Gesù. Questa, considerata da Roma un’eresia, aveva radici profonde in Galizia o nell’Europa della tradizione di Giacomo il Giusto, come la linea catara. Giacomo il Minore detto il Giusto era considerato uno dei due pilastri della nuova fede (vedi le due colonne Hendaye-Abbadia cripta, nel mio libro “La Quinta Dimensione”, n.d.t.).
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il pellegrinaggio per il cammino delle stelle è l’arcobaleno celtico del dio Lug ora convertito nel Cammino di Santiago a seguito della sparizione delle antiche divinità. E’ la via che porta a una regione mitica quale il paradiso terreno: il cammino dell’ovest al Mare dei Morti delle antiche leggende celtiche delle origini.
In tempi preistorici esistettero, attivi ai tempi dei Celti Galli, quattro differenti cammini di pellegrinaggio tra i popoli di occidente. Erano strade anteriori al celtismo, tradizioni conservate fino alle lotte romane contro il druidismo e alla cristianizzazione ufficiale dell’impero. Una di queste era la via “alla fine del Sole”, al Finisterre. Il cabo Fisterra era chiamato Promontorium Celticum ed era per i Celti un luogo di pellegrinaggio.
Persino il primo pellegrino biblico, Abramo, dalla sua terra sumera di origine partì per la via del Sole verso un occidente bagnato dal mare intorno al 1.800 a.C. E dalla stessa area di origine giunsero anche i Celti dopo aver attraversato l’Europa, stabilendosi nei suoi vari Finisterre.
Gli abitanti della attuale costa coruñese conservano affiliazioni con popoli di tradizione celta. I Celti Galli giunsero in Galizia intorno al secolo VII a.C. ma prima ancora una migrazione dall’Asia, 30.000 anni fa, popolò l’Europa fino al Ponente estremo.
Nella tradizione misterica (poi divenuta massonica, n.d.t.) Santiago era assimilato al maestro Jakim e la apparizione della Vergine nella barca a Muxia servì a rendere compatibile con il cristianesimo il maggior santuario pagano di pietre magiche di Galizia, a Muxia appunto.
Nei riti segreti di iniziazione delle corporazioni medievali e nelle cerimonie Templari si citava l’esistenza di uomini investiti in modo soprannaturale, maestri di opere discendenti da un santo fondatore a sua volta incaricato dai grandi maestri sconosciuti che giunsero alle coste in tempi immemorabili, creature a metà tra gli dei e gli uomini:

dove finisce la terra, dove finisce il cammino, davanti alle acque oscure dello sconosciuto e lontano “Più in là”, lì stanno le impronte degli Antichi Padri.

Ci sono autori che affermano che il Camino de Santiago è il percorso dell’Oca, la via spiraliforme del famoso gioco creato dalle confraternite dei “fratelli costruttori”, cammino che sbocca nel paradiso occidentale degli Indoeuropei, Celti, Svevi, Romani e popoli del Mediterraneo culla della nostra cultura. Un viaggio di creazione a spirale come spirale è la via Lattea riflessa nel cielo, il cammino stellare che porta al “Più in là”, all’Occidente. Quella spirale scolpita in molti templi del cammino ma anche nei petroglifi galleghi e bretoni. E’ la ricerca del centro simbolico del potere partendo dal sole. La vittoria sopra lo spazio-tempo che percorre il cammino delle stelle. Castore e Polluce, figli di un cigno e di un’oca, iniziano il cammino verso il paradiso centrale situato alla fine della terra, al Finisterre.
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Il cammino al Finisterre parte da Compostela e attraversa Ames, Negreira, Santa Comba, Mazaricos, Dumbria, Cee, Corcubiòn, Finisterre e Muxia. E’chiaro che in Compostela non c’è mare e che la conchiglia è un simbolo marino. La nostra via inizia a Padròn e poi si dirige a Noia. Da Padròn a Noia ci sono 30 chilometri. Lungo la costa avvisteremo il promontorio della fine del mondo. Qui si dice che giunse la barca dell’apostolo.
Noia fu punto di sbarco per il pellegrini che giungevano via mare. Padròn fu un luogo templare e per di qui passano due cammini jacobei – il portoghese e il marittimo. Ancora oggi nel cimitero di Padròn vi sono simboli iniziatici pagani. I segni Templari si scorgono sulle pareti della collegiata: croci celtiche, solari e palmate di vario tipo. Vi è inoltre una ruota iniziatica templare che segue il movimento del sole in cielo e il suo cerchio immaginario, spiraliforme, come un labirinto in terra. Le croci originariamente erano 27, numero simbolico e magico che da come somma 9.
Inoltre vi sono croci cerchiate in stile cataro. Nella chiesa di San Martin vi è un diavolo scolpito in una colonna (come a Rennes le Chateau, in terra catara, nella chiesa di S.M.Maddalena è un diavolo che regge l’acquasantiera. n.d.t.).
L’Ultima Cena del monastero di Moraime in Muxia, presenta un apostolo Giovanni come bambino. C’era infatti, per ratificare i legami tra Galizia e Catarismo, una tradizione catara che parlava dell’arrivo nel sud della Francia di Myriam di Magdala con Giovanni. Secondo questa tradizione Myriam non era affatto una prostituta, bensì una donna colta e ricca, non giudea. Giovanni e Myriam, incinta della discendenza di Gesù, erano considerati i veri depositari del messaggio messianico segreto. L’artista di Moraime giunse lì dalla terra catara e lì visse i suoi ultimi giorni. Il Giovanni di Moraime lo chiamano el Neno – il Bimbo… forse il figlio segreto? Il discendente del lignaggio reale di Gesù?
A Noia c’è la chiesa di Santa Maria a Nova, un luogo sacro il cui terreno fu portato da Oriente come il sole e come i pellegrini che vi giungevano. Nella terra di Noia, nell’attuale comune di Fisterra, presero stanza i grandi signori imparentati coi Templari. Ma i primi pellegrini che lasciarono un segno furono di tradizione celtica, su questi si innestò la tradizione ermetica e cabalistica: un trifoglio di quattro foglie attraversato da una croce simbolo delle quattro età e del ciclo solare. Il trifoglio è un simbolo della cultura celtica e dei suoi druidi. Vi sono poi in due circoli diversi due libri aperti con un dito che segnala: simbolo del quadrilatero solstiziale che indica l’alba del sole in estate e l’occaso in inverno. La stessa mappa solare si ripresenta in Muxia, Moraime e Finisterre.
I Templari seguivano una propria via e la mentennero nei secoli: questa via metteva in comunicazipne i tre siti di Noia, Padròn e Fisterra.
Ecco l’itinerario: da Noia costeggiando l’oceano lungo la C550 da Outes a Muros. Sono 15 chilometri fino a O Freixo, altri 6 a Esteiro e altri 15 a Muros. Da lì si prosegue lungo la stessa strada costiera attraverso Carnota fino a Cee lasciando alle spalle il monte Pindo, conosciuto come l’Olimpo dei Celti Galaici. Da Muros sono 11 chilometri fino a Lira, 4 ancora a Carnota, 10 a Caldebarco, 6 a O Pindo e 11 a Cee. Giunti alla moderna città di Cee siamo sulla C552 che unisce Fisterra a A Coruña. Lasciamo Cee, oggi capitale economica della Costa da Morte a ci dirigiamo a Corcubiòn con il suo bell’albergo per i pellegrini. E’ il cammino postjacobeo che parte da Compostela e arriva a Fisterra. Da Cee a Sardiñeiro sono ancora 11 chilometri e altri 9 fino a Fisterra, la cui influenza templare si nota nella pianta della Chiesa della Natività.
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Finisterre è un luogo gemellato con il suo omonimo bretone. Senza dubbio i due siti sono sorprendentemente simili come clima, paesaggio, leggende celtiche, culto delle pietre e dolmen, croci lungo il cammino e soprattutto la conservazione in entrambi i luoghi delle due lingue peculiari (in Bretagna si parla il bretone che non ha nulla a che vedere col francese, n.d.t.).
La chiesa irlandese celtizzò la Galizia in epoca “barbara”.
Lungo la parte finale del cammino verso la Costa da Morte si trova Duio, un tempo Dugium, antica capitale dei Celti Nerii. Finisterre e Muxia erano invece parte dell’arcivescovado di Compostela. Inizialmente si dirigevano lì commercianti e pellegrini inglesi. La chiesa compostelana approfittò di questo movimento nei due comuni sui quali aveva giurisdizione. Vi sono croci Templari scolpite sui muri della chiesa di Finisterre, croci palmate in cerchi con otto raggi. Gli stessi simboli che appaiono in Padròn.
L’ordine templare marcò coi suoi simboli i siti emblematici del Cammino dalla Francia fino a Finisterre e le entrate dal mare in Galizia. Furono i signori di questa terra, i conti di Traba, ad attrarre qui i Templari nel secolo XII. Ed è terra dei Traba la parte finale del Cammino del Sole verso il Paradiso. I templi dove si adoravano vergini scure di antica tradizione, come Finisterre, Noia, Muxia, Moraime, sono ora centro di relazioni fantastiche e di meravigliose apparizioni di “Santa Maria e dei Santi” che non sono molto differenti dai racconti di tradizione celtica di cavalieri e draghi, maghi e streghe. Le vecchie immagini di madonne nere spariscono dalle chiese ma i riti e le leggende permangono.
C’E’ UN AMBIZIOSO PIANO POLITICO ORCHESTRATO DALLA FRANCIA, DALLA CASA DI BORGOGNA DAL PAPA E DALL’ORDINE DI CLUNY PER DOMINARE LA CORONA CASTIGLIANO LEONESA, LA TOMBA DI SANTIAGO COL SUO CAMMINO JACOBEO E PROSEGUIRE COSI’ LA CROCIATA CONTRO GLI ARABI NELLA VECCHIA SPAGNA.
Il cammino segreto al Finisterre fu connesso alla via canonica che partiva dalla Francia, ma inizialmente non era congiunto. C’è un’opera della curia compostelana, il “liber sancti jacobi”, che traccia un’unica via attraverso il cammino francese, pieno di alloggi e di borghi franchi. Ma nella Costa da Morte ci sono ovunque simboli e tracce Templari. Una bolla papale del 1163 permette loro di costruire le loro proprie cappelle e chiese nei loro siti di tradizione ancestrale. Siti speciali per riti di iniziazione alla Madre Terra e ai centri di potere tellurico legati agli antichi culti.
La leggenda jacobea fu letteralmente “fabbricata” dai monaci nel secolo XII.
In realtà il cammino e il territorio sono collegati all’Algarve portoghese, alla Bretagna francese, alle isole Britanniche e all’Irlanda. Vi erano primitivi galaici precelti chiamati Ovestrimni. La parola Galizia viene da Galassia – Galati – Galactos – via Lattea. Al Finisterre giunsero migrazioni preceltiche di popoli che venivano dalla parte orientale della Germania e ancor prima dalle fonti del Dniepr. Vi è una migrazione registrata attraverso il centro dell’attuale Germania e Francia, che proseguì fino all’entrata dei Pirenei e giunse fino al fiume Tago in Portogallo, salendo poi al Finisterre gallego.
Questa via millenaria coincide nel suo inizio con la via francese e nella parte finale col cammino portoghese dal Tago alla Galizia. Ma più antiche sono le migrazioni dal Sol Levante, dall’Est: i costruttori di tumuli. Cosa forzò questi popoli di ascendenza indoeuropea a partire per il Finisterre gallego? Possibilmente la ricerca del Paradiso, il seguire la stella che i maghi caldei veneravano, la stessa che era onorata nelle ziggurat mesopotamiche come la Grande Madre Astartè. E che fu incarnato anche dal dio egizio Horus chiamato la stella dell’alba, simbolo degli Esseni, dei primi Cristiani e dei Mandei.
Partono, come i maghi d’Oriente della stessa razza di Abraham seguendo la via del Sole lungo il tracciato di una stella fino al Mare della Morte. Il Capo Nerio, abitato dai Celti Nerii, fu chiamato il “promontorio celtico” dagli storici latini Pomponio Mela e Plinio. 
Il luogo dove la leggenda dice che fu rinvenuto il corpo dell’apostolo Giacomo è in realtà un luogo magico molto conosciuto fin da tempi antichissimi dalle popolazioni galaiche sia celte che non: un bosco sacro rituale galaico. Compostela e Finisterre non nascono dal nulla e non sono mera invenzione dei monaci, bensì sono trasformazioni di luoghi di potere tellurico conosciuti da sempre. I luoghi di culto e i grandi santuari galleghi sono gli stessi che migliaia di anni prima del cristianesimo erano già lì, ospitando sorgenti di acqua sacra sotto agli altari. Ancora oggi c’è la tradizione e l’opera delle “Meighe”, sciamane e guaritrici che curano i corpi e le anime. Esse continuano ancora oggi la loro opera dopo migliaia di anni.
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Finisterre è il Portico della Gloria della mitologia europea. E’ uno spazio millenario e universale sia fisico che della mente.
I Greci credevano non solo in un paradiso ultraterreno, ma anche in un vero e proprio luogo paradisiaco terreno abitato, più felice di quello che conoscevano. I paradisi dell’antichità si ubicavano a Occidente e furono trovati da iniziati e da interi popoli (i navigatori che trovarono l’isola di Utopia nell’omonimo racconto di Thomas More, partirono dalla costa portoghese diretti a Occidente e così pure i navigatori che trovarono l’isola di Bensalem nella “Nuova Atlantide” di Francis Bacon fecero vela verso Occidente partendo dalle coste peruane rivolti verso il Giappone e la Cina. Al riguardo si veda il mio libro “EkoNomia il futuro senza denaro”, n.d.t.).
I Celti seguirono il corso del sole, come pure il popolo degli Ovestrimni, i primi abitanti della Galizia che accolsero i Celti stessi. Gli Ovestrimni erano scultori di petroglifi. Un altro nome della antica Galizia a quei tempi era Ophiusa, terra di serpenti (sulla tradizione dei serpenti si veda la trilogia dell’immortalità di Devana: “Gra(d)al il segreto della torre”; “La via degli immortali”; “Il ponte tra i mondi”).
La cultura megalitica ci parla di un cammino migratorio che dai Pirenei scendeva al Tago in Portogallo e saliva alla costa occidentale peninsulare. I Galati del Mar Nero eran Celti come gli Artabri della contrada coruñesa. Era una grande federazione celtica quella che arrivò fino a queste terre e affrontò Giulio Cesare. Era un lungo viaggio dal Mar Nero fino al Fisterra gallego. Ma d’altronde sembra che i Celti iberici siano i più antichi d’Europa: tribù partite dal Mar Nero, dalla penisola anatolica, dal Mar di Marmara, una regione dei Celti Galati che in varie ondate inviarono le loro migrazioni all’occaso del Sole iberico. Il paradiso per i popoli celtici – come i Nerii o i Galati – stava “più in là” del sol ponente, più in là della settima onda che ancora oggi si richiama in alcuni riti di fertilità officiati nella notte di San Giovanni.
La barriera acquatica è un passaggio per l’altro mondo in tutte le culture, quella classica, quella celta, quella germanica. Un “altro” mondo, di connotazione positiva, senza nozione di peccato, con abbondanza di cibo e bevande, recipienti magici e musica di uccelli. Era possibile visitare quei mondi e ritornare. Sono considerati luoghi meravigliosi, divisi in regni coi loro sovrani. Luoghi positivi reali e palpabili dove convivono vivi e “morti” nelle terre dei vivi e dei morti. E’ possibile accedere ai luoghi soprannaturali attraverso i resti di un dolmen, di un antico villaggio o di alcune rovine.
In Galizia lo si fa attraversando le “màmoas”, dolmen coperti. In Irlanda si narra di un regno dei morti situato in un’isola, il Tech Duinn. La mitologia celtica cita isole proibite di diverso tipo, lontane isole dove il tempo si ferma. E c’è un’isola del “più in là” che in gallego si chiama “Alèn”. Anche nei villaggi galleghi si crede che vi siano tunnel che portano a miniere d’oro o di zolfo (da cui si entra in altri mondi, n.d.a.).
Nella mitologia germanica si credeva nel Valhalla celeste e in quella scandinava c’era la mitica Asgard, fluttuante nello spazio e unita alla terra da un arcobaleno. Anche Atlantide stava al di là delle colonne d’Ercole, a occidente come descrive Platone nel IV secolo a.C. In un paese mitico e lontano si trovava la fonte dell’eterna giovinezza, la jungbrunnen germanica o la aqua vitae latina. Nella tradizione celtica c’era l’isola del Tir Na Nog e la famosa Avalon, l’isola delle mele. Vi è poi la mitica Thule. I Romani seguirono i Greci nell’ubicare il paradiso a Occidente e sempre c’è la presenza dell’acqua come limite tra i due mondi: vi è il barcaiolo che traghetta di là visitatori e anime. In un affresco di Paestum in Campania, un tempo Magna Grecia, è rappresentato un giovane che si tuffa nell’acqua, allegoria dell’armonioso transito dalla vita alla “morte” (si veda la descrizione dei cenotes sagrados nel mio “La via degli immortali” n.d.t.).
Vicino a Muxia, a Vilarmide, vi sono le Caldeiras di Castro: si tratta di una grande cascata che un tempo era il santuario ancestrale dei Celti Nerii.
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Prima del Medio Evo esisteva la credenza diffusa che il paradiso fosse all’estremo Occidente situato in certe isole mitiche. I labirinti scolpiti nei petroglifi di Carnota, Dumbria, Berdoias, o i sentieri fino agli antichi templi dedicati a Nostra Signora – Moraime, Iria Flavia o Fisterra – andavano verso un centro: il culto della Dea Madre, dispensatrice di prosperità fecondità e raccolti abbondanti.
Anche il mito del corpo trovato smembrato in una barca miracolosa è precedente a Santiago. Prima di lui Set, invidioso del fratello Osiris, lo uccide e deposita il cadavere in una barca che pone nel Nilo. E Hiram di Tiro, costruttore del tempio di Salomone (da cui i Templari), viene ucciso da alcuni invidiosi della sua arte: i suoi compagni rubano il corpo di Hiram e lo portano ad Occidente in una barca magica.
La barca è il mezzo utilizzato dal culto egizio per andare nel “più in là”, come le quattordici navi della tomba di Tutankamon. Anche Osiris dispose che il tempio per la ricerca della vita eterna dei suoi pellegrini fosse ad Abydos, a occidente del Nilo.
Vi sono poi monti della regione legati a culti ancestrali, ora cristianizzati con santuari posti di fronte alla Morte del Sole e all’oceano: sono per sempio la Ermita de la Virgen del Monte a Camariñas o la Punta de a Barca a Muxìa, proprio dove sorge l’attuale santuario mariano. Vari sono i monti chiamati “catasol” (che ci ricordano gli andini “intihuatana”, gli attracchi del sole sulle montagne, n.d.t.), che servivano come torrette di vigilanza sul mare e sul sole, come quelli di Ponte do Porto o Soesto.
Monte mitico, considerato l’Olimpo celta, è il Pindo, che sorveglia la Ria de Corcubion e il Promontorio di Fisterra (anche alle spalle di Hendaye, mitico luogo dei Paesi Baschi francesi legato al cambio di polarità terrestre, vi è un monte che era sacro per la cultura autoctona basca, il monte La Rhune, si veda il mio libro “La Quinta Dimensione” n.d.t.).
Il Pindo è il monte sacro ai Celti Nerii del neolitico. A Muxìa c’è un altro monte sacro, il monte Corpiño, che domina la città e il santuario della Barca. Inoltre il monte San Roque ospita un bosco sacro celta. Sono veramente tanti nella regione i monti sacri pagani oggi sovrastati da una cappella cristiana. Finisterre ha due grandi monti ai suoi lati – O Facho e San Guillermo – pieni di pietre sacre pagane, come As Pedras Santas e A Fonte dos Sete Pichos (in Sardegna, luogo molto affine alla Galizia per energia storia e archeologia, vi è il sito di San Leonardo de Siete Fuentes, nel comune di Santu Lussurgiu, accanto a una strana chiesa dei Cavalieri di Malta, n.d.t.)
Le moderne tappe della peregrinazione postjacobea in Galizia ripercorrono le antiche visite celtiche all’Ara Solis. Santiago de Compostela fu un importante centro viario romano situato su un luogo sacro, una collina orientata all’ovest, alla nascita e confluenza di due fiumi. La leggenda dell’interramento dell’apostolo in una proprietà della mitica regina pagana Lupa si può spiegare solo attraverso l’importanza religiosa di quella collina, che era un bosco sacro dedicato alla divinità della luce, Lug o Jupiter che fosse.
Nella leggenda popolare gallega Santiago predica accanto a un cane (che ci ricorda la figura del Matto negli arcani maggiori dei tarocchi e anche la “Stella Cane” Sirio, potrebbe indicare un percorso celeste. n.d.t.).
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Frequenti nel territorio anche i troni di pietra dei mitici re Mouri, leggendari abitanti dell’Altro Mondo di origine celta.
IL CAMMINANTE CHE GIUNGE FIN QUI DEVE MORIRE, DIMENTICARSI DI CIO’ CHE FU E INIZIARE IL RITUALE DI TRASFORMAZIONE. Per questo i pellegrini germanici bruciavano i loro indumenti al cabo Fisterra. Ci troviamo in una via terrestre che è il riflesso di un cammino stellare: un canto di comunione con la natura, una ricerca e un incontro. Dice una cantica popolare che “termina il suo pellegrinaggio solo colui che arriva a Fisterra”.

O que vai a Compostela
Fai ou non fai romerìa
Se chega ou non a Fisterra

Il Cristo di Finisterre è molto simile a quello della Sindone di Torino. E’ avvolto in un lenzuolo di origine templare. E nella cattedrale di Compostela c’è il terzo Cristo che si conserva simile ai due gemellati. Anche nella chiesa di Moraime e in quella di Finisterre, come nella colonna del Portico della Gloria della cattedrale compostelana, vi è una croce all’ingresso sulla quale si appoggia la mano destra. Inoltre dietro al Cristo di Finisterre vi è una veduta di Gerusalemme con il Sole, la stella Venere, le rovine del Tempio di Salomone, quelle rovine nelle quali i Templari cercarono (e trovarono) le misteriose reliquie che li resero ricchi e pericolosi. Dentro nella chiesa di Fisterra appare scolpito come a Noia un altare astrale dedicato ai camminanti: il percorso inciso sulla pietra è rotatorio. Se anche non ne sono consapevoli, i camminanti stanno compiendo un rito di comunione con la terra unendo i due movimenti del pianeta: traslazione e rotazione. Il Cristo fisterrano ricorda Jupiter: fu qui che i Romani installarono l’ara del culto al Sol Invictus che si celebra il 25 dicembre.
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I territori dei boschi sacri celti erano pieno di tunnel e grotte che “interessarono” persino Hitler. A questo proposito Duio è molto particolare. Per arrivarvi bisogna attraversare un fiume, un PONTE (si veda il mio libro “Il ponte tra i mondi”, n.d.t.) e una fonte. L’acqua che inonda il villaggio peccatore, quella del fiume che divide il regno, ci parla degli attributi dell’altro mondo: IL MEZZO ACQUATICO E’ UNA VIA DI COLLEGAMENTO. I Celti usavano i laghi come santuari. L’idea dell’acqua come barriera per ciò che è alieno non è qualcosa di specifico delle culture occidentali preromane: i Romani giungono in Galizia dopo aver attraversato il Lete, il fiume dell’oblio.
Attualmente non esiste in Galizia alcun santuario cattolico sorto su un precedente sito sacro pagano che non abbia una sua fonte oggetto di culto ancestrale e di devozione popolare. Fonti che scaturiscono da sotto l’altare.
L’antica cappella di Guadalupe in Ponte do Porto sacralizzava un luogo rituale di acque sacre e l’attraversamento di un ponte collegato al pellegrinaggio al Santuario de A Barca. La chiesa romanica di Santa Ana de Xaviña, accanto a un ruscello, ci parla di una “ana” o “xana”, divinità delle fonti (il nome è stranamante simile a “jana”, il termine con cui la cultura pagana sarda definsce le fate e gli spiriti tutelari delle rocce, si veda domus de janas nel mio “La quinta dimensione”, n.d.t.). I monaci tentarono di cristianizzare questo sito dedicandolo a Santa Maria, come pure il sito rituale celtico ancestrale di As Caldeiras do Castro, a Coucieiro (Muxìa) dove fu costruito un romitaggio.
Fu da un bosco di idoli indigeni che nacque Compostela. Per poter attraversare le acque magiche dobbiamo usare barche straordinarie: Santiago arriva in una barca del “più in là”. E con lui in barca arrivarono molti santi cattolici. All’arrivo del sant’uomo in una barca di pietra è stato vincolato anche l’antico santuario gallego di San Andrés de Teixido.
La via fu aperta 30.000 anni fa da ondate di camminanti che seguivano le stelle, il cammino che portò a Occidente le genti dell’Est, in epoca megalitica. Tutti furono pellegrini al Finisterre, anche i Celti.
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Il cammino sia a piedi che in bici esce da Fisterra attraversando i villaggi di San Martin e San Vicente di Duio, Buxàn, Castrexe, Canosa e Lires. Attraversiamo il fiume Castro fino a Frixe e proseguiamo per Morquintian alle pendici del monte Faro fino ai villaggi di Cuño e Lourido per entrare infine in Muxìa. Il giorno seguente si può visitare Moraime e terminare la strada a Santiago de Cereixo.
A Muxìa non si può saltare la visita alla pietra di Abalar, una mole granitica oggetto di speciale venerazione al lato del santuario mariano. A circa quattro chilometri da Muxìa c’è il santuario di Moraime e a quindici le torri e il tempio romanico di Cereixo.
Il tempio di Muxìa è dedicato alla vergine della barca, un’oscura sopravvivenza di riti precristiani, una forza primitiva ancorata in un universo simbolico ancestrale. Muxìa è il cuore di Nemancos, il bosco sacri celta.
Uno dei luoghi più emblematici della Costa da Morte è il santuario che sorge sulla penisola della Ria de Camariñas, ai piedi del monte Corpiño, di fronte all’oceano: è la vecchia terra di Nemancos, la Trastàmara, che col Finisterre costituisce la vera fine del cammino giacobeo.
La tradizione catara in queste terre fu portata dai trovatori eredi dei grandi bardi occitani, discepoli di Maddalena e di Giovanni, il fratello di Giacomo. Questo significherebbe che Muxia e dintorni possedevano una via di pellegrinaggio diretta a Santiago distinta dal camino ufficiale attuale. Questa via terminava al Santuario da Barca di Muxia. Nel Medio Evo Muxia aveva pellegrini propri che andavano in visita al santuario e non era legata ad altre tradizioni: esempio questo di una corrente pellegrina galaica precristiana.
La Pedra de Abalar, antico santuario pagano, è l’emblema principale di un culto delle pietre e degli elementi. Muxìa fu confermata come punto focale del pellegrinaggio nel territorio, precisamente il luogo dove il mare, la natura, gli elementi e gli antichi riti soppiantano la dottrina. La Pedra de Abalar di Muxia è la pietra rituale più antica di tutta la Galizia ed il centro di un santuario tellurico ancestrale. Insieme ad Abalar vi sono la Pedra de Cadris, la Pedra de Timon e la Pedra de Namurados, da sempre collegata ad antichi riti di fertilità. Le apparizioni di Dame che salivano dal mare furono mutuate dalla Chiesa Cattolica direttamente dalle leggende celtiche. Da qui la leggenda dell’apostolo Giacomo che giunse in questi lidi su una barca di pietra. Le donne celtiche dell’Altro Mondo avevano il compito di sostenere gli eroi, gli eletti. Le imbarcazioni di pietra, cristallo, bronzo o argento erano, secondo le mitologie irlandesi, i mezzi per attraversare l’Altro Mondo. Una imbarcazione rituale rafforza il carattere del luogo sacro. Solo con una barca si può raggiungere il “Più in là”. Camariñas fu una sede della primitiva chiesa irlandese celta. Il santuario mariano di Muxia, oggi collegato alla via giacobea, nacque sopra a un luogo di culto alle pietre benefattrici e agli elementi: acque soprannaturali dalle quali giungono barche dall’Ultramondo e un vero santuario naturale di origine neolitica con leggende e tradizioni celtiche.
A Muxia si celebra l’eco delle vergini nere, la Madre Terra, le Dame celtiche e le Bansshes irlandesi.
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Il magnifico tempio monastero di San Julian de Moraime (Muxia) irradia forza tellurica come tutti i luoghi che appartengono ora al cammino jacobeo. I suoi capitelli mostrano volti umani tra il fogliame. E’ l’immagine degli Uomini Verdi di tradizione celtica che si trovano anche a Santiago de Cereixo e nel tempio scozzese di Rosslyn. I racconti e le cantate che riguardano questo luogo conservano ancora molte parole dell’antico idioma, il barallete, che discende dall’euskera basco (sulla storia di Baschi e Catari e sul loro legame si veda anche il mio “La Quinta Dimensione”, n.d.t.). Nel lato sinistro il capitello esterno rappresenta due figure e un albero della vita che ospita una donna. Siamo alla porta occidentale che conduce all’isola delle mele, al paradiso occidentale, all’ingresso delle fantastiche isole celtiche degli immortali, prima della tentazione di Adamo ed Eva e della espulsione dal paradiso.
Nel timpano della porta sud vi è l’Ultima Cena con sette personaggi della stessa misura e alla destra del Salvatore uno strano personaggio più piccolo degli altri, detto “El Neno” (il bambino). La versione ufficiale è che El Neno sia il simbolo del discepolo che vede il paradiso grazie al Maestro. La mano che benedice la cena è una conchiglia tagliata in foggia di mano con cinque dita, simbolo della proporzione aurea dell’Opera Divina utilizzata dai maestri costruttori. In una delle due nicchie su cui poggia il timpano vi è l’immagine di un Maestro che tiene in mano un libro: la scienza rivelata. La scena è molto singolare e potrebbe rappresentare i vecchi scritti scartati dalla chiesa ufficiale, ossia la mano degli Iniziati. 
La porta fu tenuta nascosta fino al 1975. Cosa voleva dire il maestro basco che realizzò la scultura delle 7 figure più 1? Può essere collegata al calendario astrale? Nella kabalah l’8 corrisponde all’ottavo sephirà, la gloria. E al numero Heth, la supremazia dell’esperienza e l’intelletto. E’ il quadrato di 64 un numero relazionato con la Vergine Nera, la Madre Terra.
Nel tempietto solare di Noia, la facciata occidentale riporta un arco con figure di uccelli e animali reali e fantastici che ricordano una stilizzazione dell’antico zodiaco egizio come quello contenuto nel tempio di Dendera. Nel IV secolo la Galizia aveva un rapporto diretto con l’Egitto di Alessandria, degli gnostici e della chiesa primitiva espulsa da Gerusalemme.
In Albarin (Santa Comba), vi è una croce molto popolare che segna l’incrocio di un cammino ed è a forma di ankh, la croce egizia simbolo della vita usata anche sia dai Copti che dalla chiesa primitiva cristiana di Alessandria d’Egitto, maestra della chiesa primitiva galaica.
La barca è anche immagine della Luna che si cambia in serpente e scende sulla terra (barca-serpente a forma di mezza luna è anche un simbolo egizio molto usato nelle tombe, è la barca di Osiride che traghetta i “morti” all’inframundi), padrona di magici poteri. Questa luna barca è rappresentata nella porta principale del tempio di Moraime che rappresenta la testa spirituale della Costa da Morte 
Da questi luoghi passò anche il culto solare di Mitra attraverso le legioni romane, quello ariano di Agni, divinità solare, e il greco Efesto: è a queste fonti che si abbevera il mito di Santiago.
Il simbolo protettore dell’Ultima Cena è quello dei Gemelli zodiacali, il quinto sephirà della kabalah come vedremo(sulla luna barca e sulla valenza esoterica della costellazione dei Gemelli si veda il mio “Il ponte tra i mondi”, n.d.t.).
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Torniamo all’Ultima Cena e alla figura del presunto Giovanni, o El Neno. Cristo è al centro ma la chiave della composizione è un angelo, come a Cereixo. I commensali hanno cappe (mantelli) come cavalieri, come membri di un ordine. Ricordano i Templari (la famiglia dei Traba, padrini di Moraime, pure era legata ai Templari). I Templari custodivano un loro cammino, unico, al Finisterre dalla Francia. Si diceva che avessero il Graal, che conoscessero il lignaggio di Gesù e che avessero scoperto il Nuovo Mondo prima di Colombo. Cristo benedice con la mano al di sopra della piccola, ridicola supposta testa di Giovanni. Ma questo Giovanni, o Neno, entra in gioco molte volte nei templi del Finisterre gallego. E qui arrivano anche i testi dei cristiani perseguitati, i Catari. L’archivolto inferiore della porta occidentale di Moraime include un personaggio che rompe l’estetica: un altro Neno (bambino) questa volta scuro. Un bambino tra 54 uomini, gli anziani dell’Apocalisse.
La barca che trasporta “Santiago” si converte nel serpente che imbarca i milioni di defunti che hanno passato il giudizio di Osiris, in viaggio dall’est all’ovest verso gli inframundi del Duat egizio (sul Duat si veda il mio “Gra(d)al il segreto della torre”, n.d.t.).
Il fregio centrale del Partenone di Atene è anch’esso composto da sette dei e dee e da una figura minore, Eros, un altro Neno tra adulti.
Uno dei vangeli gnostici, il Libro Segreto di Giovanni, denuncia il Dio dell’Antico Testamento per aver tentato di occultare la verità all’Umanità e sostiene che Adamo ed Eva ricevettero lo spirito divino dal Dio vero. Gli gnostici credevano in un principio supremo di bontà: una mente divina. L’essere umano possiede qualcosa di questo potere divino al suo interno, però ne resta diviso dal mondo materiale che lo circonda. Il mondo gli gnostici è la creazione di una mente inferiore, non del Dio Supremo. Con la guida di un maestro come Gesù, l’uomo potrebbe interiorizzare il messaggio ed essere tanto divino quanto Dio stesso. La Grande Opera cercava di avvicinarsi al Signore e si otteneva la salvezza risvegliando l’essenza divina dello spirito umano. Il messaggio gnostico scese sulla terra di Moraime, nel sud cataro della Francia e nella terra basca tra Navarra e Aragona. Il maestro realizzatore della porta sud di Moraime proviene da una zona impregnata di “eresia” catara, era un basco navarreno erede dei maestri della Francia meridionale.
La porta nord di Compostela fu distrutta, la porta sud di Moraime occultata. Perché?
La porta del tempio di Moraime fu costruita dai maestri al servizio dei Templari.
In termini alchemici ed esoterici risalenti all’antico Egitto La dea Hathor è la dea vacca che alimenta il successore del faraone ed è detta la Signora dell’Ovest. Il faraone, dopo aver attraversato l’inframundi sulla barca di Osiris, si sottopone alla pesatura del’anima: il suo cuore viene posto da Anubi su una bilancia e come contrappeso viene messa la piuma di Maat (la Giustizia). La barca che trasporta il faraone all’eternità, a Ponente, è la barca di Cereixo che trasporta il corpo smembrato dell’apostolo Giacomo, seguendo il cammino delle stelle (compostela: campus stellae). Questo Neno-bambino incastrato nell’ultima cena di Moraime sembra l’immagine di un quadro di famiglia della XXII dinastia faraonica, quella di un piccolo Osiris dorato a fianco di Isis e Horus, la trinità divina.
Lungo il cammino giunsero i Catari e i Templari quando iniziò la loro persecuzione. Il cammino di Compostela è un cammino di speranza materiale e spirituale, un incrocio di nuovi orizzonti.
Continuando le relazioni con l’Antico Egitto, tra i santuari di Muxia e Finisterre si percepisce la stessa relazione di interdipendenza che c’è tra Edfu e Dendera in Egitto. Il tempio di Edfu dedicato a Horus e quello di Dendera dedicato a Hathor venivano visitati, uno dopo l’altro simultanemente, dai pellegrini che li raggiungevano pe via fluviale. Così pure i camminanti di Compostela dovevano terminare il pellegrinaggio visitando tanto Muxia quanto Finisterre.
Più si studiano la millenaria cultura del Nilo e la antropologia gallega e più se ne scoprono le similitudini. IL VIAGGIO ALL’AMENTI EGIZIO E’ IL CAMMINO DI FINISTERRE nel bosco sacro celta. Per gli abitanti dell’antico Egitto il Nilo era specchio della Via Lattea e si sviluppava in un pellegrinaggio in 22 tappe. I Celti chiamavano la Via Lattea Catena di Lug e Cammino di Sant’Andrea si chiama nella tradizione popolare gallega.
Roma attinse molto alla tradizione egizia e l’immagine di Isis col bimbo Horus in braccio prefigura quella della Vergine Maria col bimbo Gesù. Nella tradizione egizia come in quella celtica i fedeli si riuniscono attorno a un sacerdote vestito di bianco per celebrare il rito dell’acqua sacra.
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Venere-Afrodite era chiamata dai Parsi Astarte, equiparabile a Diana e alla galaica Bandia. PROTETTRICE DELLE ACQUE TERMALI. Il termine Finisterre proviene dal latino finis terrae, fine della terra, ma potrebbe avere a che fare anche con l’antico germanico finstern ovvero “oscurità”. Questo era il nome della stella Venere e la chiamavno così perché riceveva le anime di coloro che spiravano e perché brillava a Occidente in cima alle acque dove terminava il mondo, lì dove le barche che abbandonavano le onde non tornavano a riva. Così il Fisterra galaico è contrassegnato dalla bipolarità: finisterrae-finstern, fine del mondo-oscurità, Giacomo Maggiore-Minore, alfa-omega, Castore-Polluce, Oriente-Occidente, Luna-Sole. Identificata con la stella dell’alba, Venere sui gradoni della ziggurat di Babilonia era chiamata anche Astarte.
Gli Esseni credevano che le anime buone andassero al di là del mare a Occidente in una terra dove non ci sono mai né tormenta, né pioggia o neve né calore insopportabile.
I Mandei, discendenti della primitiva Chiesa di Gerusalemme di cui il patriarca era Santiago-Giacomo, credono che gli abitanti di questa lontana terra siano tanto “oscuri” che sia impossibile vederli, credono anche che la loro collocazione sia indicata da una stella di nome Merica. La stella è anche la luce dell’alba dei Nazirei, la primitiva setta di Giovanni Battista e di Gesù. La stella vespertina, Venere, la stella dell’Occidente che figura in tanti scudi di nuove repubbliche americane. Il cammino della stella dell’Occidente porta alle stesse domande che si sono fatti i Mandei ma anche tutti i pellegrini che sono giunti in Galizia: Ovestrimni, Celti, Svevi, Vandali, Visigoti, Catari, Gnostici, Pitagorici, maestri del romanico, Templari, Fenici, Vikinghi e Almoravidi.
Moraime e Muxia sono le terre della Stella Venere, la stella a cinque punte del sigillo di Salomone. In questo luogo c’erano due castri vicini e una fonte sacra. Alcune antiche divinità galaiche avevano relazione con le acque come le signore celtiche e le divinità indoeuropee. Nello stesso modo in cui la Dea Madre era associata alle rocce e l’arcobaleno era il ponte per l’altro mondo. Le fonti venivano chiuse in santuari, creati in pietra e a forma di tempietto dove si onorava Venere, Isis, la Madre Terra, le divinità locali dell’acqua e tutti gli aspetti della divina energia femminile.
E’ possibile che la conchiglia servisse originariamente come simbolo di quell’altro cammino, quello pagano che giungeva al mare. La conchiglia è un simbolo sacro della Costa da Morte da molto prima della nascita del mito jacobeo, poiché vi sono conchiglie in bronzo che risalgono all’epoca romana. Così come il bastone curvo terminante a spirale, che reggono in mano varie figure con mitra nella porta occidentale, è il simbolo del cammino segreto del sapere, il pellegrinaggio, il labirinto.
Finisterre e Muxia sono le due punte unite alla fine del cammino jacobeo, santuari mariani dove sono presenti le mani di cluniacensi e Templari. Ancora oggi la grande festa della Vergine della Barca di Muxia non si celebra nella chiesa parrocchiale ma nel santuario da Barca che è sempre stato più un tempio pagano. Il cammino segnato dalla conchiglia era un cammino pagano dove si adoravano le divinità femminili ipostasi di Madre Terra.
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Moraime era la porta di entrata del “Più in là”, nel cuore del remoto Nemancos, il selvaggio paese dei boschi sacri, il finale del cammino misterico della Via Lattea. A Moraime concernevano sia Fisterra che Muxia e furono i suoi uomini che crearono la leggenda del cammino medievale.: i Templari della Casa dei Traba signori di queste terre.
Il segreto meglio conservato di questo monastero sta nelle sue rovine: una vergine nera, una divinità dell’acqua, un luogo misterico che i romani adattarono ai loro dei; bisognava approfittarne per assestare il colpo definitivo al paganesimo della regione indomita. Bisognava prendere il cammino e riconvertirlo: il simbolo segreto è la spirale e la conchiglia, simbolo della terra della famiglia Traba.
Finisterre era la culla del Sole e Muxia-Moraime della Luna.
Nel tempietto solare di Noia il libro scolpito è simbolo lunare: libro aperto luna piena, libro chiuso luna nuova, cartella dritta luna crescente, cartella inclinata luna calante. E ci parla anche del quadrilatero solstiziale-equinoziale. Qui la parte interessante non è tanto sapere dove sale il sole nell’anno in una certa data… ma dove scende. E siccome non si posa sempre nello stesso punto è stato creato un calendario misto solare-lunare attraverso questi libri perfettamente collocati nella porta del crepuscolo.
Questo era un luogo di culto ancestrale, neolitico poi celta e romano. E fu da qui che partì l’evangelizzazione delle tribù più celtiche di Galizia, quelle collegate coi Galli e coi lontani e biblici Galati (Mar Nero). I Celti Nerii conservarono molti dei loro luoghi di culto nella regione, però passati al setaccio cattolico romano. Essi sono i guardiani dell’essenza più pura del celtismo, la base ancestrale e biologica.
Qui meglio che in altri luoghi c’erano le premesse per cristianizzare non distruggendo i templi bensì gli idoli e innestando al loro posto il Dio Vero e il culto delle sacre reliquie. Se il popolo non avesse visto deturpati i suoi templi avrebbe potuto di buon grado riconoscere il proprio errore e venerare il Dio Vero sostituendo ai riti pagani quegli stessi riti ma cattolicizzati.
Proprio come i Celti, anche i Vandali e gli Svevi seguirono una via ancestrale attraversando la Gallia e il nord della Spagna in cerca di una terra promessa a Occidente: il Paradiso dell’ovest, il cammino del Sole lungo la Via Lattea. Al loro arrivo in Galizia constatarono che esisteva una cultura indigena vicina alle loro stesse tradizioni.
I Visigoti giunsero da terre vicine a quelle dei Galati, che sono di radice celtica come quelli occidentali. Pertanto avevano leggende che fin dalla notte dei tempi parlavano di un paradiso occidentale alla fine di un pellegrinaggio.
La religione ariana, predicata da Ario di Alessandria nel III secolo d.C. sosteneva che Gesù non era di natura divina: Gesù non poteva essere Dio perché era un uomo, diceva Ario. Poteva essere divenuto divino attraverso le sue azioni, non per sua natura. Fu condannato per eresia. Il messaggio gnostico di Ario e dei suoi seguaci sosteneva che Gesù era un uomo venuto a illuminarci il sentiero verso Dio. Gli gnostici apprezzavano la natura e le scienze naturali. Le loro opere sono pregne di influenze indù, persiane e della antica tradizione ebraica.
Nei vangeli gnostici si pone in dubbio la resurrezione di Gesù nel senso letterale del termine e si segue una tradizione segreta, misterica, degli insegnamento del Maestro Gesù. Si crede che i Templari conoscessero i testi gnostici occulti, quando presero in consegna la custodia dei sacri luoghi di Gerusalemme e del graal (sul tema si veda anche il mio “Gra(d)al il segreto della torre”, n.d.t.). La dottrina gnostica beve alla stessa fonte di quelle comunità dove nacque la più antica tradizione cristiana, come quella degli Esseni di Qumran e dei nazirei, l’antica chiesa di Gerusalemme, la cui testa invisibile ed erede di Cristo fu Santiago-Giacomo, non Paolo.
Gli gnostici credevano in un principio supremo di bontà, in una mente divina oltre l’universo fisico. L’uomo rimane isolato dalla divinità a causa della falsità del mondo materiale che lo circonda. Questo mondo difettoso, secondo gli gnostici, come abbiamo detto è opera di un creatore inferiore, non del Dio Supremo. L’uomo deve risvegliare il principio divino sopito nella sua umanità e per fare questo ha bisogno di un Maestro. I pitagorici sostenevano che per risvegliare tale sapere gli uomini, i camminanti, dovevano seguire il cammino della Via Lattea per entrare negli inframundi.
Questo è il messaggio ufficiale del tempio di Moraime, con quell’agnus Dei nel reverso del timpano dell’ultima cena. Coloro che stavano all’interno del tempio lo percepivano ma rimanevano col dubbio di ciò che si celava nell’altra faccia del timpano, perché la porta sud rimase chiusa e occultata per molti secoli fin dal medio evo probabilmente. In molte pitture abbiamo visto i roghi dei libri eretici catari, ariani e altri. Ma la pietra non può bruciare, quindi si chiude, si occulta.
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All’inizio dei pellegrinaggi jacobei, l’Europa assisteva alla grande guerra contro l’eresia catara di cui il sud della Francia ospitò nutrite comunità fino al sec. XIV. I Catari non praticavano il battesimo nell’acqua, si astenevano dalla carne e tradussero i vangeli in lingua volgare. Non credevano nell’eucaristia, rifiutavano il culto delle immagini e la gerarchia cattolica, seguivano l’ideale di vita degli apostoli e non credevano nel giudizio finale. La mano gnostica e pitagorica era presente in alcune comunità. Credevano in un principio dualista – il bene e il male contrapposti – di stampo zoroastriano.
Lungo il cammino e insieme ai canti dei trovatori occitani giunsero queste idee, fino alla regione più occidentale della Galizia. Un vangelo apocrifo – La Cena Segreta o Interrogatio Iohannis – veniva tenuto in gran conto dai Catari francesi e italiani: lo chiamavano “Il Segreto”. In questo libro Giovanni interroga Gesù durante una cena, segreta appunto, riguardo a Satana, alla caduta, alla creazione dell’uomo, al peccato di Adamo ed Eva, al regno di Satana sulla Terra e per ultimo riguardo al giudizio finale e al castigo del maligno. Essi credevano che tranne Dio e Gesù tutto fosse stato corrotto dal male contenuto nella materia e che pertanto tutto fosse da purificare e da salvare (per questo accettarono il rogo anziché convertirsi: era una purificazione per loro. n.d.t.). Durante la cena viene spiegato che Satana al principio era buono ma che poi seduce alcuni angeli e intraprende la creazione del mondo col permesso di Dio. Il vangelo apocrifo dice:

(Satana) fece la luce della luna e delle stelle, il tuono, la pioggia, la neve….. e mise angeli al governo di ciò. Poi ordinò alla terra di creare gli animali grandi, rettili, alberi e erbe e ordinò al mare di creare i pesci e gli uccelli del cielo.
Dopo di ciò rifletté e creò l’uomo perché fosse suo schiavo O SCHIAVO DI SE STESSO. E ordinò all’angelo del terzo cielo di entrare in quel corpo di fango dal quale prese poi una parte per creare un corpo in forma di donna. E ordinò all’angelo del secondo cielo di entrare nel corpo di donna. E quando gli angeli si trovarono in quelle forme mortali piansero. Satana ordinò loro di eseguire l’atto carnale nei loro corpi di fango.

E’ il motivo delle due porte di Moraime: un motivo eretico a causa del quale ci fu una mattanza a livello europeo. Il dualismo manicheo bene-male è chiaro nelle colonne e nelle statue della porta sud. Nell’ultima cena di Moraime Giovanni è in alto perché è in un altro luogo, alla cena segreta le cui credenze sono state raffigurate nei capitelli. In nessun tempio gallego, e sicuramente in nessuno del cammino spagnolo, si riscontra un tal numero di coincidenze coi testi eretici catari. Parola dopo parola i maestri scultori baschi convertirono il vangelo in pietra. E tutta la filosofia catara è presente nelle due porte del tempio di Moraime, alla fine della terra, l’asse centrale del Finisterre, realizzate da maestri baschi di influenza catara che lasciarono il messaggio inciso nella pietra all’inizio della mattanza papale: la crociata degli Albigesi.
Un cataro sarebbe affascinato nel vedere il suo vangelo scolpito nella pietra del centro tellurico della Costa da Morte, tra il tempio del Sole e della stella Venere, il maggior santuario della fine del cammino, molto vicino a una croce catara medievale innalzata sopra un bosco sacro celta al bordo del cammino a Finisterre: quella di Berdeogas-Dumbrìa.
Non si può non pensare alla “Ultima Cena” di Leonardo da Vinci, il grande artista italiano vicino alla tradizione catara. Nel famoso quadro né Gesù né gli apostoli hanno tracce di santità, perché i Catari sostenevano che Cristo era uomo non dio. Sulla tavola non c’è l’agnello della pasqua ebraica ma gli alimenti permessi dalla fede catara: pane, vino, pesce, arance, sale e acqua. Non appare il santo graal come calice né l’eucaristia. Giovanni ha il volto di una donna collegata da un famoso libro alla figura di Maria Maddalena (sul tema si veda anche il mio “Gra(d)al il segreto della torre”, n.d.t.).
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I Vikinghi giunsero in Galizia e ci si fermarono per un certo tempo convinti che il paradiso fosse qui di fronte al Finisterre e che ci si arrivasse con un viaggio meraviglioso su una barca sacra: la barca dei naviganti nel tempio di Cereixo che parla un antico linguaggio ancestrale di barche sacre. La porta è a sud, è sempre chiusa ma non è occultata. Sulla barca navigano sette personaggi più un corpo sdraiato di cui non si vede la testa. Sette come i commensali di Moraime più la testa del Neno.
(Ma il quarto, quello centrale, è più alto e ha la testa più grande degli altri: mi fa pensare ai 7 chakra di cui il 4°, il plesso cardiaco, è il punto di riflesso di ciò che è in alto su ciò che è in basso; inoltre a Cereixo c’è il corpo senza testa e a Moraime c’è la testa senza corpo: forse significa che i due templi sono complementari? N.d.t.).
I Sufi dell’Anatolia nello stesso secolo parlano di otto grandi profeti, sette cristiani più Maometto. Sette più uno è un simbolo molto usato dai Templari; il suo quadrato, il 64, è un mandala sacro in molte tradizioni. Corrisponde alla Madre Nera, la Vergine eterna, il quadrato terrestre, la trasformazione della pietra filosofale. E’ il numero dell’esistenza elementale, dove dorme la vita, primavera del mondo, la giustizia e l’equilibrio, la dea Maat dell’antico Egitto. Il quadrato è formato da due numeri pari, la luce e l’ombra, come le piante ottogonali delle cappelle Templari. Nella cabala è l’ottavo sephirà, Hod, e la lettera Heth simbolo del predominio dell’intelletto sulla materia, dell’esperienza sopra la forza, della conoscenza organizzata sopra l’impulso.
A Moraime la porta sud è dedicata ai 12 simboli dello zodiaco e quella occidentale contiene il triangolo magico, l’occhio di Dio, un triangolo equilatero perfetto.
Ma c’è di più. La Corona boreale con le sue cinque stelle visibili in cielo è rappresentata nella porta sud di Cereixo, creata dallo scultore cataro della porta gemella di Moraime. Nel gruppo centrale vi sono tre figure attive, di cui una centrale con il bastone, e le altre due che sostengono un corpo su un lenzuolo. Una linea che unisca le quattro teste e i piedi della figura stesa ricrea la posizione delle cinque stelle della Corona Boreale.
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Fonti incantate, miti e leggende pagane, rituali con l’acqua curativa lungo tutte le tappe galleghe del cammino, ci ripetono che esso era anteriore al mito jacobeo. Ma nessuno ha mai perso tempo a studiarlo o a dimostrarlo per paura di disconnettersi da questo recente impulso neojacobeo ufficiale che dilaga in Europa impregnato di turismo e superficialità, senza nulla a che fare con la vera essenza del cammino che è spiritualità e comunione.
Resti materiali, archeologia, genetica, leggende e tradizioni si uniscono per creare un legame tra i popoli dell’est europeo e dell’attuale Russia col Finisterre gallego. Dalle regioni del Mar Nero, patria dei Galati, partì 8.000 anni fa una corrente migratoria che non si fermò, lungo il cammino che oggi coincide con quello jacobeo. (Poco sopra al 42° parallelo affacciata sul Mar Nero in Valacchia la città di Varna, collegata al mito di Vlad Drakul che non poteva guardare il sole. Si veda di nuovo il mio “Gra(d)al il segreto della torre”. N.d.t.). Dal 3.500 a.C. la cultura megalitica gallega ci parla di una sola popolazione unita da vincoli culturali e da concezione religiosa. Dal 1.800 a.C. appaiono nella regione artisti che erano anche sacerdoti e sciamani.
Infine giungono i Celti e la storia ufficiale. Ancora oggi le festività del calendario agricolo e religioso della Costa da Morte sono quelle della tradizione celtica: Imbolc, Beltane, Lughnasa e Samhain. Quando nel VII a.C. i Celti Galli giunsero in queste terre di Galizia vi trovarono popoli della loro stessa stirpe e idioma, chiamati Nerii o Keltoi dai Greci, Artabri dai Cartaginesi e Celti dai Romani. I ricercatori confermano l’esistenza di una primitiva nazione celta ai margini del Mar Nero, la regione dei biblici Galati, nazione che realizzò la rotta ancestrale del grande viaggio lungo il percorso della Via Lattea verso il Finisterre occidentale. I Celti Iberici sono i più antichi d’Europa perché discendono da quel ceppo primitivo di camminanti galati.
Confermano i più recenti studi sul dna che l’homo sapiens dagli altipiani anatolici (Turchia asiatica) migrò fino alle nostre terre occidentali, biforcandosi verso i due Finisterre, il bretone e il gallego, dal suo inizio 30.000 anni fa circa. I marcatori genetici confermano ciò che raccontano le pietre. I dati genetici indicano che il dna delle attuali popolazioni europee della costa atlantica è simile a quello delle popolazioni indiane. Una migrazione dall’Asia popolò l’Europa 30.000 anni fa e questo flusso, di tradizione biblica, seguì il suo divenire fino all’estremo Occaso in Galizia.
Giacomo-Santiago era un personaggio speciale all’interno del mondo gnostico e iniziatico della primitiva chiesa cristiana. Sarà presente come guida per gruppi di cristiani speciali che fanno un altro Cammino. La leggenda della predicazione in Spagna e della scoperta del corpo di Giacomo nella costa gallega si basa su una falsificazione storica e sulla creazione di monaci stranieri della chiesa celta irlandese. Tale leggenda è stata riconosciuta falsa dai maggiori scrittori spagnoli contemporanei. La chiesa celta irlandese fu supportata nella sua invenzione dall’ordine di Cluny e dal partito politico di Borgogna che intendevano governare i regni ispanici e impiantare un nuovo ordine spirituale e sociale. La leggenda jacobea nacque in un’epoca convulsa.
La prima chiesa jacobea fu costruita ad Avezan seguendo strane luci che ricordano i moderni ufo. Poi nell’820 di nuovo luci vengono avvistate in un bosco sacro e subito dopo viene scoperta la tomba dell’apostolo.
Ma migliaia di anni prima dell’espansione del cammino jacobeo, ci furono popoli che emigrarono fino alla Costa da Morte gallega, popoli che credevano che il paradiso fosse a Occidente al tempo del megalitismo, popoli che provenivano dall’Est europeo e dal Mar Nero. La conchiglia, oggi considerata simbolo di Santiago de Compostela, era l’oggetto marino che i camminanti raccoglievano come prova una volta giunti alla costa.
…….

(qui finisce il libro “El camino secreto de Santiago”; di seguito riporto la traduzione di parti di un articolo di approfondimento inviatomi via mail da Rafael Lema. n.d.t.)

Se il cammino francese è marcato da Cluny e dalle manovre politiche per cristianizzare e dominare la Spagna del nord, esiste un altro cammino di ascendenza germanica. L’abendland, l’occidente, è una terra mitica: la terra del “più in là”.
Dati archeologici, storici, genetici, antropologici confermano l’esistenza di una Via del Sangue, la Vía Regia, una strada ancestrale che guidò i primi colonizzatori europei che unirono Oriente e Occidente. Nella zona geografica dove oggi vediamo il Mar Nero c’era una estensione di terra fertile, i cui abitanti dovettero emigrare a causa dell’inondazione del lago Euxino. Dall’alto di Valdai e dalle fonti del Dniepr giunsero le genti alla regione lacustre del Baltico, alla pianura germanica e alla porta di “Westfalia”. Da lì proseguirono lungo il nord delle Alpi, attravesarono l’area centrale francese, il fiume Garona, penetrarono nei Pirenei e scesero fino al fiume Tago in Portogallo. Dal sud della Spagna giunsero alle coste galleghe, trovando il Finisterre.
Questa vía fu seguita dai Celti come uno dei loro cammini di pellegrinaggio e coincide con le strade medievali dei pellegrini germanici a Santiago: possiamo vedere i loro passi sulla Niederstrasse e la Oberestrasse, attraverso la via della Sal o Vía Regia, incrociare la Francia dalla Vía Limusina, che comincia in Vezelay nel santuario di María Maddalena, niente meno. Il tredicesimo apostolo, che secondo la leggenda morì in Aix e il cui cadavere fu trasportato dal monaco Badilón fino a qui. Un’altra traslazione speciale che dà molto da discutere. La fabbricazione di questo mito sul viaggio in barca fino alla Terra Santa è simile a quello di Santiago.
Gli Iberici sono originari dell’attuale Georgia, (intorno al 42° parallelo, n.d.t.) che si estende nella regione del Caucaso, e gli Arii sono originari della Bactriana e dell’India; costoro, stabilendosi nell’Occidente europeo, adottarono il nome di Celti, vocabolo sanscrito. Gli attuali Galleghi condividono la loro origine con Caucasici e Britanni. Gli abitanti della parte occidentale della penisola iberica vennero dal Mar Nero e da lì migrarono alle isole del Nord.
[sospensione del testo di Rafael Lema]

(riporto da internet-wikipedia le seguenti informazioni sui Celti, n.d.t. [Con il nome di Celti si indica un insieme di popoli indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore (IV-III secolo a.C.), erano estesi in un’ampia area dell’Europa, dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti isolati più a sud, frutto dell’espansione verso le penisole iberica, italica e anatolica. Uniti dalle origini etniche e culturali, dalla condivisione di uno stesso fondo linguistico indoeuropeo e da una medesima visione religiosa, i Celti rimasero sempre politicamente frazionati; tra i vari gruppi di popolazioni celtiche si distinguono i Britanni, i Galli, i Pannoni, i Celtiberi e i Galati, stanziati rispettivamente nelle Isole Britanniche, nelle Gallie, in Pannonia, in Iberia e in Anatolia. Portatori di un’originale e articolata cultura, i Celti furono soggetti a partire dal II secolo a.C. a una crescente pressione politica, militare e culturale da parte di altri due gruppi indoeuropei: i Germani, da nord, e i Romani, da sud. I Celti furono progressivamente sottomessi e assimilati. I Celti sono menzionati dagli storici di lingua greca come Κελτοί (Keltòi) da cui deriva il latino Celtae. Probabilmente il termine Celti era un etnonimo proprio di una singola tribù dell’area della colonia greca di Marsiglia, il primo luogo dove i Greci vennero in contatto con il popolo dei Celti; in seguito, tale termine fu applicato per estensione a tutte le genti affini.
Sempre presso i Greci, a partire dal III secolo a.C. è attestato il nuovo etnonimo Γαλάται Galatai, corrispondente al latino Galli. Di questa denominazione è stata ipotizzata una derivazione dalla radice celtica *gal- (“potere”, “forza”) o dalla radice indoeuropea *kelH (“essere elevato”). È stata avanzata l’ipotesi che i Protocelti fossero il frutto di una penetrazione secondaria di Indoeuropei in Europa centrale, a metà del III millennio a.C., a partire dalle steppe a nord del Mar Nero, probabile patria originaria del popolo comune.
 
riprende il testo di Lema
La penetrazione nella Penisola iberica e lungo le coste atlantiche dell’attuale Francia risale quindi all’VIII-VII secolo a.C. Più tardi raggiunsero la Manica, la foce del Reno, l’attuale Germania nord-occidentale e le Isole britanniche; ancora successiva fu l’espansione verso le attuali Boemia, Ungheria e Austria. Contemporanei a questi ultimi movimenti furono gli insediamenti, già registrati dalle fonti storiche, in Italia settentrionale e, in parte di quella centrale (inizio IV secolo a.C.) e nella Penisola balcanica. Nel III secolo il gruppo dei Galati passò dalla Tracia all’Anatolia, dove si stanziò definitivamente. Tra i toponimi che denunciano una chiara origine celtica, spiccano non solo la “Galizia” iberica e la “Galazia” anatolica, ma anche la “Galizia” sub-carpatica, un’area che in passato fu al margine estremo della penetrazione celtica.
Nel II secolo a.C. i Celtiberi furono sottomessi da Roma attraverso una serie di campagne militari, le Guerre celtibere; la capitolazione fu segnata dalla caduta della loro ultima roccaforte, Numanzia, espugnata nel 133 a.C. da Publio Cornelio Scipione Emiliano. A partire da quel momento i Celtiberi, come tutte le altre popolazioni della Penisola iberica, subirono un intenso processo di latinizzazione, dissolvendosi come popolo autonomo. Galli era il nome con cui i Romani indicavano i Celti che abitavano la regione delle Gallie. A partire dal 400 a.C. circa, penetrarono nell’odierna Italia settentrionale. Continuarono a premere verso sud, tanto che nel 390 a.C. la tribù dei Senoni guidata da Brenno mise a sacco la stessa Roma, per stanziarsi infine sul medio versante adriatico (Piceno)])
[riprende Rafael Lema]
I pellegrini germanici sapevano che il cammino finiva al Finisterre. Una canzone popolare del camminante jacobeo è il St. Jacobs Pilgerlied von Sant Jacob. E’ una guida di pellegrini germanici, un lied popolare che appare in un manoscritto del XV sec. della Stadt Bibliothek di Munich. Nella strofa 24 cita Finisterre come tappa finale usando il nome di Stella Oscura, per la sua somiglianza fonetica con una espressione germanica simile a Finisterre, Stern heist finster o finsterstern. E’ una traduzione ad uso dei pellegrini germanici che per il ricercatore del tema jacobeo collegato alla Germania, Jaime Ferreiro Alemparte, “racchiude una allusione al mito antico del regno della notte ai confini della terra di fronte al misterioso Oceano, allusione che recupera la parola Abendland, traduzione di occidente”. Avend è nella radice germanica delle espressioni che definiscono il crepuscolo, l’annottare.
Nel citato lied si indica che i pellegrini devono proseguire dalla cattedrale di Santiago 14 miglia fino alla stella che chiamano oscura, “14 meil hinter pas/ zu eyn stern hest Finster”. E da Finisterre, andare al Salvador de Oviedo. “Den finstern stern wollen wir lan stan”.
La Vía Lattea è denominata il Camino de Santiago da francesi e germanici dall’inizio del mito. Per Jacobsstrasse si intende la vía terrestre jacobea e la Vía Lattea celeste, la Milchstrasse.
La Galizia stava nel mezzo della via dell’Ovest dei nordici. Si parla poco della importantíssima tradizione di pellegrinaggio degli Scandinavi fin dall’ XI sec. e fino alla metà del XVI. Nel Nord si conservano molte reliquie incluse alcune di Santiago. Circa 200 conchiglie galleghe naturali o ibskal (conchiglia di Santiago) si trovarono in tombe medievali danesi.
……
Il Breviarum Apostolorum, creato nel sud della Gallia o nel nord Italia intorno al VII sec. è uno dei primi testi che sostiene la presenza dell’apostolo in Spagna. La prima notizia che il suo sepolcro si trovava in Galizia la ricaviamo dal martirologio di Saint Germain des Prés terminato nell’ 865. Data molto vicina a quella del “ritrovamento” del corpo. Come afferma la professoressa Falque Rey è paradossale che i manoscritti più antichi della storia Compostelana non portino l’eco dell’opera apostolica di Santiago in Spagna.
Presentando la mia opera “El Camino Secreto de Santiago” nella Casa de Cultura di Muxía commentai con chiarezza che Santiago non era mai stato lì né gli apparve mai la Vergine in una barca di pietra. Siamo grandicelli per i racconti esotici per ottimali che siano ai fini dello sviluppo turistico.
…………..
Stonehenge fu un luogo di pellegrinaggio. Così come santuari famosi furono quelli di Isthar a Nínive e di Innana e Enlil a Nippur. Gli Egizi avevano il tempio di Osiris ad Abydos, i Greci a Delfos o Eleusis. Gli Indu andavano al tempio di Mathura, l’ottava reincarnazione di Vishnu in Krishna. Nello stesso modo ci fu un tempo in cui tutta l’Europa faceva pellegrinaggi a Compostela.
…………
Nemetóbriga doveva essere la montagna sacra o la città santa del centro dell’ordine territoriale romanico dei Galaici, l’ombelico di Kalláikia, secondo Martíns Estévez; e la voce kallaiko non è un nome tribale bensì un nome nazionale o aggettivo traducibile con paesano. In origine i tre conventi chiamati oinaikoi calaicos erano siti abitati da tribù collegate tra loro che si riunivano ogni anno in un punto medio del territorio. Lugo, Braga e Astorga sono città, secondo l’autore, nate non da castri romani bensì da accampamenti militari che avevano funzione di vigilare le riunioni aventi a che fare con l’identità del popolo calaico: il centro de culto di queste tre aree era Nemetóbriga. La necessità di un punto di unione tra le tre parti della Céltica del Nordest e il víncolo sacro di questo spazio rafforzano la posteriore creazione di Santiago. 
Compostela è uno dei toponimi più discussi riguardo alla possibilità di relazionarlo con il sepolcro dell’apostolo Santiago, scoperto presumibilmente nel IX sec. da Teodomiro. Il ricercatore Dragó riassume così i termini della questione: l’apostolo è una ri-creazione del mito di Osiris, un’operazione político-religiosa, e il cammino dalla sua origine termina nel mare della Costa da Morte. In Asia la Vía Lattea è il cammino dell’elefante bianco, tra i Tartari è il cammino a La Mecca, è una traccia delle avventure di Zeus, e nel mito jacobeo una identificazione simbolica pellegrinaggio-stelle, però seguendo le sue tracce arriviamo al mare del Finisterre, più in là della tomba.

Emilio Lavandeira, per molti anni fotoreporter delle riviste Blanco y Negro e ABC tra gli altri, mi raccontò che nel 1965, Blanco y Negro lo inviò a fotografare la tomba dell’apostolo. Grazie ai suoi contatti ebbe accesso alla cripta mentre stavano preparando la composizione di una nuova urna d’argento. Penetrò nel sottosuolo, nel tunnel inaccessibile ai pellegrini e vide un’immagine deprimente per un santiaguegno come lui. L’urna nella sua parte interna constava di tre povere lamine ed era aperta da un lato. Nell’interno non c’era nulla.
“Oggi non importa chi sia interrato nella tomba bensì la grandezza di questa creazione fondamentale nella storia europea e nell’unificazione dei suoi popoli, rappresentata dal Camino”. Questa frase la ripetono oggi i principali storici nazionali per trattare un tema tanto delicato, sapendo che non si può continuare con questo racconto, però nello stesso tempo cercando di non danneggiare gli interessi turístici, polítici, economici. Io insisto sul fatto che la verità al contrario rafforzerebbe il carattere di Santiago come ombelico europeo, luogo tellurico millenario.
Giacomo non fu mai nel nostro paese, il suo corpo non fu né traslato né interrato in Compostela e oggi la tomba è vuota. Però la città santa conserva altri valori, è padrona di un passato mítico, è un centro di cultura e fede. E’ una meravigliosa creazione umana nel tempo. Materiale e inmateriale. E’ il bosco sacro di un Cammino millenario che va oltre le sue orígini e si mantiene vivo. I promontori galaici sono luoghi sacri fin dall’Età del Ferro. Oggi giungiamo al mare di Finisterre e ne usciamo trasformati, viviamo una esperienza di catarsi e di rinascita.
A partire dall’estate del 1878 cominciarono gli scavi e continuarono per otto mesi; alla fine di febbraio 1879 in piena notte scoprono un ossario nel retroaltare della cattedrale. Sotto una lastra di granito gallego di 8 cm erano ammonticchiate alcune ossa umane. Perlomeno apparvero umane di notte e al buio, interrate in una maniera molto poco decorosa. Il processo durò quattro anni e il 12 marzo 1883 il cardinale presentò il decreto di conclusione dove definisce le ossa scoperte, le reliquie “vere e realmente appartenute ai corpi del santo Santiago Apostolo figlio di Zebedeo, fratello di san Giovanni Evangelista, e dei suoi discepoli, i santi Atanasio e Teodoro, e che per tanto sono degne di culto religioso…”. A questo decreto seguì il processo in Roma. Il Santo Padre approvò il dictamen di riconoscimento e personalmente annunciò al mondo la notizia per mezzo della bolla sopra citata, invitando a intraprendere nuovamente i pellegrinaggi a Compostela. Per celebrare il ritrovamento delle reliquie, dichiarò l’anno 1885 Anno Santo Straordinario.
Sotto le lastre della cattedrale appaiono dati che confermano l’esistenza di una necropoli altomedievale. 
Dietro alla creazione del mito c’erano la politica e la religione. La monarchia asturiana e la Chiesa. Cluny e Borgogna. Gelmírez e i re castigliani e leonesi, con la loro crociata. Qui lasciarono inoltre le loro tracce curiosi artigiani, in templi sconosciuti, e uomini come i Templari tracciarono un cammino distinto, parallelo. Praticamente tutto ciò che consideriamo mito, símbolo, leggenda jacobea beve da altre fonti molto anteriori. E buona parte di questo tesoro bisogna cercarlo guardando al Nord e all’Est, ai cammini e tradizioni dei popoli germanici che conservano l’origine dei primi pellegrinaggi, la Vía Regia, la Strada del Sangue.

FINE

Termino con le simpatiche parole dell’autore del libro che ho tradotto, Rafael Lema, in risposta a una mia email nella quale gli chiedevo da quale punto in Galizia potrei iniziare il vero Cammino:

….. aqui me tenies de guia, sin problema. Para obtener la Compostela, la acreditacion, se necesita andar 100 kmts, y la mayoria inicia el camino en SARRIA una poblacion ya de Galicia. Ya sabeis que tenies un amigo en el fin del mundo….. Rafael

 

CC Devana 2014

Serie “In viaggio con Devana: COMPOSTELA”- Secondo viaggio “Sulle orme templari del Cammino dell’Oca”

<… Te divina manus perducat, ad dexteram…>
Queste parole sono scritte su una lastra di metallo all’ingresso orientale della cattedrale di Santiago de Compostela. Il pellegrino che giunge dai Pirenei entra per quell’ingresso, appoggia la mano sulla colonna e… viene consegnato alla “mano destra”, cioè la via maschile delineata da tutte le religioni monoteiste tra cui quella cattolica romana.
Ma il cammino di Compostela non è questo. L’antica via pagana che portava all’oceano, alla ricerca della “puesta del sol”- l’estremo tramonto- per incontrare la morte, era una via della “mano sinistra”, femminile, connessa alla Madre e alle sue cerimonie. Si snodava tra dolmen e corsi d’acqua attraversando boschi sacri tra cui Nemancos, dove oggi sorge Santiago de Compostela, e che al tempo dei Celti era un luogo di culto nella natura. Santiago non è la fine del cammino, anzi per molti è solo l’inizio.

Sulle orme templari del “Cammino dell’Oca” scarica articolo completo

si veda anche la mia conferenza insieme a Rafael Lema Mouzo sul “Cammino Pagano a Compostela” qua

Serie “In viaggio con Devana: COMPOSTELA” – Primo viaggio “Dal Camino de Santiago al Finisterre di Galizia”

Il Fisterra gallego rappresenta l’ultima terra asciutta e abitata prima dell’oceano Atlantico. La Costa da Morte in particolare è il tratto di costa dove i pellegrini provenienti dal cuore dell’Europa e dall’antica Grecia percorrendo l’antica via pagana verso il tramonto lungo il cammino del sole, sbucavano al mare dopo aver attraversato Compostela, il Campus Stellae, sovrapposto agli antichi boschi sacri della popolazione celtica che allora abitava il territorio galaico.

Dal camino de Santiago al Finisterre di Galizia scarica articolo completo

si veda anche il mio video qua

Serie “In viaggio con Devana: alla scoperta dei portali dell’immortalità” 14 – CALABRIA

Le magiche porte di pietra a Nardodipace e sull’Amiata

La località calabra di Nardodipace (VV) è stata ribattezzata la Stonehenge italiana. Esiste infatti una scuola di pensiero, capeggiata dal linguista professor Domenico Raso traduttore dell’alfabeto pelasgico, la quale sostiene che i monoliti trovati nel bosco dopo che un incendio distrusse la vegetazione, sono opera dell’uomo e sono proprio stati realizzati sovrapponendo blocchi di pietra secondo lo stile megalitico. Questa teoria viene di fatto avversata, almeno ad oggi, dalle “autorità competenti”, ovvero la sovrintendenza ai beni archeologici, che dopo aver inviato un geologo (e non un archeologo) a ispezionare il sito ha dichiarato che si tratta di erosione naturale come per le tor della Cornovaglia…

Calabria Le porte di pietra di Nardodipace scarica articolo completo

Serie “In viaggio con Devana: alla scoperta dei portali dell’immortalità” 13 – SARDEGNA

Domus de janas, nuraghi, tombe dei giganti e pozzi sacri

La Sardegna è una terra piena di magia e mistero oltre ogni possibile immaginazione e descrizione. E’ il Perù d’Europa. E non soltanto “in alcuni luoghi”, bensì “dovunque”. Ad ogni angolo, dietro ogni pietra sembra di veder comparire le fate, in sardo le janas, rappresentanti del piccolo popolo che “abitano” in tutti i siti di interesse archeologico della Sardegna. La stessa sensazione di “presenza fatata” mi aveva accompagnata  in Cappadocia e non a caso, anche lì, ci sono i… “camini delle fate”. <Col termine “fate” s’intende un intero mondo di creature costituito da una miriade di elementi magici e incantati variamente connessi tra loro… Le fate non appartengono alla nostra dimensione: immaginarle con un sesso o addirittura femmine è riduttivo e inaccettabile… la fata sintetizza l’elemento femminile per eccellenza. Nella magia del dualismo quest’entità conserva l’aspetto femminile e racchiude in sé assorbendola del tutto la controparte maschile…

Sardegna Domus de janas, nuraghi, tombe dei giganti scarica articolo completo

Serie “In viaggio con Devana: alla scoperta dei portali dell’immortalità” 12 – LOMBARDIA

Scritte pelasgiche e portali interdimensionali a Bodio Varese

Fui coinvolta nelle vicissitudini del restauro di una chiesetta in località Bodio Lomnago, sul lago di Varese in Italia. Il sistema che il Piano utilizzò per coinvolgermi in quest’ennesima avventura assomigliava agli altri per stranezza dei fatti ed eccentricità riguardo la “fornitura” di indizi. Viaggiavo sul treno da Varese con destinazione Milano, una domenica mattina di maggio 2007. Un uomo che conoscevo di vista come mio lettore mi si sedette davanti. Mi disse che non aveva idea che mi avrebbe potuta incontrare sul treno ma che quella mattina aveva sentito l’impulso di infilare in tasca la fotocopia che poi mi mise in mano. Era la copia di una foto in bianco e nero. Mostrava un antico affresco nel quale una figura femminile reggeva delle tavole incise con caratteri strani e mai visti prima…

Bodio Varese scritte pelasgiche e portali scarica articolo completo

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